In un editoriale per Efort Open Reviews, il chirurgo ortopedico Michael Benson fa una disamina dei problemi che affliggono la ricerca e la pubblicazione dei risultati sulle riviste scientifiche. La quantità non aiuta: sono troppe le ricerche poco rilevanti
L’etica è – o dovrebbe essere – alla base della professione medica e, nello specifico della specialità chirurgica, una guida per tutta la comunità ortopedica europea è stata pubblicata a cura della European Federation of Orthopaedic and Trauma Societies (Efort) (1). Per redigerla era stato istituito un apposito comitato, di cui hanno fatto parte, tra gli altri, Luigi Zagra, dell’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano e Michael Benson, della Oxford clinic for Orthopaedics. Ora quest’ultimo ha affrontato, in un editoriale pubblicato sulla rivista Efort Open Reviews (www.efortopenreviews.org), le problematiche etiche che interessano gli ortopedici (ma non solo) nel momento in cui effettuano ricerche scientifiche e ne pubblicano i risultati sulle riviste specialistiche.
«Come chirurghi – scrive Benson – ci affidiamo in parte ai libri di testo e abbiamo imparato dagli articoli scientifici per migliorare la nostra pratica, per tenerci aggiornati e assicurarci di fornire le migliori cure ai nostri pazienti. Ci impegniamo inoltre nell’intraprendere ricerche in prima persona, nel revisionare articoli scientifici e a presentare i nostri risultati ai meeting o pubblicandoli sulle riviste dedicate. Tutte queste attività dovrebbero essere improntate alla massima trasparenza e onestà».
Tutti i problemi delle produzioni scientifiche
Già una decina di anni fa, il testo provocatorio di Richard Smith, editor per 13 anni del British Medical Journal, sosteneva che le riviste mediche sono una risorsa preziosa ma che dovrebbero essere ampiamente riformate. Smith rilevava che il processo di peer review è spesso viziato da interessi personali, sollevava preoccupazioni sul modo in cui vengono condotti gli studi clinici e richiamava l’attenzione sul numero eccessivo di pubblicazioni dai contenuti poco rilevanti. Smith non risparmiava neppure gli editori, facendo notare che gli interessi economici spesso offuscano l’obiettività.
Benson riconosce che alcuni tentativi sono stati fatti per affrontare queste problematiche, obiettivamente difficili da risolvere del tutto. «Anche se la maggior parte dei ricercatori conduce i propri studi in modo corretto e riporta i risultati onestamente e senza pregiudizi, non è difficile assistere a eccezioni rispetto a questi standard ideali. Ci sono stati esempi di dati inventati, manipolazioni o omissioni utilizzati per trarre conclusioni di comodo. Troppi articoli riportano indicazioni bibliografiche relative a pubblicazioni che non sono state neppure lette e da cui si traggono deduzioni scorrette. È poi un’abitudine diffusa che nella lista degli autori figurino responsabili di dipartimenti che non hanno partecipato alle ricerche e non vengano invece citati giovani ricercatori che hanno dato il loro contributo».
Attenzione al plagio
C’è poi il plagio, o furto intellettuale, quando si usano le parole o le idee di un altro ricercatore spacciandole per proprie. Le ricerche con gli strumenti informatici oggi disponibili e le numerose revisioni sistematiche della letteratura hanno reso i casi di plagio e i “copia e incolla” più facilmente identificabili. L’ortopedico inglese ricorda che le frasi di altri autori possono essere utilizzate solo a patto che si faccia riferimento esplicito all’articolo originale e chi non segue queste regole, corre rischi non indifferenti. «Le conseguenze dei plagi sono state ampiamente osservate nel mondo accademico – dice Benson – e accuse di plagio possono rovinare una reputazione e compromettere una carriera in ambito universitario. Possono esserci anche ripercussioni legali e cause intentate da chi si accorge di essere stato plagiato. Anche se tutti noi abbiamo la responsabilità di riferire casi sospetti di frode e di plagio, dovremmo però cercare di distinguere tra gli “errori onesti” e le deliberate falsificazioni, riconoscendo che possono esserci differenze nell’analisi e interpretazione dei dati: non tutti gli errori nascondono una frode».
Quattro domande-guida
Considerazioni etiche dovrebbero inoltre far sì che gli autori non sottomettano uno studio a più di una rivista contemporaneamente, mentre pubblicazioni simili possono essere ritenute accettabili se avvengono in momenti diversi e quella successiva è destinata a un pubblico differente e cita quella originale.
Benson si sofferma poi sul ruolo degli editori come “custodi” che dovrebbero assicurare la validità del materiale che pubblicano e fornire informazioni imparziali. Esiste a tal proposito un codice di condotta formulato dal Committee on publication ethics (Cope), istituito in Gran Bretagna vent’anni fa da un piccolo gruppo di editori e che ora conta oltre diecimila membri in tutto il mondo, che operano nei campi accademici più svariati. Il codice di condotta sottolinea le responsabilità degli editori ed elenca le best practice da adottare per affrontare questioni etiche che si fanno sempre più complesse. In generale, sono proprio gli editori a prendere la decisione finale riguardo alla pubblicazione di ricerche scientifiche e, secondo il Cope, riferendosi all’ambito medico, dovrebbero porsi almeno quattro domande: quanto è rilevante lo studio? Quanto è affidabile? Gli autori hanno prestato le dovute attenzioni nella protezione della salute dei pazienti? Hanno rispettato le regole vigenti nel Paese dove hanno condotto lo studio?
Infine, Benson accenna all’importante ruolo del processo di peer review e all’imparzialità necessaria per chi si accinge a questo compito, non mancando però di rilevare che ci sono stati «tristi esempi» di peer reviewers che hanno dato parere negativo alla pubblicazione di un articolo per poi utilizzarlo come base per i propri studi.
Il chirurgo inglese conclude il proprio editoriale con una speranza per il futuro, affinché «nuove tecniche di analisi permettano di ridurre ulteriormente le pubblicazioni fraudolente e ci permettano di credere con più fiducia in ciò che leggiamo sulle riviste scientifiche».
Giampiero Pilat
Giornalista Tabloid di Ortopedia
1. Benson M, Boehler N, Szendroi M, Zagra L, Puget J. Ethical standards for orthopaedic surgeons. Bone Joint J 2014;96-B:1130–1132.
2. Benson M. Ethical publishing in Orthopaedics. EFORT Open Reviews Feb 2016, 1;(2),25-26.
3. Smith R. The trouble with medical journals. London: Royal Society of Medicine Press, 2007.