Di Gino Emanuele, Alessandro Ivone, Andrea Fusaro, Luisa Spro, Alessandro Aloja e Roberto Vanelli
Una paziente di 33 anni, coinvolta in un incidente stradale, aveva riportato un trauma contusivo alla caviglia destra con lieve distorsione. Le radiografie effettuate in pronto soccorso hanno dato esito negativo, mentre la risonanza magnetica è stata in grado di rilevare un’area con segnale disomogeneo della cartilagine in sede antero-laterale e postero-laterale della cupola astragalica, associata ad edema osseo (fig. 1). Il danno inizialmente è apparso come una lesione cartilaginea di grado 3-4 secondo la classificazione di Outerbridge, conseguente ad osteocondrite dell’astragalo.
La terapia conservativa iniziale ha previsto riposo funzionale, tutore, limitazione del carico e una terapia per migliorare il metabolismo osseo: iniezioni di bisfosfonati, integrazione con vitamina D e campi elettromagnetici pulsati (Pemf).
Purtroppo il dolore persisteva a distanza di sei mesi dal trauma, decretando il fallimento della terapia conservativa e ponendo indicazione all’intervento in artroscopia con microfratture dell’osso sottostante il difetto cartilagineo e applicazione di atelocollagene e colla di fibrina. Ciononostante, dopo un anno la persistenza del dolore ha implicato un secondo intervento open per via artrotomica.
Tecnica chirurgica
È stato eseguito un approccio antero-laterale alla caviglia destra (fig. 2). L’ispezione articolare ha rivelato una lesione osteocartilaginea mobile, a tutto spessore, di 1 cm2 della superficie laterale della cupola astragalica (fig. 3). Il frammento è stato rimosso ed è stato effettuato il debridement nel sito di distacco; sono poi state eseguite microfratture con punteruoli ossei appropriati (fig. 4). Successivamente è stato posizionato uno scaffold di collagene nel difetto cartilagineo e coperto con una membrana di collagene equino (MeRG Biocollagen, Akron Regeneration) fissata con colla di fibrina (fig. 5). La stabilità dell’impianto biologico e la congruenza articolare sono state verificate intraoperatoriamente mediante cicli di flessione ed estensione della caviglia e sono state protette mediante applicazione di gesso e limitazione del carico nel periodo postoperatorio.
Risultati clinici
A 4 settimane dall’intervento è stato rimosso il gesso e la paziente ha iniziato a muovere passivamente e attivamente la caviglia. Ha gradualmente recuperato un’estensione di 15° e una flessione di 40°, senza dolore. Il carico parziale è stato consentito a 6 settimane, con progressione ad un carico completo a 8 settimane.
Il follow-up a 3 mesi ha mostrato la capacità della paziente di svolgere le attività quotidiane senza dolore e un soddisfacente range di movimento (fig. 6, video). È previsto un prossimo controllo clinico e strumentale a 6 mesi dall’intervento. Se confermato un trofismo osteocondrale soddisfacente e il mantenimento di una condizione di benessere soggettivo e obiettivo, si valuterà il ritorno allo sport.
Autori:
Gino Emanuele, U.O.C. di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Edoardo Bassini, Asst Nord Milano
Alessandro Ivone, U.O.C. di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Edoardo Bassini, Asst Nord Milano
Andrea Fusaro, U.O.C. di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Edoardo Bassini, Asst Nord Milano
Luisa Spro, U.O.C. di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Edoardo Bassini, Asst Nord Milano
Alessandro Aloja, U.O.C. di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Edoardo Bassini, Asst Nord Milano
Roberto Vanelli, U.O.C. di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Edoardo Bassini, Asst Nord Milano