
Alberto Leardini (a sinistra) e il team del Laboratorio di analisi del movimento del Rizzoli di Bologna, che si occupa di analisi strumentale del movimento attraverso dati cinematici, dinamici ed elettromiografici, di radiostereometria e videofluoroscopia per la programmazione e il monitoraggio in chirurgia protesica, di sistemi di navigazione chirurgica, di applicazioni biomediche delle tecnologie di stampa 3D
SPECIALE ORTOPEDIA DIGITALE
Dalla didattica al planning preoperatorio, dalle guide chirurgiche al bioprinting, fino alla protesica 3D: l’ortopedia sta prendendo una chiara direzione digitale. Il chirurgo potrà lavorare meglio e con più precisione, ma dovrà sviluppare nuove competenze.
Da diversi anni l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna si pone come centro di avanguardia per la ricerca e la sperimentazione clinica nel settore delle applicazioni delle tecnologie di stampa 3D in ortopedia. Sono state intraprese esperienze cliniche, con pazienti già operati con successo, nell’ambito dell’ortopedia traumatologica e della patologia muscolo-scheletrica di natura oncologica e degenerativa. Si possono citare, in particolare, le ricostruzioni di bacino e ginocchio eseguite dall’équipe del professor Davide Maria Donati, le sostituzioni vertebrali effettuate dall’équipe del dottor Alessandro Gasbarrini e le ricostruzioni di gomito e spalla realizzate dell’équipe del dottor Roberto Rotini.
Altro ambito di ricerca prioritario è quello del bioprinting per la realizzazione di costrutti 3D integrati o interamente costituiti con materiali biomimetici o con componenti cellulari, che sta progredendo attraverso la recente acquisizione di una piattaforma dedicata e gli studi pre-clinici del Laboratorio Ramses per la medicina rigenerativa dell’apparato muscolo-scheletrico diretto dalla dottoressa Brunella Grigolo.
Dal Rizzoli, infine, è partita nel 2015 l’attività della Italian Digital Biomanufactoring Network (www.idbn.org), nata per collegare gli esperti italiani di stampa 3D e bioprinting, dotati di profili professionali diversi e provenienti dalle più svariate esperienze.
Ecco una rassegna degli aspetti salienti della tecnologia nel racconto dell’ingegner Alberto Leardini, responsabile al Rizzoli del Laboratorio di analisi del movimento e valutazione funzionale-clinica protesi. Membro del Technical Group 3-D Analysis of Human Movement della International Society of Biomechanics, Leardini è oggi presidente dell’Italian Digital Biomanufacturing Network.
Ingegner Leardini, dal punto di vista tecnico, in che modo il ricorso alla stampa 3D per la produzione di modelli anatomici, ortesi o protesi custom-made cambia il percorso diagnostico e la gestione del paziente ortopedico?
In generale, in tutti e tre i casi il percorso diagnostico dovrà prevedere, come già nelle procedure convenzionali, una valutazione clinica attenta, supportata però ora anche da una precisa scansionatura del complesso anatomico di interesse, che sia questa una scansione ottica dell’aspetto esterno dell’arto per il settore dei dispositivi correttivi o sostitutivi esterni (tutori, plantari, componenti di interfaccia delle protesi di arto, ecc.) oppure una serie di immagini derivate dalla diagnostica radiologica (radiografie standard, risonanza magnetica, tomografia assiale computerizzata, ecc.) per il settore dei modelli anatomici e per quello degli impianti, includendo in quest’ultima categoria anche le corrispondenti mascherine di taglio.
Il fatto poi che la progettazione per la stampa 3D avviene in larga misura attraverso sistemi digitali consente, tra l’altro, di lavorare su un’ampia distribuzione geografica dei professionisti e dei pazienti coinvolti: sarà possibile per esempio, ed è già avvenuto per alcuni casi recenti, scansionare il paziente nella sua città di residenza, eseguire la progettazione in un centro specializzato con sede altrove e spedire infine il file di modellazione del dispositivo personalizzato in un centro di stampa 3D situato nelle vicinanze del centro clinico che ha in carico il paziente. In ultima analisi, ciò potrà contribuire anche a garantire un supporto internazionale di ricerca avanzata a sistemi sanitari nazionali meno progrediti, in qualsiasi parte del mondo.
Come avviene il passaggio dei dati dal paziente al dispositivo 3D ?
A partire dalle informazioni cliniche derivate dalle scansioni o dagli esami radiologici, specifiche per il singolo caso, prendono avvio le procedure della “modellazione”, cioè della riproduzione virtuale su computer, mediante software particolari, della forma tridimensionale della struttura anatomica di interesse, e della progettazione, con creazione del file Cad (Computer Aided Design), che serve a definire le geometrie e i materiali finali del dispositivo personalizzato.
Da un punto di vista tecnico il passaggio è effettuato, quindi, per lo più su base digitale, sostituendo tutti i trasferimenti su supporto cartaceo che caratterizzavano molti degli equivalenti processi tradizionali.
Quali tecnologie sono coinvolte nelle varie fasi del flusso operativo?
Ovviamente in tutti i casi sono coinvolte le stampanti 3D, che già oggi possono operare con diverse tecnologie e diversi materiali, anche molto innovativi, sia inerti che biologici (bioplotter).
La tecnologia di base delle stampanti 3D è la cosiddetta “fabbricazione additiva”, cioè per sovrapposizione di materiale, per lo più plastico o metallico, strato su strato, che avviene senza alcuno spreco e soprattutto in maniera univoca sulla base delle informazioni fornite dal file Cad creato per il singolo caso.
Lavorando sulle combinazioni dei materiali tradizionali, su materiali alternativi e componenti biologici, nonché sulle morfologie specifiche originali, si potranno in futuro ottenere dai dispositivi le risposte meccaniche e “fisiologiche” più appropriate.
Nel caso della progettazione di ortesi e di innesti per protesi di arto, la fase di acquisizione dei dati clinici prevede, come già accennato, l’utilizzo di scanner 3D per la “lettura” delle superfici esterne implicate.
In tutte queste aree la tecnologia è avanzata rapidamente negli ultimi anni, producendo macchine sempre più performanti a costi sempre più contenuti. È interessante notare che, in diversi casi, all’ortopedia stanno arrivando risultati e costrutti provenienti anche dai recenti sviluppi nei settori della motoristica e motonautica e dal settore aerospaziale.
Quale livello di precisione garantiscono le attuali tecnologie nella fase di modellazione e in quella di stampa dei dispositivi 3D?
Per quanto riguarda la modellazione e la progettazione queste sono sviluppate al computer, per cui con i software e le macchine attuali non c’è quasi limite alla precisione. Per la stampa invece il limite è dato da un lato dalla qualità della stampante, dall’altro, e soprattutto, dal materiale che si deve utilizzare. Tanto per fare un esempio: per impianti e protesi in cromo-cobalto o in titanio si raggiungono risoluzioni del centesimo di millimetro, potendo così addirittura replicare, volendo, le morfologie tipiche della trabecola ossea.
Su quali applicazioni state lavorando al Laboratorio di analisi del movimento del Rizzoli?
La sfida che da qualche anno vede il mio team di ricerca impegnato in prima linea, con la collaborazione di diversi altri gruppi dell’Istituto, è la progettazione personalizzata di protesi completa di caviglia: per il prossimo futuro, con la disponibilità di nuove forme di imaging ad alta definizione, di modelli biomeccanici innovativi e di stampanti che operano con risoluzioni alte anche con i metalli tipici della protesica tradizionale, prevediamo di iniziare a testare dei primi prototipi, che saranno dunque totalmente elaborati e realizzati nei nostri laboratori.
Le altre frontiere applicative sulle quali ci stiamo cimentando sono ortesi e plantari a personalizzazione sia di forma che di biomeccanica, guide di taglio su misura e interfacce osso-protesi.
Le valutazioni funzionali sui singoli pazienti entrano a far parte dei dati utilizzati nella progettazione dei dispositivi 3D a loro destinati?
Questo aspetto è particolarmente stimolante per il nostro laboratorio e spero vedrà consistenti sviluppi in futuro.
Infatti, se è vero che al momento si parte per lo più da valutazioni cliniche e scansioni statiche, occorre tener presente che per tanti comparti anatomici e per tante patologie la valutazione dinamica sarebbe cruciale, sia prima che dopo il trattamento, per programmarlo in modo più consono alla funzionalità del distretto interessato e per poi verificarne l’efficacia.
Nel caso degli arti inferiori, per esempio, la valutazione dinamica dell’arto affetto e anche di quello sano durante la locomozione sarebbe di grandissima utilità per caratterizzare al meglio non solo la specifica menomazione morfologica, ma anche il deficit funzionale associato, e quindi per poter operare al meglio in fase di progettazione dell’ausilio.
La bioingegneria ha da tempo messo a disposizione strumenti raffinatissimi per misurazioni di cinematica (movimento 3D di segmenti e articolazioni) e dinamica (sia su base delle forze esterne di reazione che di pressione superficiale), certamente preziosi per integrare le valutazioni anatomiche. Oggi, tra l’altro, questi strumenti hanno complessità e costi molto inferiori che in passato, e sono pertanto alla portata di molte strutture cliniche, che con tali dotazioni potrebbero fornire ai centri di ricerca e di progettazione avanzati informazioni più complete sui pazienti.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia
UNO SCENARIO IN EVOLUZIONE ANCHE SUL PIANO PROFESSIONALE: IL CONSENSO INFORMATO CON MODELLI 3D

Una replica in materiale plastico di una sostituzione totale di astragalo eseguita al Rizzoli, progettata e realizzata con la stampa 3D
Come si può immaginare, il complesso passaggio di dati clinici e anatomici, che vanno dal singolo paziente alla progettazione e realizzazione del suo dispositivo specifico in 3D, richiede una gamma di competenze e quindi coinvolge diverse professionalità – medico, tecnico ortopedico, radiologo, ingegnere biomeccanico, tecnologo – che devono lavorare in totale sinergia. «È questa forse la sfida più impegnativa per il futuro di questa disciplina, ma anche la più importante e stimolante» sottolinea Alberto Leardini.
Ma anche sul piano clinico, nella prospettiva delineata dall’ingegnere, possono generarsi cambiamenti sostanziali: si consideri che con il 3D custom-made ogni dato relativo al paziente potrebbe essere sfruttato per personalizzare al massimo il dispositivo ortopedico, non solo in termini di geometrie e dimensioni, ma anche con soluzioni specifiche legate allo stato generale del soggetto, alla gravità della sua menomazione, alle sue abitudini di vita e al suo contesto sociale e, quindi, alle sue aspettative funzionali.
«Un ambito nel quale gli effetti di questa nuova tecnologia sono già palpabili è quello della comunicazione medico-paziente – esplicita Leardini –. I modelli anatomici, oggi realizzabili facilmente e rapidamente con materiale plastico di basso costo, consentono di esemplificare a beneficio del paziente la sua condizione patologica e il relativo trattamento; la qual cosa si può rivelare, oltretutto, importante anche alla luce del crescente aumento dei contenziosi medico-legali».
TUTTI I PUNTI CRITICI DELLA STAMPA 3D
«Naturalmente, nel settore della stampa 3D tanti sono ancora gli aspetti da migliorare e le criticità da affrontare sul piano sia teorico che pratico – ci ha detto l’ingegner Alberto Leardini, facendo seguire a tale affermazione una serie di esempi stimolanti e ricchi di suggestione –. Pensiamo, tanto per cominciare, alla trasposizione di quanto descritto per la fabbricazione di protesi custom-made alla produzione di massa necessaria per gli impianti più comuni, come anca e ginocchio: i tempi di manifattura sono ancora complessivamente troppo lunghi, anche se già le attuali performance possono far prospettare un’evoluzione della stampa 3D nella protesica ortopedica verso forme altamente competitive. Tuttavia – puntualizza l’esperto – sarà interessante mettere a confronto produzione custom-made e produzione in serie dal punto di vista dei costi. Naturalmente il dispositivo su misura richiede una serie di operazioni aggiuntive in fase di scansione, modellazione e progettazione, che potranno però in futuro essere automatizzate e parametrizzate; d’altra parte, con la produzione custom, si risparmierebbero gli enormi costi di stoccaggio e logistica che oggi gravano sui produttori tradizionali a causa dell’elevato numero di taglie, e relativo strumentario, da immagazzinare, gestire e distribuire».
Trasferendo poi tali considerazioni all’ambito clinico, Leardini aggiunge che dai dispositivi custom ci si aspetta un beneficio sulla qualità e la resa del trattamento, e di conseguenza sui costi sanitari associati ai fallimenti delle soluzioni tradizionali. «Ultimo ma non meno rilevante vantaggio in ambito custom, che si rivela di grande valore dal punto di vista clinico, ma anche economico, è il risparmio dei tempi in sala operatoria grazie alla disponibilità di impianti già predisposti per il singolo paziente».
Addio a schemi rigidi nella progettazione. Le protesi avranno nuove forme?
Paradossalmente, un problema che, secondo Leardini, sta ora emergendo, è legato alla capacità di progettare sfruttando al massimo la tecnologia attuale. Per esempio per produrre dispositivi senza più limiti di forma: «lo spettro di soluzioni si è aperto recentemente in maniera consistente e imprevista, tanto da mettere in difficoltà molti degli attuali professionisti, abituati a ragionare secondo canoni molto diversi a causa dei vincoli manifatturieri precedenti. Si prospetta quindi nel breve periodo la necessità di implementare nuove risorse umane e competenze, che andrà affrontata anche con una rivisitazione di molti percorsi formativi».
Un altro aspetto sul quale dal punto di vista dell’ingegnere la ricerca può percorrere ancora molta strada è quello dei materiali: oggi la prospettiva più affascinante per la progettazione dei dispositivi personalizzati è quella di arrivare a utilizzare materiali non solo molto differenti, da quelli metallici ai biomateriali, ma anche dotati di parametri architetturali diversificati e complessi e quindi di prerogative sempre più performanti in termini sia di conformità anatomica che di prestazioni funzionali.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia
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