
Elena Manuela Samaila
Elena Samaila è la prima donna a guidare una superspecialistica italiana nella branca ortopedica. La scelta della Sicp e l’istituzione della commissione Pari opportunità da parte della Siot sono i primi passi per affrontare il problema del gap di genere
Elena Manuela Samaila dopo la laurea in Medicina e Chirurgia ha proseguito gli studi e si è specializzata in Ortopedia e Traumatologia a Verona. Oggi è professoressa associata di Malattie dell’apparato locomotore presso la Clinica Ortopedica dell’Università di Verona e presidentessa della Società italiana della caviglia e del piede (Sicp), la prima donna a guidare una superspecialistica italiana nella branca ortopedica.
Abbiamo intervistato la professoressa Samaila alla vigilia del congresso Sicp, in programma a Udine il 22 e 23 settembre, per fare il punto sul tema della parità di genere in ortopedia, un obiettivo ambizioso sul quale ha iniziato a muoversi la Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot) istituendo la commissione Pari opportunità e medicina di genere, coordinata da Maria Silvia Spinelli e formata con una rigorosa composizione paritaria.
Professoressa Samaila, in ortopedia e traumatologia il numero delle donne è ancora molto basso in Italia. Per quali ragioni?
Tra i neolaureati in medicina, il rapporto tra uomini e donne è molto vicino al 50%, ma restano poche le neolaureate che decidono di specializzarsi in ortopedia: è un esempio del fenomeno della segregazione occupazionale di genere, ossia la presenza disomogenea di uomini e donne nei ruoli e nelle professioni sanitarie.
Si tratta di una stratificazione che rispecchia stereotipi di genere che portano a sottostimare le caratteristiche personali realmente necessarie per svolgere una particolare funzione rispetto alle caratteristiche associate più in generale al sesso: culturalmente ci sono lavori ritenuti per uomini e lavori ritenuti per donne. Ancora oggi, ci sono dei grossi limiti culturali ed è ancora radicata l’idea dell’ortopedico maschio, grande e grosso, al quale si richiede molta forza nello svolgimento delle attività chirurgiche. Lo hanno detto anche a me quando scelsi la branca ortopedica: «ripensaci, sei troppo minuta per questo lavoro». Ma naturalmente non mi sono arresa. Anche se non ho esattamente un fisico imponente, non capivo perché nessuno si fosse mai sognato di scoraggiare i miei colleghi di specialità “diversamente alti” come me.
È noto che un fattore di scelta determinante per le dottoresse che hanno deciso di specializzarsi in chirurgia ortopedica è stata la presenza di almeno una donna nel team del reparto in cui hanno svolto l’attività tirocinante mentre erano studentesse: è quello che si chiama role modeling, la presenza di una tutor in grado di interessarle e coinvolgerle nella materia, diventando loro mentore e avviando quello che viene chiamato un progetto di mentoring.
Credo che tocchi in primis a noi donne chirurghe ortopediche promuovere questi progetti, anche attraverso l’adesione ad associazioni come Women in orthopaedics worldwide Italia (Wow Italia, wowitalia.org.) che crede fortemente in un cambio di prospettiva che consenta di fornire a tutti/e le stesse possibilità di formazione e crescita professionale, a beneficio della comunità scientifica e dei pazienti.
Negli anni, l’impegno in tal senso dei docenti universitari della scuola di specialità in ortopedia di Verona ha portato i suoi frutti: infatti attualmente la presenza di donne chirurghe specializzande è del 22%, di molto superiore alla media mondiale del 10%, che è la stessa di quando mi sono specializzata io.
La Siot tempo fa ha istituito la commissione Pari opportunità. Quali obiettivi si possono raggiungere?
Credo molto nella commissione Pari opportunità della Siot. Basterebbe fare su larga scala ciò che è il nostro quotidiano: lavorare insieme donne e uomini ortopedici, confrontarsi e scegliere il più esperto nello svolgere tale intervento, relazione o carica dirigenziale.
Credo che le donne dovrebbero confrontarsi con i colleghi maschi senza timori reverenziali, perché la diversità di genere e il confronto portano un contributo di idee per una finalità comune. Nella fattispecie, per la cura dei pazienti, a volte, ci vuole proprio la sensibilità che una donna ha, forse, in più rispetto a quella che può dare un uomo nel rapporto medico-paziente. Vedi gli ambiti pediatrico e tumorale, il modo di porsi nei confronti del paziente. Avere in équipe delle donne chirurghe che trattano patologie particolari credo sia un valore aggiunto nella gestione di questi aspetti, anche psicologici che forse in quanto donne siano più portate a considerare.
Per le donne ortopedico le cariche di responsabilità, come la direzione di un’unità operativa o la presidenza di una società scientifica, sono un’eccezione. Come sta vivendo questo ruolo?
La Sicp si è dimostrata nel tempo una società forte, dinamica, coesa ma anche un po’ camaleontica, che ha saputo stare al passo nei suoi 58 anni di storia ai cambiamenti socio-sanitari mantenendo un alto standard scientifico; ma è anche moderna e attrattiva avendo soci e socie giovani interessati alla cultura della chirurgia della caviglia e del piede e appoggiando una donna chirurga a diventare presidentessa di questa società superspecialistica ortopedica. Sono orgogliosa e onorata di ricoprire questo ruolo e con il consiglio direttivo, super equilibrato tra genere, esperienza ed età, insieme al comitato scientifico stiamo lavorando molto bene nella scelta e stesura dei programmi scientifici dei futuri corsi e congressi, con attenzione particolare all’attrattività verso chirurghe e chirurghi giovani, mantenendo una parità di genere.
Vorrei sottolineare come sulle donne penda il cosiddetto “soffitto di cristallo”, una sorta di invisibile barriera che impedisce loro di raggiungere i livelli più alti di una gerarchia: i ruoli direttivi e di responsabilità, i più prestigiosi e i meglio retribuiti. In altre parole, la segregazione occupazionale di genere è da intendersi anche in senso “verticale”. Mi piacerebbe che questa scelta coraggiosa e per certi versi pionieristica della Sicp nel scegliere una presidentessa fosse da esempio per le altre superspecialistiche e per la Siot.
Andrea Peren
Giornalista Tabloid di Ortopedia
DONNE ORTOPEDICO: I NUMERI_La percentuale di ortopediche iscritte alla Siot è appena l’11,4%. Secondo la commissione Pari opportunità della Siot, a livello nazionale e internazionale l’ortopedia ha la più bassa diversificazione di genere tra tutte le specialità chirurgiche, una tendenza che non si è modificata negli ultimi dieci anni. Questa discrepanza esiste a tutti i livelli del percorso di carriera e anche all’interno delle società scientifiche.
Il prossimo futuro non sarà diverso: la proiezione dei dati indica che a fronte di un numero maggiore di donne laureate in medicina e chirurgia è in calo il numero di neo-specialiste in ortopedia e traumatologia. «La comprensione delle cause di tale disuguaglianza ma soprattutto l’analisi dei vantaggi di una più ampia rappresentazione di diversità è fondamentale per la crescita della specialità, il benessere dei propri membri e la qualità assistenziale dei pazienti» scrive la commissione Siot nel documento “Che genere di ortopedia”, pubblicato nel novembre dello scorso anno.
NON SOLO GAP SALARIALE: DONNE CHIRURGO RICEVONO MENO PAZIENTI DAI MEDICI DEL TERRITORIO_Il divario salariale tra uomini e donne in medicina continua a esistere nonostante l’aumento percentuale delle donne nelle università, nei laboratori di ricerca e negli ospedali. Sono state proposte diverse teorie sulla ragione di questo fenomeno, nella consapevolezza che non tutte le disparità salariali possano essere spiegate da fattori come lo stile di vita o le scelte di carriera. Per esempio, è stata sollevata la questione di un possibile bias sistemico nei rinvii dei pazienti ai chirurghi da parte dei medici di base come potenziale elemento di differenziazione nei carichi di lavoro.
Il sospetto è stato confermato da Nancy Baxter dell’Università di Toronto, in Canada, autrice senior di un articolo pubblicato su Jama Surgery, che ha esaminato il rinvio dei pazienti da parte dei medici di medicina generale ai chirurghi in funzione del genere, sia dei chirurghi che dei medici stessi. Il suo team ha affrontato così il tema dell’omofilia, ovvero la tendenza delle persone a relazionarsi preferibilmente con altre dalle caratteristiche simili.
In quasi 40milioni di referral di pazienti verso un totale di 5.660 chirurghi nello stato canadese dell’Ontario, i medici hanno mostrato evidenti preferenze nei confronti dei chirurghi di sesso maschile. In particolare, i chirurghi maschi costituivano il 77,5% del totale, ma hanno ricevuto il 79,3% dei rinvii da parte dei medici donne e l’87,1% dai medici uomini.
Gli autori dello studio non sono stati invece in grado di collegare le discrepanze ad altri fattori, come le caratteristiche dei pazienti, l’esperienza dei chirurghi o la loro disponibilità. L’analisi si è estesa a una vasta gamma di specialità, tra cui chirurgia generale, neurochirurgia, chirurgia plastica, ostetricia e ginecologia, oftalmologia, otorinolaringoiatria, urologia e, naturalmente, ortopedia.
La situazione si riflette ovviamente sui redditi dei chirurghi, e la situazione non cambia se si osserva ciò che accade in tutt’altra parte del mondo: l’Australia. Recenti dati della Workplace Gender Equality Agency hanno riportato un divario retributivo di genere del 14,2%; cinque anni fa era del 16%, quindi la riduzione del gap è stata minima. L’inchiesta australiana ha riguardato diversi settori lavorativi, ma la differenza di reddito si è manifestata con particolare evidenza in ambito sanitario, nonostante le donne siano in maggioranza. Nello specifico, i chirurghi ortopedici maschi hanno guadagnato mediamente 439.629 dollari all’anno, rispetto a una media di 159.479 dollari delle loro colleghe.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia
CONGRESSO NAZIONALE SICP, FOCUS SUL PIEDE PIATTO NELL’ADOLESCENTE E NELL’ADULTO_Giovedì 22 e venerdì 23 settembre si tiene a Udine il 37esimo congresso della Società italiana della caviglia e del piede (Sicp), che quest’anno tratterà un unico argomento (“Evoluzione nel trattamento del piede piatto dell’adolescente e dell’adulto”) in due giornate di lavori congressuali (www.sicp2022.it).
«Il tema scelto ci permetterà di aggiornare la nostra monografia, essendo già stato trattato in passato, ma nelle edizioni più datate – spiegano i presidenti del congresso Antonio Volpe, Renato Gisonni e Araldo Causero –. Riteniamo che la gestione del piede piatto nell’adolescente, ma ancora di più nell’adulto, riservi tuttora degli aspetti controversi. Lo stesso trattamento chirurgico non sempre garantisce risultati in grado di soddisfare le nostre aspettative e quelle dei pazienti. Questo risulta vero soprattutto quando il trattamento non viene basato sulla scelta delle tecniche più adeguate che la letteratura ci propone, spesso eseguite in maniera congiunta».
Nella prima parte del congresso viene inquadrato il piede piatto dal punto di vista anatomico, biomeccanico e fisiopatologico. Nella seconda parte vengono condivisi dei veri e propri algoritmi per l’inquadramento diagnostico, la gestione e il trattamento di questa frequente patologia. «Abbiamo volutamente riservato ampio spazio alle discussioni e alla presentazione dei casi clinici, per confrontare i nostri dubbi e le nostre esperienze e per guidare i colleghi più giovani e quelli che si stanno avvicinando a questa chirurgia verso un approccio scientifico basato sulle evidenze cliniche» commentano i tre presidenti.