Maggiore disabilità e dolore fisico, incremento di sintomi depressivi correlati a pensieri nefasti, diminuzione dell’autosufficienza, pericolosa limitazione nei movimenti: in definitiva un sensibile peggioramento della qualità della vita. Ecco cosa determina la kinesiofobia, la paura cronica del movimento, la cui alta incidenza (50%) tra un gruppo di 84 pazienti trattati chirurgicamente per ernia discale è stata messa in luce da un recente studio svedese.
I pazienti sono stati esaminati attraverso la Tampa scale for kinesiophobia (TSK), parametro di valutazione internazionale con il quale si è evidenziata, per l’appunto, una persistente e costante preoccupazione del tutto ingiustificata nel dover compiere movimenti per paura di procurarsi dolore o danni, capace di compromettere tutte le azioni di vita quotidiana – anche lavorative – con chiare ripercussioni anche di carattere socio-economico.
In pratica i soggetti con kinesiofobia si autoconvincono che con il movimento l’erniazione discale potrebbe ripetersi o qualcosa possa “rompersi” e di rimando cominciano a ridurre al minimo gli spostamenti e le attività, fino a quando non raggiungono una situazione, questa sì patologica, di quasi totale staticità in casa. Trattasi di atteggiamenti e reazioni che si insinuano lentamente e che hanno ricadute dannose sugli esiti del post-operatorio. E sì perche la kinesiofobia gioca, altresì, un ruolo negativo anche sugli effetti benefici ottenibili grazie alla riabilitazione, poiché induce chi ne soffre a limitarsi oltremisura nell’esecuzione degli esercizi e dei movimenti prescritti. Ovviamente il verificarsi di ciò dopo un intervento di discotomia pregiudica la piena e completa ripresa della normale funzionalità muscolo-scheletrica.
C’è da sottolineare che i pazienti in questione (il 50% affetto da kinesiofobia), dopo l’intervento, hanno ammesso la riduzione del dolore che prima avvertivano soprattutto nella zona lombo-sacrale e alle gambe, ma allo stesso tempo hanno dichiarato che la paura di sentire dolore permane in loro intatta, come se non si fossero sottoposti ad alcun intervento: si è senza dubbio in presenza di un vero e proprio condizionamento psicologico che non avrebbe ragion d’essere. Terapia psicologica di supporto abbinata ad una buona e oculata riabilitazione consentono un graduale recupero della sicurezza e della reale percezione del proprio corpo: solo questo può aiutare a sconfiggere i fantasmi della paura.
Giunge da questo caso clinico l’ennesima conferma di quanto l’aspetto psicologico abbia una sostanziale influenza sul nostro benessere fisico, in quanto capace di indurre malesseri e disturbi inesistenti, ma che dal “malato” sono percepiti come reali.