
Donato Vittore

Alessandro Parisi
SPECIALE ORTOPEDIA DIGITALE_Le applicazioni cliniche della stampa 3D stanno cambiando la pianificazione chirurgica e la personalizzazione degli impianti protesici. E la presenza di una stampante 3D in reparto abbatte drasticamente i tempi di utilizzo della tecnologia
Modelli dimostrativi, attrezzature chirurgiche, protesi personalizzate: le applicazioni della stampa 3D in medicina si stanno diffondendo sempre di più, passando dai laboratori di ricerca alla pratica clinica. È già da qualche tempo, con la messa a punto di apparecchiature tecnologicamente evolute e dai costi ridotti, che la stampa 3D promette una rivoluzione nella produzione di dispositivi ortopedici. Con questa tecnica, le parti vengono create con tecnica additiva, aggiungendo uno strato dopo l’altro al pezzo in lavorazione e si utilizza un’ampia varietà di materiali. In Italia uno dei pionieri delle applicazioni cliniche in ortopedia della stampa 3D è Donato Vittore, direttore della struttura complessa di ortopedia universitaria dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Foggia, dove qualche mese fa è stata acquistata e messa a disposizione dell’équipe del professor Vittore una stampante 3D (fig. 1). Al professore pugliese e al suo collaboratore Alessandro Parisi, Tabloid di Ortopedia ha chiesto di mostrarci le esperienzecliniche già condotte con questa tecnologia.
Professor Vittore, come vengono utilizzate oggi le stampanti 3D in ortopedia?
La stampante 3D in ambito ortopedico è impiegata per vari scopi, principalmente per la realizzazione di modelli anatomici utili per la pianificazione chirurgica degli interventi e la fabbricazione di dispositivi e protesi personalizzate su cui è possibile lo studio biomeccanico e la successiva realizzazione in materiale biocompatibile che rispecchi la morfologia esatta del modello di prova realizzato con la stampante.
Come si integrano con le metodiche di diagnostica per immagini?
Per la realizzazione del modello anatomico si parte da una serie di immagini radiologiche ottenute con tomografia computerizzata o risonanza magnetica, purché vengano elaborate a strato sottile, condizione necessaria per ottenere immagini altamente fedeli alla realtà. I file in formato Dicom ottenuti dall’apparecchiatura di radiologia vengono caricati in appositi software Cad, i quali sono in grado produrre un file 3D che può essere successivamente inviato per la stampa, come se si volesse stampare un documento di testo con una comune stampante per PC.
Inoltre, tali software avanzati consentono la manipolazione dell’immagine a seconda di ciò che interessa all’équipe chirurgica, con la possibilità di effettuare virtualmente alcune simulazioni con impianti protesici o di sintesi, tipo placche e viti delle più note industrie biomediche.
Quali materiali si utilizzano per stampare le protesi?
Per l’utilizzo in ambito medico, sia ortopedico che di altre branche chirurgiche, vengono utilizzati materiali plastici come il Pla e l’Abs, che hanno costi bassi e sono ideali per gli usi quotidiani sia didattici che per la pianificazione chirurgica.
Ma oggi la ricerca in ambito biomedico sta facendo passi da gigante e in Italia ci sono équipe biomediche che utilizzano la stampa 3D per il cosiddetto bioprinting, ossia vengono stampate strutture reticolate, gli scaffold, in cui vengono depositate cellule staminali e coltivate in laboratorio per creare vere e proprie strutture anatomiche da impiantare in un paziente. Immaginate di poter realizzare un osso o un organo in alcune settimane tramite le cellule staminali prelevate dallo stesso paziente, magari un bambino affetto da una grave patologia… In ambito ortopedico esistono ad esempio tumori maligni ossei o delle parti molli che prevedono interventi altamente demolitivi. Questa metodica consentirebbe di superare sia il problema della compatibilità del ricevente, evitando reazioni di rigetto, sia problematiche di intolleranza degli impianti o rischi di gravi infezioni legate all’immunosoppressione farmacologica. Può sembrare fantascienza ma in alcuni ospedali italiani la ricerca in questo campo sta già portando i primi frutti.
Avete qualche numero riguardo alla diffusione e all’utilizzo delle stampanti 3D e di queste protesi?
Grazie ai costi contenuti e in via di ulteriore riduzione, questi dispositivi sono ormai quasi alla portata di tutti. In Italia ci sono poche università che utilizzano le stampanti 3D all’interno delle stesse unità operative ospedaliere: oltre al nostro centro di Foggia, esistono realtà come Roma, Bologna e Verona. Altri centri preferiscono affidare a una ditta esterna la creazione del modello tridimensionale, basti pensare che oggi è possibile inviare tramite mail il file di diagnostica per immagini a una ditta di stampa 3D in qualsiasi parte del mondo, che si occuperà della progettazione e della stampa del modello anatomico.
Nella nostra realtà, il fatto di riuscire a produrre modelli in autonomia consente una drastica riduzione dei tempi per la pianificazione operatoria e l’intervento stesso, e in un paziente traumatologico il tempo è prezioso.
Come vengono utilizzate a livello didattico? E qual è il loro impiego clinico?
Avere in dotazione una stampante 3D in una équipe chirurgica universitaria significa poter fare formazione, soprattutto pratica, in quanto i medici in formazione specialistica possono esercitarsi come se si trovassero di fronte a un vero paziente e impratichirsi con le tecniche ortopediche, affiancati dal tutor che li guida come un pilota con un simulatore di volo.
Oltre alla formazione, l’effettivo impiego clinico va dalla pianificazione di un intervento chirurgico (fig. 2) alla realizzazione di protesi articolari e grandi impianti custom made, ossia personalizzati.
La tendenza della chirurgia ortopedica volge sempre più verso un approccio personalizzato e meno standardizzato. Impiantare una protesi standard senza tener conto delle varianti anatomiche è un concetto che si vuole superare e oggi appare possibile proprio grazie all’avvento di questa tecnologia. Con la stampante noi riproduciamo l’esatta anatomia del paziente e costruiamo una protesi che calza come un vestito. Inoltre, ultimamente si stanno conducendo studi sull’utilizzo del 3D anche in ambito medico legale attraverso la riproduzione della dinamica di un reato o di responsabilità medico legale in ambito ortopedico.
In quali distretti sono state effettivamente impiegate?
L’impiego clinico non ha limiti di utilizzo, possiamo impiegare queste protesi in tutti i distretti, ogni qual volta un intervento chirurgico ci sembra complesso o quando si vuol creare una protesi d’anca, ginocchio, caviglia, spalla, gomito in un contesto in cui l’anatomia è alterata, ad esempio da una frattura che impedisce la stabilità di un impianto standard.
Io personalmente mi occupo da trent’anni di protesi 3D. È soltanto cambiato il modo di approcciarsi e la tempistica per riprodurre una protesi personalizzata. Trent’anni fa realizzavo modelli anatomici andando a scontornare supporti di sughero da immagini fotografiche delle lastre Tac (fig. 3). Il tutto veniva fatto manualmente e per realizzare una protesi 3D ci volevano diversi mesi. Oggi tutto questo è automatizzato grazie ai computer ed è possibile realizzare una protesi personalizzata in alcune settimane.
Ci fa qualche esempio tratto dalla sua esperienza clinica?
Già vent’anni fa abbiamo affrontato il caso di una grave artrosi secondaria di caviglia a seguito di una frattura esposta gravemente comminuta del pilone tibiale, trattata precedentemente altrove con fissatore esterno. Una protesi di caviglia standard non avrebbe avuto una buona presa, in quanto l’anatomia del paziente era completamente sovvertita, con una grave perdita di sostanza a livello del pilone tibiale, sede di ancoraggio di una delle componenti della protesi di caviglia.
Grazie ai primi software Cad è stato possibile realizzare un modello di protesi di caviglia che ha potuto adattarsi a questa situazione clinica gravemente compromessa; infatti la pianificazione dell’intervento mediante simulazione con il modello 3D consente una riduzione del tempo operatorio e una migliore performance in quanto l’operatore conosce la situazione che andrà a trovare nel sito chirurgico.
Con il software è stato possibile progettare la protesi di caviglia custom made e simulare l’intervento chirurgico. In questo caso è stata effettuata virtualmente un’osteotomia di allungamento del perone e l’impianto della protesi di caviglia da noi progettata. Il progetto virtuale è stato inviato alla ditta produttrice, che ha realizzato l’impianto in materiale biocompatibile.
Altre possibilità di impiego della stampante 3D sono gli impianti di protesi di anca custom made in situazioni in cui una protesi standard sarebbe controindicata.
Un caso interessante operato è stato quello di un paziente che aveva subito una frattura del collo femore con lussazione posteriore dell’anca e frattura del ciglio posteriore dell’acetabolo. Operato altrove con un’artroprotesi d’anca, aveva subito dopo alcuni anni una mobilizzazione settica delle componenti, che sono state rimosse per inserire uno spaziatore cementato antibiotato in attesa di una revisione della protesi.
È giunto pertanto alla nostra osservazione (fig. 4). Data la grave alterazione anatomica dell’acetabolo è stata progettata una ricostruzione del ciglio danneggiato e la simulazione con un cotile custom made (fig. 5). Attraverso la stampa 3D è stato realizzato il modellino in scala 1:1 per effettuare il planning operatorio (fig. 6), in cui viene discussa la via d’accesso e le fasi operatorie. Ciò ha consentito un notevole risparmio dei tempi chirurgici data la complessità del tipo di intervento.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia