Un uomo di anni 37 anni, coniugato senza prole e impiegato come capotreno presso le Ferrovie dello Stato, mentre si trovava in sella al proprio motociclo, con il casco regolarmente allacciato, fu coinvolto in un incidente stradale con dinamica di collisione frontale contro un altro autoveicolo che, immettendosi nella corsia percorsa dal motociclista, non rispettava la dovuta precedenza.
L’uomo veniva immediatamente soccorso e trasportato in codice rosso all’ospedale di riferimento, dove veniva sottoposto ad accertamenti clinico-strumentali per trauma maggiore. Espletate le consulenze specialistiche, il paziente veniva politrasfuso, sottoposto in regime di urgenza a intervento chirurgico di toilette e applicazione di fissatore esterno poliassiale al femore sinistro per damage control in frattura pluriframmentaria del femore destro scomposta e angolata ed esposta (Gustilo IIIa) del III distale e dell’epifisi distale del femore destro, con coinvolgimento bicondiloideo.
Il paziente veniva ricoverato presso il reparto di Ortopedia e Traumatologia per la prosecuzione dell’iter diagnostico-terapeutico e per la definizione e trattamento dell’epatopatia subentrata.
Durante il ricovero, si provvedeva alla conversione del fissatore esterno femorale in riduzione e sintesi interna con placca Liss, oltre ad applicazione di stecca ossea di banca mediale contrapposta alla placca e innesto osseo anteriore. Sempre durante il ricovero, il paziente veniva sottoposto a ulteriore duplice procedura operativa: prelievo di cellule mesenchimali concentrate da ala iliaca e apposizione (di osso da banca morcellizzato) al focolaio di frattura e reinserzione capo costo-addominale con innesto tendineo da banca per rottura del muscolo gran pettorale di sinistra.
A venti giorni dall’operazione il paziente veniva dimesso in modalità di cura domiciliare-ambulatoriale con la diagnosi conclusiva di «frattura pluriframmentaria diafisi ed epifisi distale esposta del femore destro, rottura gran pettorale spalla sinistra», con raccomandazione alla deambulazione in scarico sull’arto inferiore destro per cinque settimane e fisiokinesiterapia, oltre a terapia di profilassi antitromboembolica.
La complicanza infettiva
In trentesima giornata post-chirurgica compariva una fistola secernente alla coscia destra, che richiedeva plurime toilette chirurgiche ed era sostenuta dal ceppo S. epidermidis. Seguivano plurime consulenze ortopediche e infettivologiche per il protrarsi del quadro patologico locale, caratterizzato dalla comparsa di plurime fistole secernenti materiale apparentemente sterile, e toilette chirurgiche con prelievi di campioni tissutali e ossei, sempre negativi per la ricerca di ceppi patogeni. Il paziente eseguiva plurimi cicli di polichemioterapia antibiotica e ossigenoterapia iperbarica.
A 14 mesi circa il paziente veniva nuovamente ricoverato con la diagnosi di «severa osteomielite cronica reacutizzata estesa dal III medio prossimale di femore al massiccio condilico destro, con vasta perdita di sostanza ossea alla metaepifisi distale e massiccio condilico in postumi di frattura, a suo tempo osteosintetizzata con mezzi di sintesi (placca e viti)» (fig. 1). Veniva così sottoposto ad intervento chirurgico di rimozione dei mezzi di sintesi, fistolectomia, toilette e impianto di cemento doppiamente antibiotato seguito dal posizionamento di emistivalone gessato, oltre a plurimi tamponi e prelievi tissutali per esami colturali.
Il decorso post-operatorio era regolare, pertanto il paziente veniva dimesso in modalità di cura domiciliare-ambulatoriale con raccomandazione al mantenimento dell’emistivalone, deambulazione in scarico assoluto all’arto inferiore destro, duplice antibioticoterapia per giorni 35 a somministrazione endovenosa e per os per mesi due, ossigenoterapia iperbarica, esami ematici seriati, verifica radiografica del femore a giorni 7 e 25 e prognosi clinica di mesi sei.
Seguiva ulteriore intervento chirurgico di neurolisi del nervo ulnare al canale cubitale per riscontro clinico-strumentale di sofferenza tronculare.
Dopo ulteriori 5 toilette chirurgiche e plurimi esami colturali su secreto, tessuti molli e ossei sempre non dirimenti, vista la non efficacia delle terapie mediche e fisiche, a circa 24 mesi dall’evento lesivo il paziente veniva nuovamente ricoverato con diagnosi di «esiti frattura femorale destra complicata da infezione dei mezzi di sintesi, vasta osteonecrosi con residua pseudoartosi infetta criptogenica e sub-anchilosi del ginocchio destro dolorosa con ipometria». Previa esecuzione degli esami di rito e ottenimento dei consensi informati (ove veniva palesato che l’intervento chirurgico sarebbe stato di elevata difficoltà tecnica, dubbio risultato con non possibilità di definizione della “nuova normalità funzionale” post-chirurgica) il paziente venne sottoposto a intervento chirurgico di «resezione femorale, artromiolisi tipo Judet e impianto di megaproptesi di femore (III distale e massiccio condilico) e ginocchio, vincolata» (figg. 2, 3, 4 e 5).
Il decorso post-chirurgico nei mesi successivi era regolare, fatto salvo che per il riscontro di «rottura traumatica inveterata della fascia tricipitale e disinserzione parziale del tendine tricipitale brachiale sinistro con tenomalacia», che ha richiesto ulteriore intervento chirurgico di «tenorrafia e reinserzione parziale del tendine tricipitale brachiale sinistro, scarificazioni tendinee, microperforazioni olecraniche e ricostruzione della fascia».
Il paziente si sottoponeva alle cure fisiche e riabilitative e farmacologiche prescritte. La sintomatologia algico-disfunzionale lamentata nelle sedi traumatizzate si ridusse gradualmente, cronicizzandosi nello stato attuale.
A oltre 30 mesi dall’evento lesivo viene diagnosticato da uno psichiatra un rilevante disturbo da stress post-traumatico, che si manifesta con riduzione del tono dell’umore e dell’autostima, riduzione della libido, parziale ritiro sociale e percezioni negative sul sé e sul divenire, anche nell’ambito familiare.
Una comunicazione ufficiale dal datore di lavoro attesta l’inidoneità definitiva alla mansione di capo treno, con demansionamento a specialista tecnico amministrativo.
ESAME MEDICO-LEGALE
Dallo stress post-traumatico al futuro iter clinico
Il complesso menomativo ha prodotto un disturbo psichico di grave entità: il paziente a seguito dell’incidente ha sviluppato una complessa combinazione di sintomi post-traumatici sia a carattere depressivo, sia ansioso-ossessivo.
Per quanto riguarda la sfera depressiva si assiste a un netto calo del tono dell’umore, il soggetto appare tuttora emotivamente distaccato e discosto da tutti, non riesce più a sperimentare emozioni positive né a vivere serenamente le relazioni interpersonali, manifestando un’inconscia determinazione a evitare qualunque atto che lo costringa a rammentare l’evento traumatico.
Si evidenziano ancora sintomi di alterata ed eccessiva attivazione psicomotoria con fenomeni di confusione emotiva e di rabbia e irritabilità, questi ultimi elicitati spesso per futili motivi.
Il quadro clinico è complicato da un cronico stato di ansia, disturbi del sonno con incubi ricorrenti e alterazioni dell’attenzione e della memoria.
Sono presenti fenomeni intrusivi di flashback con ricordi e reminiscenze improvvise di eventi legati all’incidente e al decorso ospedaliero e riabilitativo. Tali immagini, caratteristiche di un disturbo post-traumatico da stress, sono appunto definite intrusive, in quanto il soggetto sente di non averne il controllo e di sentirsi indifeso, presentandosi alla coscienza in modo involontario e disturbante. Si manifestano sia durante il giorno che nella notte, sottoforma di sogni o incubi.
I sintomi manifestati sono diretta conseguenza dell’evento critico. Tutti questi sintomi appaiono di carattere cronico e risultano particolarmente disturbanti e peggiorano sensibilmente la qualità della vita, già compromessa dallo stato di handicap, con ripercussioni sull’esistenza del paziente e dei suoi familiari, e incidono profondamente sul suo stato emotivo, le sue abitudini quotidiane, coinvolgendo tutti gli assetti relazionali all’interno dell’ambiente in cui vive.
Complicanze future sono certe
Il nesso di causalità tra l’evento lesivo e la lesione accertata è facilmente dimostrato applicando i classici criteri medico-legali di riferimento eziologico (cronologico, topografico, adeguatezza qualitativa e quantitativa della causa lesiva presunta, esclusione di altre possibili eziologie).
Quindi il corretto trattamento chirurgico, medico-rianimatorio e fisiatrico ha impedito sicuramente complicanze ancor più gravi con possibile morte, ha consentito all’infortunato di non rimanere allettato e amputato alla coscia destra e una discreta ripresa funzionale. Il quadro clinico e le alterazioni anatomo-funzionali cagionate dai gravi esiti fratturativi sono da considerare ormai stabilizzati nella loro evoluzione per il tempo trascorso dal momento delle lesioni traumatiche, che rende imprevedibile un’ulteriore ripresa della funzione muscolare e articolare.
Non si possono escludere complicanze future: infettivologiche, da briglie aderenziali muscolo-fasciali, da evolutività artrosica del rachide dorso-lombare e all’anca destra per alterata cinematica articolare del modulo lombopelvico e da usura delle componenti protesiche, con certa necessità di revisione dell’impianto per almeno una ulteriore volta nella vita, vista la tipologia di materiali utilizzati, la giovane età del paziente e le sue necessità funzionali. Relativamente a questo aspetto, la revisione sarà decisamente difficoltosa e invasiva, viste le alterazioni indotte dall’evento traumatico e la complessa procedura operativa richiesta per il primo impianto di megaprotesi da resezione del III medio-distale di femore e ginocchio. A tal proposito la revisione dell’impianto, auspicabile entro 15-20 anni circa, prevederà con una buona probabilità un espianto della protesi in essere e impianto di megaprotesi di anca-femore e ginocchio.
Rilievi clinici: l’osteomielite
L’osteomielite è un’infezione che coinvolge l’osso e può essere classificata in base al meccanismo di infezione e della durata della malattia. È un’infezione da focolaio contiguo e comprende le osteomieliti post-traumatiche, in cui il coinvolgimento osseo può essere sia secondario (a macro contaminazione dei tessuti molli), sia correlato alla contaminazione dei mezzi di sintesi impiegati per il trattamento delle fratture.
L’esposizione della frattura determina una contaminazione batterica dei tessuti ossei e muscolo-tendinei. La patologia è insita nella lesione stessa e, quindi, non è evitabile né tantomeno prevedibile.
Si distinguono quattro stadi di coinvolgimento osseo (è ancora attuale la classificazione di Cierny-Hadar) e tre condizioni fisiopatologiche dell’ospite. Dalla valutazione del quadro locale e dell’ospite deriva una proposta specifica di trattamento.
Nel trattamento delle infezioni post-traumatiche ed ematogene, gli interventi sono vari e hanno l’obiettivo di eradicare la malattia con un approccio chirurgico mirato e una rigorosa terapia antibiotica.
CONSIDERAZIONE MEDICO-LEGALI
Valutazione del danno e delle spese future
La documentazione medica, i dati storico-clinici, i rilievi semeiologici fatti nel corso dell’attuale visita medico-legale e le considerazioni epicritiche di cui sopra comprovano che le gravi lesioni iniziali sono evolute con un danno biologico temporaneo e permanente in ambito di responsabilità civile.
L’inabilità biologica temporanea durò equitativamente per mille giorni, da articolarsi, in considerazione della graduale attenuazione e stabilizzazione del quadro clinico acuto iniziale e della progressiva ripresa funzionale, in:
– inabilità biologica temporanea al 100% per 200 giorni (periodi di spedalizzazione e immediato post-operatorio);
– inabilità biologica temporanea al 75% per 800 giorni;
– inabilità biologica temporanea futura prospettabile per certa necessità di ulteriore procedura di riprotesizzazione legata all’inevitabile usura dei materiali, come evidente nella letteratura specifica: 180 giorni, mediamente al 75%.
Per la valutazione del danno biologico permanente occorre far riferimento ai più accreditati barèmes desumibili dalla letteratura medico-legale (1, 2, 3).
La complessa situazione menomativa residuata alla frattura femorale non trova specifici riferimenti tabellari e pertanto occorre procedere per analogia prendendo a riferimento alcuni parametri.
1) Monoparesi arto inferiore con moderato deficit di forza, andatura falciante possibile solo con appoggio: da 25 a 35%.
2) Protesi di ginocchio classe III: da 21 a 25%.
3) Accorciamento dell’arto inferiore tra 2 e 8 cm: da 3 a15%.
4) Limitazione del movimento di flessione dell’anca con escursione articolare possibile oltre 90° associata a deficit degli atri movimenti: da 5 a 15 %.
5) Danno fisiognomico, pregiudizio estetico da lieve a moderato: da 6 a 15%.
6) Disturbo somatoforme indifferenziato moderato o disturbo dell’adattamento cronico moderato: da 6% a 9%.
7) Amputazione di coscia a qualsiasi livello, a seconda della possibilità di applicazione di protesi efficace: da 45 a 60%.
Devono inoltre essere considerati i danni da lesione del tendine tricipitale brachiale sinistro e del gran pettorale, da sindrome canalicolare del nervo ulnare operato, da polichemioterapia prolungata, da politrasfusione e gli esiti cicatriziali plurimi.
Ovviamente non si può procedere alla somma matematica delle percentuali di invalidità relative alle singole menomazioni, ma bisogna stimare l’effettiva incidenza del complesso delle menomazioni stesse sull’integrità psicofisica della persona dell’infortunato, comprensiva delle limitazioni dinamico-relazionali. Procedendo con questi criteri valutativi, il danno permanente nel caso in esame risulta essere non inferiore al 50% circa di danno biologico permanente in ambito di responsabilità civile.
Emerge in questo caso la difficoltà a valutare i macrodanni, posto che la valutazione percentuale non può che derivare da una contrazione della valutazione complessiva e risulta in qualche modo sacrificata rispetto a quella dei danni di minore entità. La metodologia valutativa deve, pertanto, fare riferimento a reperti oggettivabili, partendo dallo studio della documentazione inerente l’iter clinico, proseguendo con l’indagine anamnestica e arrivando poi all’indagine clinica con lo studio della funzionalità dei singoli distretti corporei.
Devono essere inoltre considerati altri tre elementi.
1) Il problema della sofferenza morale. La gravità delle lesioni patite, la prolungata ospedalizzazione e la compromissione motoria furono tali che dobbiamo valutare la sofferenza morale nella fase dell’invalidità temporanea come massima. La necessità di assistenza per alcune mansioni della vita ordinaria, l’evidente percezione da parte di terzi delle gravi residuate e i patemi per le rinunce nella vita sono indicatori che ci consentono di ritenere che la sofferenza morale nell’invalidità permanente sia moderata nel caso in esame. Diversamente espresso, si ottiene un punteggio di 100/100 secondo il vigente orientamento per quanto concerne la sofferenza temporanea e 60/100 permanente (interpretando la recente tabella valutativa inserita nella “Guida alla valutazione medico legale dell’invalidità permanente”) (3).
2) Il danno da lucro cessante legato alla riduzione retributiva e contributiva per il demansionamento subito
3) La perdita di chance di carriera per impossibilità all’avanzamento, da corrispondere in capitale attualizzato.
Spese sostenute e spese future
L’infortunato fu costretto ad esborsi di denaro per visite mediche, esami strumentali, cure fisiche ed acquisto di farmaci e ausili e per la procedura operativa di chirurgia protesica articolare interna ricostruttiva. Tali spese, essendosi rese necessarie per la diagnosi e cura della lesione accertata, sono da qualificarsi come spese mediche, da giudicarsi congrue e quindi da risarcirsi secondo documentazione.
Sono certe ulteriori spese future.
1) Periodici cicli riabilitativi e cure fisiche (dispensabili per la maggior parte dal Ssn).
2) Realizzazione di ortesi su misura per l’ottimizzazione della cinematica del passo. Il costo medio stimabile è di 1.500 euro circa a cadenza biannuale per 40 anni.
3) Revisione dell’impianto protesico e sostituzione con megaprotesi di anca-femore e ginocchio, con costo chirurgico e riabilitativo di circa 85.000/100.000 euro. Tale intervento chirurgico, di estrema difficoltà tecnica, dovrà essere eseguito in regime di solvenza in quanto i costi legati alla procedura operativa e alla tipologia di materiali e impianto richiesti eccedono, di gran lunga, i rimborsi previsti dai Drg (analoga problematica riscontrata per la procedura operativa già condotta). Tale procedura operativa verosimilmente comporterà un ulteriore danno biologico del 25%, con incremento dei giorni di malattia verosimilmente di mesi 6, mediamente al 75%.
Bibliografia:
1. Simla. Linee guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico. Milano, 2016.
2. Palmieri, Umani Ronchi, Bolino, Fedeli. La valutazione medico-legale del danno biologico in responsabilità civile. Milano, 2006.
3. Ronchi, Mastroroberto, Genovese. Guida alla valutazione medico-legale dell’invalidità permanente. Milano, 2016.
Autori
Fabio Maria Donelli Ortopedico e medico legale, Prof. a.c. presso la scuola di specializzazione in Ortopedia e Traumatologia dell’Università di Pisa
Tiziano Villa Direttore dell’unità operativa di ortopedia e Traumatologia del GB Mangioni Hospital di Lecco
Mario Gabbrielli Professore ordinario di medicina legale all’Università di Siena