CM, 47enne all’epoca dei fatti, a bordo di motocicletta quale passeggera, fu coinvolta in un sinistro stradale (travolta frontalmente da autofurgone).
Presso il pronto soccorso dell’Ospedale San Carlo Borromeo di Milano, fu posta diagnosi di «frattura polso destro, frattura astragalo tibio-tarsica sinistra». La Tac alla caviglia sinistra indicò «frattura pluriframmentaria scomposta dell’astragalo con alterati rapporti articolari tra astragalo e calcagno. Infrazione del margine superiore del calcagno» (fig. 1).
In pronto soccorso fu praticata manovra riduttiva della frattura del polso destro e confezionato apparecchio gessato, quindi eseguito esame radiologico, con evidenza di «controllo in gesso di frattura distale del radio in buona posizione. Rapporti articolari conservati».
CM fu quindi ricoverata presso il reparto ortopedico per il proseguimento delle cure. Nel corso della degenza fu sottoposta a intervento chirurgico di riduzione e stabilizzazione della frattura dell’astragalo sinistro con placca e viti, venendo poi dimessa con diagnosi di «politrauma da incidente motociclistico: frattura astragalo a sinistra, frattura radio-ulno distale a destra, trauma cranico con lieve emorragia subaracnoidea».
Seguirono plurimi controlli clinici e radiologici ambulatoriali, nel corso dei quali fu anche accertato un deficit di estensione Epa, oltre a lesioni all’emiarcata dentaria superiore destra, così da consigliarsi visita odontostomatologica.
Un esame Tac del piede sinistro, eseguito a quattro mesi dal trauma, fu così refertato: «sono evidenti gli esiti di nota frattura pluriframmentaria comminuta dell’astragalo con viti metalliche di sintesi in sede. Non evidenti significativi fenomeni osteoriparativi». Nel corso delle successive visite ortopediche, constatato un ritardo di guarigione della frattura astragalica, fu consigliato ciclo di magnetoterapia, onde d’urto, carico con due stampelle al 30-50%; fu segnalata la possibilità di esecuzione di intervento chirurgico di triplice artrodesi in caso di mancata guarigione.
In corso di visita ortopedica, eseguita a sei mesi dal trauma, fu consigliato ricovero per intervento di protesi di caviglia con accesso laterale e osteotomia del perone, più eventuale artrodesi sotto astragalica.
Una Tac della caviglia e del piede sinistro, eseguita a sette mesi, documentò segni riferibili a pseudoartrosi di frattura astragalica con probabile sofferenza del trofismo osseo del frammento di cupola astragalica. Altre radiografie, Rmn e Tac confermarono il ritardo di consolidazione in evoluzione pseudoartrosica (fig. 2).
Dopo circa 18 mesi dal trauma la paziente fu sottoposta a intervento chirurgico di protesi di caviglia con accesso laterale e osteotomia del perone. Dopo un regolare decorso post-operatorio fu dimessa con prescrizione di deambulazione con ausili in divieto di carico sull’arto operato, ginnastica di mobilizzazione delle dita del piede, stivaletto gessato da mantenere per tre settimane, terapia farmacologica antitromboembolica, antiflogistica e antidolorifica. Una indagine radiologica di controllo documentò il corretto posizionamento dei mezzi di sintesi.
Prima dell’intervento alla caviglia, CM fu visitata da neurologo e otorino per il riscontro di «ipoacusia AU destro» post-trauma cranico. La psicologa, consultata per disturbi d’ansia, con deflessione del tono dell’umore, descrisse un quadro di sintomatologia ansiosa-depressiva in probabile disturbo post-traumatico da stress.
Alla visita otorinolaringoiatrica fu segnalata una problematica occlusale, poi approfondita con esame kinesiografico ed elettromiografico per la ricerca dei dati occlusali, dai quali derivò: «apertura conservata, clic in apertura Atm destra, dolente alla palpazione a tutti i muscoli stomatognatici e posturali craniali più accentuata a destra».
Intanto la paziente fu sospesa dal servizio di guardia giurata e dalla retribuzione.
Rilievi clinici: pseudoartrosi e protesi di caviglia
La pseudoartosi è un difetto di guarigione di una frattura che perdura nonostante sia trascorso un ragionevole periodo di tempo. Si verifica quando si ha un ritardo di consolidazione oltre i sei mesi, mentre si parla di semplice ritardo di consolidazione quando il timing di guarigione avviene nell’arco di tre-quattro mesi.
La diagnosi è clinica e radiografica. L’incidenza deriva dal tipo di frattura e si possono avere fratture della diafisi tibiale, dello scafoide e dell’astragalo, che presentano un rischio maggiore di pseudoartrosi a causa di una vascolarizzazione minore.
La pseudoartrosi si divide in atrofica (quando presenta scarsa vascolarizzazione e alla radiografia vi è un quadro di scarsa qualità ossea con margini assottigliati) e ipertrofica (quando presenta una buona vascolarizzazione).
La protesi di caviglia è una soluzione affidabile per le problematiche post-traumatiche che portano frequentemente a esiti invalidanti e progressivi.
Storicamente la soluzione elettiva è stata l’artrodesi, con discreto risultato funzionale e risoluzione del dolore, nonostante il sacrificio di una o più articolazioni.
Dopo un percorso non privo di difficoltà, oggi la protesi di caviglia è una realtà e rappresenta un’alternativa all’artrodesi. È considerata affidabile e dovrebbe avere le caratteristiche di risparmio dell’osso del paziente, ottenere una caviglia in asse per garantire stabilità e funzionalità, permettere il resurfacing, ovvero la possibilità di avere una caviglia naturale.
ESAME MEDICO-LEGALE
Le sequele fisiche e psichiche: dall’articolazione temporo-mandibolare all’arto inferiore
In sede di visita medico-legale furono descritti i seguenti rilievi semeiologici.
Arto inferiore sinistro: atteggiato in modesta flessione plantare della tibio-tarsica e del primo raggio. Cicatrice lunga 12,5 cm si rileva sulla superficie laterale dell’estremo distale peroneale, estesa fino alla regione sottomalleolare, di cromatismo brunastro scuro. Presenza di cicatrice lineariforme lunga 9,5 cm a partenza dall’apice del profilo mediale malleolare ed estesa fino alla regione mediotarsica. Vivo dolore digitopressorio mirato in corrispondenza del comparto mediale e della superficie perimalleolare mediale. Vivo dolore anche a livello della regione astragalo-scafoidea e sul comparto laterale. Marcato ispessimento del profilo anatomico achilleo alla sua inserzione calcaneare, vivamente dolente alla palpazione, come per quadro di tendinosi. L’articolarità della tibio-tarsica registra un deficit della flessione dorsale di circa 2/3 e della flessione plantare di circa 2/3; anchilosi della sotto-astragalica. Deficit estensorio dell’alluce che si presenta anche modicamente ipostenico, con consensuale semiflessione plantare dell’interfalangea.
Ginocchio fresco e asciutto. Dolente in corrispondenza del comparto laterale e all’inserzione prossimale del collaterale laterale. Flessione completa, estensione completa. Le perimetrie seriate documentano un plus di 1 cm in pararotulea sinistra, minus di 2,5 cm alla sura a sinistra, plus di 3 cm alla bimalleolare sinistra e plus di quasi 1 cm alla mediotarsica sinistra. Accosciamento ridotto sin dai primissimi gradi. Deambula con marcata zoppia, importante impaccio e con atteggiamento in eversione del piede sinistro. Accentuazione del varismo calcaneare.
La relazione di visita odontostomatologica a finalità medico-legale aveva evidenziato «una incoordinazione articolare temporo-mandibolare, oggi oggettivamente riscontrata dal “click” precoce e dalla deflessione in massima apertura della bocca. La sensazione di ovattamento uditivo riferita è da attribuire alla distrazione dei legamenti sfeno e disco-mandibolare, il primo inserito alla parete mediale della capsula articolare e al martello, il secondo a martello e tessuto retrodiscale. Inoltre, per quanto riguarda i denti, vi sono una frattura dell’incisivo centrale e una dell’incisivo laterale all’emiarcata superiore destra, entrambe smalto-dentinali a tutto spessore di chiara origine traumatica. L’incisivo laterale è necrotico e l’altro dovrà essere devitalizzato. Entrambi necessiteranno di protesizzazione. Tali postumi costituiscono una permanente diminuzione dell’integrità psico-fisica quantificabile con cinque punti percentuali. L’invalidità temporanea è stimabile in 90 giorni al 25%».
Fu nel contempo redatto parere psichiatrico forense, dal quale emersero le seguenti risultanze: «il quadro clinico attuale è quello di un disturbo dell’adattamento, cronico, moderato e complicato. Conclusioni: sussiste, nella fattispecie, in capo alla paziente, una invalidità neuropsichica autonoma da correlare causalmente al sinistro in esame diagnosticabile come disturbo dell’adattamento, cronico, moderato-complicato. In considerazione del particolare vissuto soggettivo della paziente e di una espressività legata a fattori costituzionali si indica un danno biologico cronico (permanente) di natura psichica valutabile, allo stato attuale, in misura del 11%, sulla scorta delle linee guida della Simla».
VALUTAZIONE MEDICO-LEGALE
Valutazione del danno: dagli aspetti funzionali a quelli estetici
Allo stato attuale residua limitazione funzionale dell’organo della statica e della deambulazione, con impedimento ad attività della vita quotidiana, ivi comprese quelle lavorative, ginnico-sportive o semplicemente ludiche. In particolare, ne è derivata una importantissima inibizione dell’efficienza deambulatoria, con marcata zoppia, evidente impaccio e atteggiamento in eversione del piede sinistro, con consensuale accentuazione del varismo calcaneare, tali da determinare un alterato equilibrio posturale statico-dinamico da deficit propriocettivo post-traumatico. La paziente tuttora deambula con ausilio di bastoni canadesi e con evidente zoppia. Si sottopone periodicamente a controlli clinici e radiografici ed esegue intensi trattamenti riabilitativi giornalieri.
Un simile quadro, pur non drasticamente menomativo nell’immediato, rappresenta tuttavia un attendibile presupposto allo svilupparsi o quantomeno all’aggravarsi di forme artrodegenerative interessanti sia la colonna vertebrale che l’articolazione coxo-femorale.
Dovranno essere anche considerate le conseguenze del traumatismo cranio-encefalico e del polso sinistro, nonché la valenza estetica dei reliquati cicatriziali residuati che, seppur intervenuti in un soggetto di giovane età, non possono essere ignorati. Ecco che una zoppia, prima considerata solo un danno funzionale, ha col tempo assunto caratteristiche di inestetismo, seppur solo comportamentale, da relazionarsi a un peggioramento dell’estetica della figura umana.
Pertanto, tenuto conto altresì dei rilievi clinico-valutativi odontoiatrici e neuro-psichici, si ritiene che il complesso menomativo rilevato, nella fase di iniziale stabilizzazione, configura un sostanziale decremento della preesistente integrità psico-fisica e fattore di sviluppo di fenomeni degenerativi, tanto da poter essere utilmente proposto come condizione invalidante permanente, alla stregua del cosiddetto “danno biologico permanente” nella misura pari al 45%.
È altresì evidente che tale valutazione espressa in ambito di efficienza psico-fisica abbia sostanziali ricadute anche sulla capacità lavorativa specifica. Nello specifico, al momento dovrà essere considerata abolita la capacità lavorativa di guardia giurata operativa, difficilmente recuperabile.
A seguito delle lesioni subite si determinò per la signora MC un periodo di impedimento temporaneo delle capacità e libertà di espressione psico-fisica autonoma delle proprie istanze lavorative e genericamente sociali. Tale condizione, configurabile come danno biologico temporaneo assoluto (al 100%), è da considerarsi estesa per un periodo di 18 giorni, riferendo a tale valutazione ogni periodo di allettamento ospedaliero.
Deve, inoltre, considerarsi un periodo configurabile come danno biologico temporaneo parziale (al 75%) in ordine all’imposto divieto di carico assoluto e alla fruizione di doppio appoggio antibrachiale. Tale periodo è valutabile in circa 8 mesi.
Può, altresì, essere prospettato un periodo configurabile come danno biologico temporaneo parziale (al 50%), riconducibile alla progressiva, seppur assai incompleta, ripresa funzionale, per un ulteriore periodo di circa 8 mesi.
In considerazione della ancora giovane età della signora MC, tenuto conto della durata media di una protesi di caviglia (mediamente 10-15 anni), si renderanno necessari in futuro due interventi di re-impianto protesico, con un prevedibile periodo di ospedalizzazione e relativa convalescenza post-operatoria, tale da potersi ipotizzare il riconoscimento di un periodo di inabilità temporanea assoluta di complessivi 15 giorni, oltre a un periodo di inabilità temporanea parziale, mediamente al 75%, per complessivi 60 giorni, seguito da un periodo di inabilità temporanea parziale al 50% di ulteriori 60 giorni per le fasi di maggiore impegno funzionale.
Una valutazione complessa
La lettura della trattazione del caso in esame impone alcune osservazioni.
Dal punto di vista clinico emerge anzitutto l’osservazione che la protesi di caviglia non ha avuto un grande risultato, posto che permane la sintomatologia dolorosa e la motilità acquisita (riduzione 2/3 flessione dorsale e plantare, abolizione movimenti sottoastragalica) è modesta: tenuto conto della segnalata necessità di sostituzioni della protesi e la cruentazione operatoria dei tessuti non sembra vi sia stato un grande vantaggio rispetto alla (alternativa) artrodesi.
Si è trattato di un quadro lesivo complesso, cui è conseguito un prolungato periodo di malattia costituente un danno biologico temporaneo, periodo che potrebbe essere articolato in modo diverso, posto che la valutazione del 100% non può essere limitata al solo periodo di allettamento: essendo interessati tra l’altro un arto superiore e un arto inferiore si può tranquillamente estendere il periodo di danno biologico temporaneo al 100% ad almeno tre mesi, rimodulando la durata del 75% e del 50%.
Sono residuati postumi interessanti più organi ed apparati (compresa la componente psichica) e la valutazione medico legale in forma percentualistica mostra i limiti noti nel caso di macrodanni, posto che non potendosi effettuare una somma algebrica delle valutazioni dei singoli danni a livello dei vari apparati si arriva a una cifra importante (45%), ma inevitabilmente riduttiva. Sarà importante, anche alla luce delle ultime pronunce giurisprudenziali, operare una accurata descrizione delle sofferenze patite dalla signora nell’iter clinico e delle modificazioni peggiorative permanenti, al fine di consentire al giudice un corretto inquadramento del danno morale e un completo ristoro dei postumi permanenti al di là della valutazione numerica.
La valutazione del danno patrimoniale è relativamente semplice, essendosi realizzata la condizione che un danno biologico importante ha determinato la perdita della capacità lavorativa specifica.
Autori
Fabio Maria Donelli Ortopedico e medico legale, Prof. a.c. presso la scuola di specializzazione in Ortopedia e Traumatologia dell’Università di Pisa

Giuseppe Basile
Giuseppe Basile Specialista in ortopedia e traumatologia e in medicina legale, Medico ricercatore Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano,
Medico consulente dell’equipe di Traumatologia e P.S. dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, Responsabile del servizio di Medicina Legale
dell’Istituto Clinico San Siro di Milano
Mario Gabbrielli Professore ordinario di medicina legale all’Università di Siena