
Pubblicato su Efort Open Reviews un aggiornamento delle strategie per la prevenzione del tromboembolismo venoso in ortopedia. Confermata come prima scelta l’eparina a basso peso molecolare. Da altri studi arrivano però conferme sull’efficacia dell’aspirina
Sappiamo dalla letteratura che la chirurgia ortopedica maggiore è quella che predispone al maggior rischio per malattia tromboembolica venosa (Tev). Nelle quattro o cinque settimane successive all’intervento, in assenza di una profilassi post-ospedaliera, il rischio di trombosi venosa profonda e tromboembolia polmonare è consistente.
Su Efort Open Reviews, la rivista ufficiale della European Federation of National Associations of Orthopaedics and Traumatology, è stato pubblicato un articolo (1) in cui il greco Dimitrios Flevas e il suo team di ortopedici dell’Università di Atene fanno una revisione della profilassi del Tev in ortopedia.
I clinici iniziano proprio fornendo delle cifre, attinte dagli studi epidemiologici, che danno un’idea precisa della delicatezza del problema. Senza una profilassi adeguata, la tromboembolia polmonare è responsabile di una percentuale tra il 5 e il 10% dei decessi ospedalieri; la loro incidenza è stimata tra lo 0,1 e lo 0,8% dopo chirurgia elettiva in generale, tra il 2 e il 3% dopo sostituzione d’anca elettiva e tra il 4 e il 7% dopo un intervento all’anca dovuto a frattura. L’incidenza complessiva della trombosi venosa profonda nei pazienti ospedalizzati nei reparti di medicina e chirurgia generale è compresa tra il 10 e il 40%, ma dopo un intervento di chirurgia ortopedica maggiore sale tra il 40 e il 60%.
I metodi di profilassi del Tev rientrano in due categorie: meccanici e farmacologici. I primi comprendono la mobilitazione, le calze a compressione graduata, la terapia a compressione pneumatica intermittente, le pompe plantari e comportano alcuni vantaggi evidenti, in quanto non si associano al pericolo di emorragie, non necessitano di monitoraggio di laboratorio e non hanno effetti collaterali clinicamente rilevanti; inoltre possono integrare la somministrazione degli agenti anticoagulanti, potenziandone gli effetti. Tra gli svantaggi di questi metodi figurano la difficoltà di implementazione e la difficoltà di compliance da parte del paziente, a causa della ridotta capacità di movimento e per il disagio che possono comportare. Inoltre non esistono evidenze certe della riduzione della mortalità della profilassi meccanica.
Gli approcci farmacologici si avvalgono di aspirina, eparina non frazionata, eparina a basso peso molecolare (Ebpm), antagonisti della vitamina K a dosaggio personalizzato, inibitori del fattore Xa.
A conclusione della loro disamina, Flevas e colleghi si esprimono a favore dell’eparina a basso peso molecolare che «sembra essere più efficace rispetto agli altri agenti disponibili. Rimaniamo invece scettici sull’uso dell’aspirina come unico metodo di profilassi nella sostituzione totale dell’anca e del ginocchio e negli interventi dopo frattura del femore, mentre esistono ancora controversie riguardo all’utilizzo della profilassi del tromboembolismo venoso nell’artroscopia del ginocchio, nella chirurgia per lesioni alla parte inferiore della gamba e agli arti superiori».
Aspirina
L’acido acetilsalicilico è uno dei principi attivi più venduti al mondo. È poco costoso, di semplice somministrazione, ampiamente disponibile, ma il suo utilizzo come profilattico per il tromboembolismo venoso è controverso. Nel 2008 le linee guida dell’American College of Clinical Pharmacy (Accp) si erano chiaramente espresse in senso contrario per qualsiasi gruppo di pazienti, ma quelle del 2012 promuovono l’uso dell’aspirina per i pazienti sottoposti a sostituzione protesica di anca e di ginocchio sulla base di studi che ne hanno evidenziato l’efficacia rispetto al placebo, pur sostenendo che i farmaci di prima scelta dovrebbero essere altri. Flevas e colleghi sposano questa indicazione, condivisa da gran parte degli esperti: l’uso della sola aspirina nella profilassi del Tev è sconsigliato, perché le prove di efficacia sono comunque limitate, il rischio emorragico è elevato e altri interventi risultano più efficaci.
Lavori recentissimi sembrano invece raccontare un’altra verità (vedi box in qauesta pagina) (3, 4).
Antagonisti della vitamina k
I farmaci antagonisti della vitamina K (warfarin sodico e acenocumarolo) abbassano il livello plasmatico dei fattori vitamina K dipendenti, riducendo in tal modo la trasformazione della protrombina in trombina. Sono ad assunzione orale e vengono assorbiti rapidamente.
Le linee guida li raccomandano per i pazienti sottoposti a chirurgia ortopedica maggiore, ma suggeriscono di affiancarli a monitoraggio degli effetti, peraltro generalmente difficile da realizzare a causa di caratteristiche variabili e associate a ciascun paziente, come l’età e la funzione renale.
L’effetto del warfarin si manifesta di solito entro due o tre giorni; di conseguenza, quando è richiesto un effetto anticoagulante rapido, si può somministrare contemporaneamente all’eparina, con una sovrapposizione per almeno due giorni.
Eparina non frazionata
L’eparina deve essere somministrata per via parenterale perché non viene assorbita se assunta per via orale. Si pone l’alternativa tra l’infusione endovenosa continua e la somministrazione subcutanea; in quest’ultimo caso la biodisponibilità è minore ed è pertanto necessario un dosaggio più elevato. Se è necessario un effetto anticoagulante immediato, la somministrazione di eparina in bolo endovena potrebbe accompagnare l’iniziale iniezione sottocutanea.
L’uso di eparina non frazionata può portare a complicanze emorragiche; il rischio aumenta con la dose e in caso di concomitante somministrazione di agenti fibrinolitici o di inibitori del recettore piastrinico glicoproteico IIb/IIIa. Inoltre, interventi chirurgici recenti, traumi, procedure invasive o difetti emostatici possono aumentare il rischio di sanguinamento. Dato che la risposta anticoagulante varia da un paziente all’altro, è pratica comune monitorare il tempo di coagulazione plasmatica per verificare l’adeguatezza del dosaggio.
L’eparina non frazionata è tra i farmaci raccomandati dalle più recenti linee guida Accp per la profilassi del Tev nei pazienti sottoposti a chirurgia per la frattura dell’anca o alla sostituzione protesica di anca o ginocchio.
Eparina a basso peso molecolare
Gli studi mostrano un rapporto rischi/benefici superiore dell’Ebpm rispetto all’eparina non frazionata con proprietà farmacocinetiche superiori. Somministrata per via sottocutanea una o due volte al giorno, non necessita di monitoraggio di laboratorio e raggiunge il suo picco di attività dopo quattro ore dalla somministrazione.
L’uso di Ebpm si associa a una minore incidenza di eventi avversi rispetto all’eparina frazionata. I ricercatori greci riportano i numerosi studi che, negli ultimi vent’anni, hanno mostrato proprietà più favorevoli dell’Ebpm rispetto agli altri anticoagulanti, ma citano anche una complicazione, rara ma potenzialmente devastante: la trombocitopenia indotta da eparina.
Fondaparinux
Il farmaco di sintesi fondaparinux è il primo inibitore selettivo del fattore Xa ad aver ricevuto l’approvazione Fda. Dopo essere iniettato per via sottocutanea, il fondaparinux viene assorbito rapidamente e completamente; raggiunge i livelli plasmatici di picco entro due ore, mentre la sua emivita di 17-21 ore consente un’unica somministrazione al giorno. Il farmaco viene poi eliminato con le urine.
Un ampio studio (2) del 2007 riporta per il fondaparinux un’incidenza di Vet di appena l’1,5%, rispetto a una percentuale superiore al 2% per le eparine a basso peso molecolare e al 4,2% dell’eparina frazionata. Le ultime linee guida Accp lo includono tra i farmaci raccomandati, ma riportano che il suo uso prolungato presenta un rapporto tra benefici e possibili effetti avversi meno favorevole rispetto ad altri anticoagulanti.
Anticoagulanti orali
Diversi nuovi principi attivi anticoagulanti orali si sono imposti all’attenzione, per la facilità di somministrazione a dosaggi prefissati senza la necessità di monitoraggi di laboratorio e per il potenziale di evitare alcuni degli inconvenienti di altri farmaci. I più comuni sono rivaroxaban, dabigatran e apixaban. Le linee guida forniscono indicazioni controverse riguardo alla loro applicazione in chirurgia ortopedica e si è in attesa che la ricerca fornisca nuovi dati.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia
Bibliografia:
- Flevas DA, Megaloikonomos PD, Dimopoulos L, Mitsiokapa E, Koulouvaris P, Mavrogenis AF. Thromboembolism prophylaxis in orthopaedics: an update. EFORT Open Rev. 2018 Apr 27;3(4):136-148.
- Shorr AF, Kwong LM, Sarnes M, et al. Venous thromboembolism after orthopedic surgery: implications of the choice for prophylaxis. Thromb Res 2007;121:17-24.
- Hood BR, Cowen ME, Zheng HT, Hughes RE, Singal B, Hallstrom BR. Association of aspirin with prevention of venous thromboembolism in patients after total knee arthroplasty compared with other anticoagulants: a noninferiority analysis. Jama Surg. 2018 Oct 17.
- Anderson DR, Dunbar M, Murnaghan J, Kahn SR, Gross P, Forsythe M, Pelet S, Fisher W, Belzile E, Dolan S, Crowther M, Bohm E, MacDonald SJ, Gofton W, Kim P, Zukor D, Pleasance S, Andreou P, Doucette S, Theriault C, Abianui A, Carrier M, Kovacs MJ, Rodger MA, Coyle D, Wells PS, Vendittoli PA. Aspirin or Rivaroxaban for VTE Prophylaxis after Hip or Knee Arthroplasty. N Engl J Med. 2018 Feb 22;378(8):699-707.

TROMBOPROFILASSI: ASPIRINA È ALTERNATIVA EFFICACE AGLI ANTICOAGULANTI_«L’aspirina è un’alternativa efficace e sicura ai classici farmaci anticoagulanti (eparina, rivaroxaban) per prevenire la formazione di coaguli di sangue dopo interventi di artroprotesi di anca e ginocchio». È quanto affermano Brian Hallstrom, chirurgo ortopedico dell’Università del Michigan in Australia, e Robert Anderson, ricercatore dell’Università DalhousIe in Canada, che hanno condotto due studi pubblicati su Jama Surgery (3) e sul New England Journal of Medicine (4). Questi due studi paralleli si differenziano per una variabile: il gruppo di pazienti canadesi ha assunto rivaroxaban per i primi 5 giorni dopo l’intervento, poi è passato ad assumere aspirina; al gruppo di pazienti australiani è stata invece somministrata aspirina fin dal primo giorno dopo l’intervento.
Lo studio canadese ha coinvolto 3.400 pazienti sottoposti ad artroprotesi dell’anca o del ginocchio. Tutti hanno assunto rivaroxaban una volta al giorno per i primi 5 giorni. Successivamente, in modo casuale, alcuni componenti del gruppo sono stati scelti per continuare con il suddetto farmaco, mentre i rimanenti sono passati ad assumere basse dosi di aspirina, 81mg al giorno, per 9-30 giorni. Dopo 3 mesi, lo 0,6% dei pazienti ai quali era stata somministrata aspirina ha sviluppato coaguli, così lo 0,7% ai quali era stato prescritto rivaroxaban.
Nei pazienti che già assumevano aspirina, dopo l’intervento di artroprotesi è stato raddoppiato il dosaggio ma non è stata rilevata alcuna prova che potesse far affermare che una dose maggiore fosse più efficace nel prevenire i trombi. Pertanto la raccomandazione è stata quella di tornare alla dose iniziale.
I soggetti che devono sottoporsi ad intervento di protesi del ginocchio o dell’anca dovrebbero parlare con il chirurgo della storia familiare o personale di trombosi e decidere, con il clinico, il trattamento più efficace per contrastare la formazione di coaguli. «Nessuno dei due anticoagulanti è risultato migliore dell’altro, ma l’aspirina presenta alcuni vantaggi, non richiede prescrizione ed è poco costosa» scrive Anderson.
Lo studio correlato, condotto in un ospedale del Michigan in Australia, ha coinvolto 41.537 pazienti sottoposti ad artroprotesi totale del ginocchio nel periodo dal 2013 al 2015.
I partecipanti sono stati stratificati in base al metodo di profilassi farmacologica: 668 pazienti non hanno assunto nessun tipo di anticoagulante, 12.831 hanno assunto aspirina, 22.620 solo anticoagulante tipo warfarin, 5.418 aspirina e anticoagulante. La maggioranza dei pazienti indossava calze antitrombo.
In 537 pazienti su 41.537 s è verificato un caso di tromboembolia, tra questi 4,79% non ha fatto alcuna profilassi, 1,10% ha assunto solo aspirina, 1,42% solo anticoagulante, 1,13% entrambi.
Da entrambi gli studi è emerso che l’aspirina assicura, da sola, una protezione contro le tromboembolie post-operatorie simile ad altri farmaci anticoagulanti. Prima però di prescrivere aspirina o anticoagulante i chirurghi devono tener conto se nell’anamnesi remota del paziente, o di qualsiasi altro membro della famiglia, vi sono casi di trombosi, se presenta un quadro di obesità e della mobilizzazione precoce nell’immediato post-operatorio.
Fiorella Gandini