Micro movimenti della protesi di anca o ginocchio possono causare al paziente sintomatologia dolorosa e disturbi funzionali dell’articolazione, fino al fallimento dell’impianto e alla conseguente necessità di sottoporsi a un nuovo intervento. Non un problema isolato, bensì reale e sottostimato se si considera che ancora oggi esiste una percentuale di pazienti insoddisfatti dopo l’intervento di protesi di ginocchio che oscilla tra il 15 e il 20%.
Partendo da questi dati l’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano sta sperimentando un sistema, basato sulla radiostereometria, in grado di rilevare eventuali piccoli spostamenti delle protesi e che permette di seguire l’andamento dell’impianto nel tempo, verificandone la stabilità.
La radiostereometria è una metodica nata negli anni ’70 che, nel corso del tempo, ha subito diverse modifiche fino ad arrivare al primo sistema digitalizzato alla fine degli anni ‘90 e al più avanzato adottato all’Irccs Galeazzi (Radiostereometria Model Based) che prevede il posizionamento di microsfere del diametro di un millimetro in tantalio, metallo inerte, all’interno dell’osso che è a diretto contatto con la protesi.
Il paziente dopo l’impianto della protesi e l’inserimento delle microsfere biocompatibili viene sottoposto a una radiografia, base di partenza per costruire un modello 3D, tramite un software dedicato, del device posizionato. A cadenza regolare il paziente viene sottoposto a ulteriori radiografie con successiva ricostruzione modellizzata 3D dell’impianto che viene comparata con quella iniziale, evidenziando eventuali migrazioni.
«Le normali radiografie eseguite per il controllo delle protesi spesso non sono in grado di identificare un problema di mobilizzazione delle componenti protesiche. Questo sistema non ci permette solo di capire se l’impianto si sia spostato, ma anche quale sia stata la tipologia di movimento. Inoltre ci consente di ottenere misurazioni submillimetriche di questi movimenti, utili a comprendere come interagiscono protesi e scheletro – spiega Michele Ulivi, responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia Ricostruttiva Articolare della Clinica Ortopedica (Oraco) del Galeazzi, a capo della sperimentazione –. Le sfere sono indipendenti, non si mobilizzano in quanto intra-ossee, non influiscono in alcun modo sul funzionamento meccanico della protesi, come invece accadeva in precedenza con l’impiego dei markers che richiedevano di essere fissati alle componenti protesiche».
L’introduzione di questo sistema, che al Galeazzi è in fase iniziale di sperimentazione e che è stato finanziato dal ministero della Salute, grazie al monitoraggio periodico può condurre a una diagnosi precoce dell’eventuale mobilizzazione dell’impianto. L’impiego della radiostereometria permette anche di raccogliere dati preziosi per analizzare, a lungo termine, quali siano gli elementi che possono influire sui micro movimenti degli impianti. «Il nostro obiettivo è quello di poter comprendere quali siano le variabili che possono influenzare la buona tenuta di una protesi, affinché si possano mettere in atto accorgimenti preventivi, tali da ridurre al minimo il rischio di mobilizzazione» afferma Ulivi.