Confronto in webinar tra ortopedici e pediatri su nomenclatura e iter diagnostico delle deformità dei piedi di neonati e bambini. Per gli esperti della Sispec il piede piatto non ha sempre indicazione alla chirurgia
In che modo l’ortopedico e il pediatra possono collaborare nell’affrontare al meglio le deformità dei piedi di neonati e bambini? La questione è stata affrontata in un webinar organizzato dalla Società italiana per lo studio del piede e della caviglia (Sispec), il cui presidente Stefano Fieschi era presente tra i moderatori, accanto ad Antonio Marmotti, dell’Ospedale San Luigi di Orbassano. Anche i relatori, Mattia Cravino ed Emilia Parodi, ortopedico e neonatologa presso l’ospedale infantile Regina Margherita di Torino, oltre a Margherita Germano dell’Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino, relatrice e responsabile scientifico del webinar, provengono dalla stessa area geografica, dove collaborano da anni nell’affrontare in modo coordinato e sinergico questa problematica particolarmente delicata.
Un linguaggio comune
Prima di tutto bisogna parlare la stessa lingua e ciò che è una banalità per un ortopedico può non esserlo per un pediatra, ma è importante intendersi quando si parla di piede talo (eccessiva dorsiflessione), equino (eccessiva plantarflessione), valgo (riferito al dorso del piede, si intende un calcagno che guarda verso l’interno), avanpiede addotto (in cui è la parte anteriore rivolta all’interno) o supinato (che non poggia sulla pianta ma sul dorso del piede).
Avendo chiara questa nomenclatura, i relatori hanno introdotto una classificazione di base, distinguendo tra piedi dismorfici e posturali. Tra i primi si annoverano – e sono stati trattati in dettaglio – il piede torto congenito, il metatarso varo e l’astragalo verticale, mentre un esempio classico di piede posturale, dal carattere transitorio, è il talo-valgo.
Fondamentale è il concetto di riducibiltà, ossia la capacità del piede di essere malleabile e modificabile con le manipolazioni. Se il piede torto congenito e l’astragalo verticale sono poco o per nulla riducibili, il metatarso varo presenta forme a diverso grado di riducibiltà e questa caratteristica ne influenza la prognosi e ne determina il trattamento. Al contrario, il piede talo-valgo è una deformità sempre riducibile ed è quindi da considerare una forma posturale benigna.
Ma quali sono i fattori di rischio anamnestici familiari e gravidici da considerare? I piedi dismorfici si manifestano intorno alla ventesima settimana di vita fetale, ma non se ne conosce bene la causa. È però certo che si tratta di un’eziopatogenesi multifattoriale, in cui anche la genetica gioca un ruolo significativo, oltre ad altri elementi come l’insufficienza vascolare dell’arteria tibiale anteriore, la compressione intrauterina o fattori iatrogeni, come l’amniocentesi effettuata nelle prime 12 settimane o il fumo materno.
Quando il pediatra deve inviare all’ortopedico
Una delle delle domande cruciali che si pone il pediatra è quando è necessario il rinvio all’ortopedico e con quale urgenza. Gli esperti che hanno partecipato al webinar hanno dato una risposta chiara: nei casi dismorfici non riducibili, il prima possibile, possibilmente entro sette giorni, affinché l’ortopedico possa prendersi carico del piccolo paziente e della sua famiglia e avviarli a un percorso terapeutico.
Nel piede talo-valgo posturale, riducibile, si consigliano invece massaggi per cinque minuti da eseguire almento sei volte al giorno, magari al cambio del pannolino; nel primo mese di vita ci si attende un miglioramento netto, ma se persiste dopo trenta giorni, anche in questo caso è l’ortopedico a dover intervenire.
Per il piede torto congenito, l’ortopedico dispone del trattamento più diffuso a livello mondiale: il metodo Ponseti. Esso ha rivoluzionato l’approccio a questo dismorfismo, andando a sostituire un intervento chirurgico piuttosto demolitivo, di release postero-mediale (intervento di Codivilla), che correggeva il difetto in un solo step, ma a scapito di estese cicatrici, rigidità e deformità delle articolazioni che si sviluppavano negli anni e tendini incarcerati in estese masse cicatriziali.
Una deformazione del tutto benigna è il piede valgo evolutivo dell’infanzia, a cui nel linguaggio comune ci si riferisce come piede piatto, caratterizzato da un abbassamento della volta plantare nella parte interna. Si tratta spesso di una condizione normale: nei bambini più piccoli, il calcagno è fisiologicamente valgo, fino a 12-15 gradi, ma all’età di cinque o sei anni si riduce a 5-7 gradi, che sono i valori propri dell’adulto. Spesso questi bambini sono asintomatici, altre volte hanno un impaccio nella corsa, zoppia, affaticabilità, scarso rendimento sportivo. Sintomaticità, evolutività clinica ed età del bambino sono i parametri di cui bisogna tenere conto, mentre il parametro radiografico va valutato solo in seconda battuta.
Esami strumentali all’ortopedico
Un altro tema condiviso tra pediatra e ortopedico riguarda gli esami strumentali, che devono essere predisposti solo da quest’ultimo. Tuttavia, la valutazione radiografica non è molto utile perché le ossa dei bambini fino ai tre anni sono estremamente cartilaginei, quindi i nuclei di ossificazione non rappresentano la reale forma e posizione delle ossa tarsali, essendo prevalentemente formati da cartilagine. Invece l’ecografia delle anche è sicuramente utile per i bambini che presentano piedi dismorfici: l’associazione con la displasia congenita dell’anca è tuttora in discussione e gli studi recenti non correlano strettamente le due condizioni, ma gli esperti consigliano comunque un controllo ecografico.
In conclusione, ortopedici e pediatri piemontesi raccomandano di seguire il semplice schema che lo stesso Antonio Marmotti ha presentato qualche anno fa alla American Academy of Pediatrics. Nei casi asintomatici e con sviluppo normale non si interviene, sapendo che la deformità si risolverà nel tempo. Gli asintomatici in cui la deformità non rientra da sola devono essere monitorati nel tempo e se ci sono familiarità positive i controlli dovrebbero essere più ravvicinati: solo se rientreranno nel gruppo dei sintomatici andranno trattati. Come ha fatto notare Fieschi, si tratta di un approccio coraggioso: «spesso gli ortopedici si orientano subito verso l’opzione chirurgica mentre, parlando di piede piatto, è emersa dal webinar l’opportunità di una scelta preferibilmente non chirurgica».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia