Le fratture della tibia vengono solitamente fissate con l’impianto chirurgico di un chiodo intramidollare nello spazio vuoto all’interno dell’osso. Questo trattamento è generalmente efficace, ma nel 10-15% dei casi si produce una non-unione o un arresto nel processo di guarigione dell’osso. È una complicanza temuta, dalle gravi conseguenze: la pseudoartrosi si accompagna di solito a una sintomatologia dolorosa, che può produrre sconforto e persino stati depressivi nei pazienti. Anche i costi sanitari sono alti, così come quelli sociali, dato che solo sei pazienti su dieci sono in grado di tornare al lavoro entro un anno.
Per queste ragioni, un gruppo interdisciplinare della Leigh University, in Pennsylvania, ha progettato un studio con l’obiettivo di far luce sui fattori associati alla non-unione nelle fratture di tibia. A coordinare lo studio sono stati due ricercatori apparentemente molto lontani dalle problematiche cliniche: Hannah Dailey, docente di ingegneria meccanica, e Ping-Shi Wu, professore di matematica e statistica presso l’università statunitense. Il team ha esaminato 1.003 cartelle cliniche registrate nel database del Centro traumatologico dell’Università di Edimburgo, in Scozia, relative a pazienti trattati in un periodo di oltre vent’anni.
Pubblicati sul Journal of Orthopedic Trauma, i risultati sono per certi versi sorprendenti. Uno di questi è che i pazienti che si trovano nei decenni centrali della loro vita, in particolare le donne di età compresa tra i 30 e i 49 anni, sembrano essere a maggior rischio di pseudoartrosi. «Questa scoperta non ha una spiegazione biologica ovvia – ha commentato Dailey – e suggerisce che possano intervenire altri fattori particolarmente presenti in questa fascia di pazienti, come le abitudini e l’ambiente in cui vivono, il tipo di occupazione, i livelli di attività fisica, che potrebbero influire sulla guarigione delle ossa in modi non semplici da riconoscere e misurare».
Molto meno sorprendente è invece l’effetto negativo del fumo: «abbiamo tutti familiarità con alcuni dei più noti effetti negativi del fumo sulla salute, ma l’influenza sulla guarigione delle ossa, pur non essendo una novità, è meno conosciuta al di fuori della comunità medica». In realtà, in questo caso, il fumo non ha aumentato il rischio di mancata unione, ma ha prolungato significativamente il tempo medio con cui si è ottenuta la guarigione.
Giampiero Pilat
Giornalista Tabloid di Ortopedia