
Geoffrey Westrich
Il concetto della doppia mobilità nelle protesi d’anca è tutt’altro che nuovo e risale anzi agli anni Settanta del secolo scorso, quando fu introdotto dal chirurgo francese Bousquet, sfruttando due principi proposti in precedenza: il basso attrito e un head-neck ratio elevato. La complicanza principale dell’intervento di artroprotesi d’anca è la lussazione e questo tipo di protesi si è dimostrato efficace nel ridurne l’incidenza, oltre a migliorare l’articolarità e limitare la produzione di materiali di detrito.
Questo modello di protesi ha tuttavia impiegato diversi anni per diffondersi al di fuori dei confini francesi, in alcuni Paesi è giunto tardivamente e negli Stati Uniti è tuttora relativamente nuovo.
Ma un tipo di anca artificiale che sfrutta il principio della doppia mobilità è stato oggetto di uno studio presentato a Dallas in occasione del congresso annuale della American Association of Hip and Knee Surgeons. È stato condotto da Geoffrey Westrich e dal suo team dell’Hospital for Special Surgery di New York: «il nostro studio, condotto su pazienti sottoposti a interventi di revisione, ha dimostrato che la nuova tecnologia, sfruttando componenti a doppia mobilità, è in grado di offrire una migliore stabilità e di ridurre il rischio di lussazione, senza compromettere il range of motion dell’articolazione».
Le componenti delle protesi d’anca a doppia mobilità sono le stesse del modello standard, ma sono presenti due distinte articolazioni: sullo stelo femorale è posizionata una testina di metallo o di ceramica che si articola con una cupola in polietilene di grandi dimensioni; a sua volta, quest’ultima si articola con una coppa acetabolare. Se la prima articolazione serve per la maggior parte delle attività, la seconda interviene quando sono richiesti movimenti che eccedono quelli “normali”, in cui si determina un contatto tra il collo dello stelo femorale e il margine dell’inserto.
Ovviamente, dopo un intervento di revisione, i rischi di instabilità sono maggiori. «Sono ancora pochi – ha osservato Westrich – gli studi su larga scala sul dispositivo modulare a doppia mobilità nella chirurgia di revisione dell’anca; per questo abbiamo deciso di determinare il tasso di lussazione e la necessità di un intervento successivo a quello di revisione e di riportare i risultati funzionali di questi impianti».
Lo studio ha incluso 370 pazienti sottoposti a revisione di protesi d’anca con l’impianto a doppia mobilità tra il 2011 e il 2017. Al momento dell’intervento, l’età media dei pazienti era di 65,8 anni e, per essere inclusi nel report finale, sono stati controllati con un follow-up minimo di due anni (ma la media è stata di 3,3 anni). «Al momento dell’ultimo controllo – ha dichiarato Westrich – abbiamo riscontrato un tasso molto basso di instabilità, e precisamente del 2,9%, con un buon miglioramento funzionale generale e una minima percentuale di reinterventi. Anche se sono certamente necessari studi a più lungo termine, abbiamo dimostrato che, nei primi anni successivi all’intervento, la protesi a doppia mobilità fornisce dei chiari benefici in termini di stabilità e di ridotta necessità di ulteriori interventi di revisione».
Giampiero Pilat
Giornalista Tabloid di Ortopedia