Le evidenze scientifiche sui nutraceutici sono state raccolte in una pubblicazione promossa da Integratori Italia. In tutta Europa in assenza di un regolamento specifico la legislazione che disciplina gli integratori alimentari è quella sugli alimenti comuni
Spesso controverso e tendenzialmente considerato marginale in ambito medico, il tema degli effetti nutrizionali e salutistici degli integratori alimentari sta invece assumendo un rilievo sempre maggiore dal punto di vista sanitario. La straordinaria espansione di mercato che ha caratterizzato il settore negli ultimi anni non può essere sottovalutata, e non solo come fenomeno di consumo che interessa fasce via via più ampie e variegate di popolazione.
Il ruolo protettivo/curativo potenzialmente rivestito dalla supplementazione dietetica di micronutrienti e di alcuni composti funzionali di origine vegetale nonché di probiotici e prebiotici sta da qualche tempo focalizzando l’interesse della comunità scientifica parallelamente a quello degli enti regolatori deputati a garantire la sicurezza e la salubrità dei prodotti classificati come integratori. A tale proposito un evento nazionale degno di nota è stata la recente pubblicazione della prima edizione del documento “Review scientifica sull’integrazione alimentare” promosso da Integratori Italia, gruppo merceologico dell’Associazione italiana industrie prodotti alimentari (Aiipa) e membro a livello internazionale di Food Supplements Europe (Fse) e della International Alliance of Dietary/Food Supplements Association (Adsa), che è stato presentato alla stampa a Milano lo scorso giugno.
Come sottolineato in quella sede dal presidente di Integratori Italia Alessandro Colombo, il progetto di realizzare, con la collaborazione di un pool di otto esperti di scienze della nutrizione, una review scientifica sull’argomento è nato in risposta alle istanze emerse dall’indagine effettuata nel 2014 da Gfk Eurisko per FederSalus sugli orientamenti dei consumatori italiani in merito. Tra i dati di Eurisko, infatti, spiccavano la consistente quota del 65% degli intervistati che dichiarava di avere fatto ricorso ad almeno un integratore nell’ultimo anno (con un trend in crescita del 15% rispetto all’anno precedente, a dispetto della crisi economica), la prevalenza delle esigenze di cura (48%) e di prevenzione (38%) tra le motivazioni addotte, la predilezione per le figure professionali esperte, in primo luogo del medico e poi del farmacista, quali interlocutori per l’indicazione all’uso (74%) e l’esigenza di reperire informazioni dettagliate e affidabili sui prodotti di interesse prima dell’acquisto (66%).
Nel corso dello stesso anno le vendite di integratori nel solo comparto farmaceutico facevano registrare un fatturato di oltre due miliardi di euro per un totale di quasi 145 milioni di confezioni.
La supplementazione evidence-based
Gli studi scientifici pubblicati negli ultimi decenni hanno dimostrato chiaramente che la dieta è in grado di influenzare processi fisiologici e meccanismi fisiopatologici, non solo per gli effetti metabolici dell’apporto calorico e del rapporto tra macronutrienti ma anche per il ruolo di tipo funzionale che i diversi micronutrienti possono esercitare. Tale consapevolezza è ciò che ha spinto a inglobare tutte le sostanze funzionali naturalmente presenti negli alimenti, in aggiunta ai derivati vegetali (botanicals) ai quali vengono attribuiti effetti sulla salute e ai microrganismi probiotici, nell’ampia categoria dei “nutraceutici”, come ormai sono comunemente indicati con il neologismo sincratico appositamente coniato alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso.
La review di Integratori Italia fa il punto sulle principali direttrici della ricerca scientifica del settore (effetti dei singoli nutraceutici sui processi fisiologici e sulle funzioni cellulari alla base delle principali patologie, azione protettiva nei confronti dello stress ossidativo, compensazione degli squilibri metabolici, supporto alle funzioni del microbiota intestinale, ecc.) e sulle relative applicazioni (prevenzione delle malattie cardiovascolari, della patologia tumorale e delle malattie neurodegenerative, regolazione delle alterazioni fisiologiche dell’organismo femminile nelle varie fasi della vita, riequilibrio delle condizioni di discomfort gastrointestinale, contrasto dei processi di invecchiamento, ecc).
Tra i componenti attivi sui quali confluisce la maggior parte delle evidenze scientifiche (oltre alle vitamine e ai minerali, ormai ben conosciuti): gli acidi grassi polinsaturi (in particolare gli omega-3 Epa e Dha), i fitosteroli, i polifenoli (in particolare antocianine, procianidine, catechine, flavanoli, resveratrolo, curcumina), gli ipolipemizzanti naturali di recente scoperta (monacolina K, berberina), le fibre solubili e insolubili alle quali sono riconosciute proprietà di regolazione della funzione intestinale (tra cui quella prebiotica) e di protezione del sistema cardiovascolare, i ceppi di batteri probiotici appartenenti ai generi Lactobacillus e Bifidobacterium.
Il tema delle proprietà salutistiche della dieta e della supplementazione con sostanze funzionali resta comunque, dal punto di vista scientifico, uno dei più complessi, sia per la difficoltà di isolare gli effetti specifici dei singoli nutrienti e di rilevarne la salubrità sul lungo periodo, sia per la rilevanza che assumono le interazioni talora sinergiche talora antagoniste tra di essi e tra componenti nutrizionali ed esposizioni ambientali di altra natura.
Una normativa in prestito dagli alimenti
In assenza di un regolamento specifico la legislazione che disciplina gli integratori è quella sugli alimenti comuni.
A livello europeo il riferimento normativo è costituito dalla direttiva 46 del 10 giugno 2002 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardante la definizione delle funzioni nutrizionali e fisiologiche, delle modalità di assunzione e degli apporti minimi e massimi raccomandati per i diversi componenti sulla base di presupposti e dati scientifici, la specificazione dei parametri relativi alla sicurezza d’uso e l’esplicitazione dei requisiti di etichettatura; nonché dai successivi provvedimenti di integrazione e modifica degli elenchi delle sostanze inizialmente incluse negli allegati I e II della direttiva.
In Italia la direttiva europea è stata recepita con il decreto legislativo 169 del 21 maggio 2004, nel quale all’articolo 2 gli integratori sono definiti «prodotti alimentari destinati a integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate».
Anche la diffusione al pubblico degli integratori deve seguire le indicazioni delle normative sull’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari, regolate in Italia dal decreto legislativo 109 del 1992 di attuazione delle corrispondenti direttive europee (di recente unificate nel Regolamento UE 1169/2011, che entro la fine di quest’anno includerà, ma solo per gli alimenti comuni, anche le disposizioni sull’etichettatura nutrizionale del regolamento CE 1924/2006).
Nel 2002, in concomitanza con l’emissione della direttiva 46, la Commissione europea ha inoltre incaricato la European Food Safety Authority (Efsa) di valutare la sicurezza e la biodisponibilità delle fonti di nutrienti per le quali viene presentata domanda di autorizzazione ai fini dell’inclusione nell’elenco delle sostanze previste negli allegati, oltre che, attraverso il panel di esperti su prodotti dietetici, nutrizione e allergie (Nda), di definire i possibili effetti indesiderati di singoli nutrienti a dosi che superino il fabbisogno alimentare e, laddove possibile, identificarne gli apporti massimi tollerabili in un’assunzione giornaliera continua.
L’Efsa ha inoltre il potere di autorizzare, sulla base di adeguate evidenze scientifiche, l’uso nella comunicazione al pubblico di indicazioni nutrizionali e salutistiche (i cosiddetti claims) concernenti i singoli componenti.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia
IL CASO DEI «BOTANICALS»
I prodotti contenenti ingredienti vegetali o loro derivati rappresentano un caso particolare, potendo rientrare in categorie diverse e avere pertanto vincoli normativi differenti. Botanicals possono infatti essere presenti in prodotti facenti capo alla legislazione del farmaco (come principi attivi di farmaci convenzionali, Otc, tradizionali, omeopatici), in alimenti e prodotti dietetici inclusi nella legislazione alimentare (alimenti di origine vegetale, alimenti arricchiti, integratori) e infine in prodotti salutistici di varia natura disciplinati come presidi medici (colliri, collutori, ecc.).
A complicare ulteriormente la situazione, relativamente ai prodotti contenenti botanicals, i riferimenti normativi non sono armonizzati tra i vari Paesi, compresi quelli dell’Unione europea. Per quanto riguarda la categoria qui di interesse, quella degli integratori alimentari, uno degli aspetti più critici in proposito, costituito dalla mancanza di omogeneità tra le liste degli ingredienti botanici ammessi nei diversi Stati, è stato di recente affrontato da un’iniziativa concordata tra Belgio, Francia e Italia che ha portato alla compilazione di una lista condivisa (nota con l’acronimo Belfrit), attualmente inclusa nella normativa nazionale con il decreto del ministero della Salute del 27 marzo 2014.
Altra nota dolente della regolamentazione degli integratori alimentari in generale, e a maggior ragione di quelli contenenti principi attivi di origine vegetale, è la mancanza, nella maggior parte dei casi, dell’autorizzazione all’uso di claims nutrizionali/funzionali in etichetta e quindi di indicazioni salutistiche destinate al consumatore, essendo tale autorizzazione condizionata dall’esistenza di dati scientifici in merito statisticamente rilevanti ed essendo preclusa per i botanicals presenti negli integratori, a differenza di quanto avviene per quelli di competenza farmaceutica, la “validazione” determinata dalla cosiddetta tradizione d’uso.
Una realtà che si scontra con la diffusione in libera vendita di tali prodotti, lasciando il consumatore disinformato riguardo ai possibili benefici e d’altro canto esposto al rischio di eventi avversi, legati agli effetti fisiologici dei principi botanici e/o all’eventuale interazione degli stessi tra loro o con i farmaci convenzionali.