
Alberto Ricciardi
Nei pazienti obesi questa via d’accesso non incontra tessuto grasso nel punto dell’incisione, riduce i tempi chirurgici, il rischio di infezione e quello di tromboembolia. Sì all’accoppiamento ceramica-polietilene. No alle protesi modulari
La comunità scientifica è unanime nel ritenere l’obesità una controindicazione alla chirurgia di artroplastica totale dell’anca. La Letteratura riporta molteplici complicanze correlate all’intervento di protesi d’anca, tra le quali maggiori rischi di infezione e di lussazione. Per questo motivo, il paziente obeso con dolore articolare, eleggibile all’intervento di protesi, viene inizialmente indirizzato al dietologo per ottenere un adeguato calo ponderale.
Tuttavia, come è noto, non solo i pazienti obesi, ma anche i normopeso affetti da osteoartrosi tendono alla sedentarietà, a non usare l’articolazione malata e, quindi, a un progressivo peggioramento dei sintomi e della malattia. Nell’obeso poi si instaura un circolo vizioso che dalla sedentarietà porta alla depressione e al cibo come antidoto, e quindi all’aumentare ancor più il peso. «Per interrompere il circolo vizioso, nei casi in cui il calo ponderale risulta “irraggiungibile” e il paziente è costretto dall’osteoartrosi a una quasi totale immobilizzazione, non si dovrebbe attendere, ma intervenire utilizzando una tecnica appropriata, riducendo così la complessità dell’intervento, per il chirurgo, correlata all’eccesso di grasso» dice il dottor Alberto Ricciardi, direttore dell’unità operativa complessa di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale S.S. Giovanni e Paolo di Venezia.
Dottor Ricciardi, la protesi d’anca è indicata o no nel paziente obeso?
Partiamo da un punto fondamentale, ovvero che il paziente obeso non andrebbe operato di artroplastica totale dell’anca perché le complicanze sono più frequenti rispetto al paziente normopeso, con maggiori rischi di carattere generale (cardiocircolatori) e/o più strettamente correlati all’intervento, quali l’infezione del sito chirurgico e la lussazione dell’impianto. Su questo punto siamo tutti d’accordo.
Non bisogna però trascurare la realtà che spesso ci pone di fronte a pazienti obesi, tra i 40 ed i 50 anni di età che non dimagriranno mai e che, a causa della coxartrosi, si trovano in una condizione di disabilità motoria, con dolore invalidante e con impotenza funzionale assoluta che li costringe a una totale sedentarietà. Questi pazienti spesso soffrono anche di una sindrome chiamata “kinesiofobia”, ossia paura di muoversi. In questi casi è indicato l’intervento di sostituzione dell’anca che consente, eliminando il sintomo dolore, di poter riprendere il movimento, seguire una dieta adeguata e ottenere perdita di peso. L’artroplastica migliora pertanto la loro qualità di vita.
Lei è un sostenitore della via d’accesso anteriore come approccio chirurgico per questi pazienti.
Negli ultimi 30 anni si sono sviluppati numerosi approcci chirurgici di successo per la protesi d’anca. Di frequente, il chirurgo sceglie l’approccio che gli è più congeniale in base alla scuola di provenienza, alla propria esperienza con una tecnica specifica e alla confidenza con quell’approccio, più che in base al tipo di paziente. In realtà, quando si parla di paziente obeso, la scelta dell’approccio chirurgico dovrebbe tenere in considerazione soprattutto le peculiarità di questo tipo di paziente.
Rispetto alla via laterale o postero-laterale, la via d’accesso anteriore ha il vantaggio di non avere tessuto grasso nel punto dell’incisione e di permettere di raggiungere l’articolazione attraverso uno spazio intermuscolare. Per questo motivo ritengo l’approccio anteriore la via chirurgica più agevole nei pazienti obesi. Infatti, a causa della quantità e dello spessore del grasso presente sulla coscia, gli altri approcci rendono tecnicamente molto più difficile l’intervento. Questo perché, nel posizionamento della protesi, abbiamo bisogno di riferimenti spaziali che necessitano di una buona esposizione dell’articolazione e di precisi punti di repere; quando l’anca è “profonda”, come nel caso del paziente obeso, i riferimenti spaziali vengono a mancare. Così non è nella via anteriore.
La dimostrazione arriva da uno studio clinico condotto tra il 2012 e il 2015, presso il reparto di Ortopedia e Traumatologia che dirigevo all’Ospedale di Castelfranco Veneto, su 11 pazienti affetti da obesità grave (BMI >35kg/m2) e sottoposti a intervento di artroprotesi d’anca. Tutti i pazienti, 8 donne e 3 uomini, vennero sottoposti a intervento di protesi d’anca con il medesimo stelo press-fit. La terapia medica di profilassi antibiotica prima dell’intervento seguì il solito protocollo con singola dose di cefazolin 2g ev, e con gli anticoagulanti a basso peso molecolare nel post-operatorio, mentre l’intervento venne effettuato in anestesia spinale. La riabilitazione e la deambulazione assistita iniziarono già il primo giorno dopo l’intervento, senza usare particolari precauzioni anti-lussazione e proseguirono secondo il protocollo riabilitativo standard: circa dieci giorni di terapia riabilitativa in un centro ospedaliero. Come già rilevato da numerosi studi precedenti, i pazienti obesi non dimostrarono differenze statisticamente rilevanti negli outcome post-operatori rispetto ai non obesi.
Secondo la sua esperienza, la via anteriore influenza e riduce anche l’incidenza delle complicanze post-operatorie nel paziente obeso?
Il rischio di infezione e di lussazione dell’impianto protesico per il paziente obeso rimane ed è maggiore rispetto ai pazienti normopeso. Il fatto però di usare un approccio mininvasivo in cui i muscoli non vengono tagliati ma spostati riducendo il sanguinamento e non creando necrosi delle fibre muscolari, riduce di molto il rischio di infezione anche in questi pazienti.
Inoltre, la pratica di effettuare l’intervento in anestesia spinale, come si evince da numerosi studi pubblicati, abbassa il rischio oltre che delle infezioni del sito chirurgico anche della tromboembolia, altra severa complicanza degli interventi di artroplastica.
Infine la via d’accesso anteriore, riducendo i tempi chirurgici e, quindi di anestesia, a meno di un’ora, permette di diminuire anche l’incidenza delle complicanze di carattere generale correlate all’anestesia, anche se restano comunque superiori a quando si esegue l’artroplastica a un paziente normopeso.
Per questo tipo di paziente, la tecnica Amis viene modificata in qualche modo?
La tecnica Amis (Anterior Minimally Invasive Surgery), eseguita in mani esperte, ha dimostrato di essere una via d’accesso assolutamente indicata anche per il paziente obeso e superobeso (BMI >50kg/m2).
Nel paziente obeso eseguo esattamente lo stesso accesso anteriore che utilizzo in tutti i pazienti a cui pratico la via anteriore; il paziente è posto sul lettino operatorio in posizione supina con arto da operare posizionato su apposito dispositivo di mobilizzazione (Leg Positioner). L’accesso anteriore ha gli stessi vantaggi nel paziente obeso e nel normopeso, perché permette al chirurgo di eseguire l’incisione cutanea in una zona priva di grasso, di passare tra il muscolo tensore della fascia lata e il muscolo sartorio, di esporre il muscolo retto del femore e, attraverso l’incisione della sua fascetta superficiale, di spostarlo medialmente esponendo così, senza alcun danno tissutale, la capsula articolare. Eseguita la capsulotomia, si espone l’articolazione, si fa l’osteotomia del collo del femore, si asporta la testa e, con gli appositi strumenti, si procede alla preparazione dei siti anatomici. Infine, dopo le opportune prove e il controllo in fluoroscopia che permette di determinare il corretto posizionamento anatomico dell’impianto, si posizionano le componenti protesiche definitive, cotile e stelo.
La protesi viene impiantata in due tempi: se per il tempo acetabolare il dispositivo di mobilizzazione dell’arto non serve, nella preparazione del canale diafisario l’uso del Leg Positioner diventa, a mio avviso, proprio nel grande obeso, indispensabile. Basti solo immaginare di dover far compiere a un proprio collaboratore il movimento di estensione, extrarotazione e adduzione del “gigantesco, pesante e ingombrante” arto di un paziente obeso nella fase di esposizione del canale diafisario per comprendere il grande vantaggio che offre il Leg Positioner.
Il grande obeso richiede protesi particolari?
No, neppure per la resistenza meccanica, dal momento che le moderne protesi sono in grado di sopportare anche 150 kg di peso. Importante invece è la scelta della tribologia per il rapporto testina-inserto. Come si evince dalle conclusioni emerse negli ultimi congressi, siamo tutti d’accordo nel ritenere che l’accoppiamento migliore, in generale, e anche nel paziente obeso, sia dato dalla ceramica-polietilene. Questo tipo di accoppiamento ha un’ottima resistenza all’usura, ha una durata media di vita di almeno dieci anni e non ha il rischio di rompersi e di “squeaking” (rumore articolare) tipico dell’accoppiamento ceramica-ceramica.
Le protesi modulari non vanno mai utilizzate nell’obeso perché hanno dimostrato di essere “più fragili”. Infatti gli steli modulari spesso si rompono nel punto di minor resistenza, ovvero nel punto di giunzione collo-testa. Le protesi modulari vanno riservate a quei pazienti con peculiari patologie dell’anca, in particolare nelle gravi displasie e nelle deformazioni articolari con particolare alterazione dell’angolo di varo-valgismo, oppure di antiversione o retroversione, che richiedono specifiche attenzioni nella ricostruzione anatomica dell’anca.
Liana Zorzi
Giornalista Tabloid di Ortopedia