
Filippo Castoldi
Partita in ritardo rispetto alle altre articolazioni, la chirurgia protesica di spalla sta dando buoni riscontri. Oltre a rispettare scrupolosamente le indicazioni, prima di operare è necessario valutare le peculiarità anatomiche di ogni paziente
Di recente sviluppo, il trattamento protesico della patologia degenerativa e traumatica del cingolo scapolo-omerale è in costante espansione. Con molte luci e qualche ombra residua, imposta fondamentalmente dall’estrema complessità anatomica e biomeccanica dell’articolazione, che sfida questa branca della chirurgia ortopedica a concepire via via soluzioni innovative.
Degli aspetti clinici, delle conquiste e anche delle difficoltà tecniche della chirurgia protesica di spalla ci fa un esauriente resoconto Filippo Castoldi, direttore della Clinica ortopedica e traumatologica dell’Aou San Lugi Gonzaga di Orbassano, polo didattico dell’Università di Torino. Anticipando, tra l’altro, alcuni dei temi che saranno affrontati, con taglio formativo, al primo corso avanzato dedicato, organizzato dalla Società italiana di chirurgia della spalla e del gomito (Sicseg) per il prossimo gennaio (vedi approfondimento a fine articolo).
Professor Castoldi, nell’ambito della chirurgia protesica il trattamento della spalla è relativamente recente rispetto a quello, per esempio, di anca e ginocchio. Quali sono i motivi teorici e pratici di questo ritardo?
A dire il vero il primo impianto protesico di spalla risale a un’epoca piuttosto remota: fu effettuato nel 1893 a Parigi da un chirurgo francese di nome Jules Émile Pean, ma fu un fallimento sia per i materiali impiegati sia per la scelta del paziente, che era affetto da un quadro di tubercolosi articolare.
Al di là di questo e di alcuni altri primordi non entusiasmanti, la chirurgia protesica di spalla ha avuto effettivamente uno sviluppo ritardato rispetto a quella delle altre grandi articolazioni, da attribuirsi innanzitutto al fatto che le conoscenze relative alla biomeccanica e alle alterazioni patologiche del cingolo scapolo-omerale sono progredite più lentamente e in tempi più recenti.
Inoltre, rispetto per esempio ad anca e ginocchio, quella della spalla è un’articolazione dotata di maggiore mobilità e molto più complessa sia dal punto di vista anatomico che dal punto di vista funzionale; caratteristiche che rendono più difficile ottenere la buona riuscita di un impianto protesico.
Quali sono stati, invece, gli avanzamenti scientifici e tecnologici che hanno dato impulso al suo recente sviluppo?
Negli ultimi decenni il continuo perfezionamento delle forme dei disegni protesici e degli accoppiamenti ha permesso di aumentare e ampliare progressivamente la casistica degli interventi di artroprotesi. In particolare, un passo decisivo si è compiuto con l’introduzione della protesi inversa, che ha rappresentato una delle innovazioni più importanti nel campo della protesica di spalla, oltre che una vera e propria svolta concettuale nell’ambito ortopedico in generale.
Per fare qualche esempio della più recente evoluzione della tecnica protesica: si sono cambiati gli angoli metafisari della componente omerale in modo tale da ridurre il notching, o contatto, con il collo della scapola e si può scegliere di modificare il centro di rotazione della protesi inversa lateralizzando la componente glenoidea oppure con componenti omerali lateralizzanti.
Parallelamente ha giocato un ruolo importantissimo l’adozione dei materiali più avanzati: si pensi al tantalio, materiale dotato di elevatissima biocompatibilità e di ottime capacità osteoinduttive e osteoconduttive, ideali per ottimizzare l’integrazione dell’impianto.
Quali sono oggi le indicazioni principali all’intervento di artroprotesi di spalla?
Le indicazioni all’artroprotesi di spalla sono quelle classiche: la patologia degenerativa primaria o secondaria con compromissione delle superfici articolari, sia con cuffia dei rotatori integra sia con residuo o assenza di cuffia; gli esiti traumatici; le patologie neoplastiche; la traumatologia acuta con grave compromissione dell’articolazione.
Quali sono i criteri di selezione delle diverse tipologie di protesi?
La scelta tra protesi anatomica e protesi inversa è dettata principalmente dalla presenza o meno di una cuffia dei rotatori funzionante; pertanto negli esiti traumatici con importante sovvertimento dell’anatomia articolare o nell’osteoartrosi con degenerazione massiva della cuffia si propende per una protesi inversa.
La protesi inversa trova indicazione inoltre sulla scorta di alcuni fattori di carattere più generale, come può essere l’età avanzata del paziente, in quanto permette un percorso riabilitativo più semplice. In una frattura complessa dell’omero prossimale in un soggetto anziano, per esempio, la soluzione inversa è sicuramente la prima scelta.
Rispetto a quali outcome anatomici e clinici la chirurgia protesica garantisce oggi i risultati migliori nelle diverse patologie della spalla per le quali può essere indicata?
Dal punto di vista anatomico possiamo dire che i nuovi disegni sia delle protesi convenzionali sia di quelle inverse garantiscono una sempre più adeguata ricostruzione dei profili articolari, consentendo di raggiungere spesso, in particolare con la protesizzazione anatomica, un ottimo ripristino della configurazione dei capi articolari.
Esiste, tuttavia, un punto ancora debole, rappresentato dalla glena scapolare, che nel tempo può diventare causa di fallimento dell’impianto per mobilizzazione o usura.
In ogni caso, per ora i risultati migliori si ottengono in soggetti con artrosi concentrica o eccentrica in assenza di gravi deformità scheletriche. Perché, tanto per fare un esempio, una grave deformità glenoidea determina una compressione dell’impianto protesico che inevitabilmente compromette il risultato clinico.
Quali sono al momento gli aspetti ancora critici o controversi sul piano clinico?
Per quanto riguarda la protesi anatomica un problema è rappresentato dalla progressiva lesione della cuffia dei rotatori, che convive con l’impianto protesico ma si logora nel tempo: questo costituisce l’elemento determinante del cattivo esito funzionale dell’impianto che si può riscontrare in follow-up di lunga durata.
Per quanto riguarda la protesi inversa, invece, un fattore rilevante per il successo dell’impianto è il risultato che si ottiene in termini di ripristino dei movimenti del braccio: poiché questo tipo di protesi è indicato in presenza di alterazioni della cuffia dei rotatori, l’impianto permette di recuperare una discreta escursione nei movimenti di abduzione e nell’elevazione, mentre non può assicurare grandi miglioramenti nei movimenti di rotazione, che saranno condizionati dal funzionamento dell’eventuale parte residua della cuffia.
Quali sono invece, sul piano tecnico, le principali difficoltà che può incontrare l’operatore in fase di pianificazione o di esecuzione degli interventi?
Nel caso dell’impianto anatomico, che come dice il termine deve ripristinare in modo perfetto la geometria anatomica e quindi i rapporti dell’omero e della glena scapolare su tutti i piani dello spazio, se questo obiettivo non viene raggiunto subentrano malfunzionamenti delle strutture muscolo-tendinee e capsulo-legamentose, che nella spalla rappresentano i principali motori del corretto funzionamento dell’articolazione.
Nel caso della protesi inversa la difficoltà sta nel determinare correttamente alcuni dettagli della sua realizzazione: per esempio l’orientamento della componente omerale e la sua lateralizzazione rispetto al centro di rotazione, che modificando il lavoro del deltoide può influenzare la performance dell’impianto. A tutt’oggi questo aspetto è ancora oggetto di dibattito: non è così chiaro quando sia indicato lateralizzare, il che vale a dire che il planning preoperatorio non ci aiuta ancora a definire quali sono le spalle in cui è bene impiantare una protesi inversa normale e quali quelle in cui è invece opportuno impiantare una protesi lateralizzante.
Vi sono fattori di rischio clinici o tecnici che possono in singoli casi precludere la chirurgia protesica a dispetto delle indicazioni?
Ovviamente sì. Per esempio anomalie anatomiche della superficie glenoidea che non garantiscano un adeguato ancoraggio della componente protesica, sia che si tratti di un impianto anatomico sia che si tratti di una protesi inversa. Una condizione di questo genere si può avere in soggetti con glena scapolare particolarmente piccola o con versione atipica o può verificarsi come esito di un intervento di revisione con scarso osso.
Qual è oggi la diffusione della chirurgia protesica di spalla sul territorio nazionale e qual è il livello qualitativo nei diversi centri in cui viene praticata?
In Italia sono ormai numerosi i centri nei quali si pratica la chirurgia protesica di spalla su ampia scala e ritengo che sul territorio nazionale il livello qualitativo di questi interventi sia complessivamente buono e che in alcuni centri raggiunga standard di eccellenza.
I motivi per cui una chirurgia di sviluppo relativamente recente ha già raggiunto risultati così soddisfacenti, nonostante la complessità degli interventi e la problematicità di alcune situazioni cliniche, sono fondamentalmente due, legati agli sviluppi scientifici e tecnologici degli ultimi anni: da un lato è cresciuta rapidamente la comprensione delle caratteristiche biomeccaniche del cingolo scapolo-omerale e del suo funzionamento e dall’altro si sono avuti a disposizione modelli e materiali protesici sempre più versatili e più performanti, e forse anche più semplici da impiantare.
Allo stato delle cose, si può dire che nel trattamento della spalla la chirurgia protesica sia destinata in un prossimo futuro ad estendere le proprie indicazioni e ad assumere maggiormente il ruolo di opzione terapeutica alternativa o addirittura di prima scelta rispetto agli approcci ricostruttivi convenzionali?
Quello che è accaduto e accade per le altre grandi articolazioni, riguarda oggi anche la spalla: la chirurgia protesica sta vivendo una fase di notevole sviluppo e sta prendendo piede, come dimostra il continuo aumento del numero degli interventi. Naturalmente questo va visto in una prospettiva in cui deve sempre prevalere l’approccio equilibrato, fondato sulla corretta valutazione delle indicazioni, e devono essere evitati gli eccessi. Una prospettiva in cui l’obiettivo primario rimanga il risultato clinico e cioè il miglioramento della qualità di vita del paziente.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia
SICSEG: A GENNAIO IL PRIMO
CORSO AVANZATO
IN CHIRURGIA PROTESICA DI SPALLA
La Società italiana di chirurgia della spalla e del gomito (Sicseg) aprirà le attività del 2017 con un evento formativo interamente dedicato alla chirurgia protesica di spalla. Il corso avanzato in chirurgia protesica di spalla si terrà il 26 e 27 gennaio nell’area metropolitana di Torino, presso l’Azienda ospedaliero-universitaria San Luigi Gonzaga di Orbassano, e sarà presieduto dal professor Filippo Castoldi (per informazioni: www.ilmelogranoservizi.com).
Dal primo impianto standard fino alla chirurgia di revisione, il corso coprirà l’ormai vasta e diversificata tipologia degli interventi di protesi totale di spalla, delle tecniche e dei dispositivi protesici. Con un fitto programma di lezioni frontali, workshop e sessioni di live e re-live surgery.
La valutazione delle indicazioni, il planning preoperatorio negli interventi di primo impianto e di revisione, le criticità del quadro chirurgico, le complicanze postoperatorie, l’approccio riabilitativo saranno le tematiche di approfondimento. Uno spazio dedicato, nel pomeriggio della prima giornata, tratterà gli aspetti clinici e di trattamento delle fratture complesse dell’omero prossimale, con discussione di alcuni casi.
Un’impronta di rilievo sarà data dalle sessioni pratiche – il workshop della prima giornata su osteosintesi e impianto protesico e l’intera mattinata di live e re-live surgery della seconda giornata – con l’obiettivo di far emergere gli elementi di complessità dell’atto chirurgico e promuovere un apprendimento il più possibile connesso alla realtà clinica.