Nel volume “Semeioica clinica del piede”, edito da Griffin-Timeo, gli autori forniscono indicazioni pratiche anche per l’esame clinico del distretto achilleo plantare: la visita va effettuata a entrambi i piedi e la valutazione clinica deve precedere quella strumentale
Nell’ambito dell’esame obiettivo generale del piede di particolare importanza è l’approccio semeiologico al tendine calcaneale, o tendine di Achille, sia per la frequenza della sua affezione che per le implicanze terapeutiche, spesso chirurgiche, che patologie a questo distretto comportano. Di questo argomento troviamo ampia trattazione nel libro “Semeiotica clinica del piede” scritto da Carmelo Errichiello, Raul Cerlon, Lorenzo Morino e Davide Deledda ed edito da Griffin-Timeo (www.griffineditore.it).
La visita va strutturata prima nell’esame del paziente in catena cinetica chiusa, ovvero in ortostatismo statico e durante la deambulazione, successivamente sul lettino da visita, in catena cinetica aperta. Inoltre, è assolutamente inaccettabile impostare la visita analizzando unicamente il piede interessato: il paziente va visitato con entrambi gli arti inferiori completamente scoperti, per mettere in evidenza eventuali patologie cutanee, muscolari, vascolari o patologici assetti segmentari e sovra-segmentari.

Presso-palpazione a livello della giunzione mio-tendinea in cerca di eventuali lesioni
Fonte: Errichiello C, Cerlon R, Morino L, Deledda D. Semeiotica clinica del piede. Griffin-Timeo, 2022.
La verifica della brevità
Per quanto riguarda l’ortostatismo vengono effettuate alcune prove sul tendine di Achille per verificarne la funzionalità. La brevità del tendine di Achille può essere già indagata con una semplice manovra in ortostatismo. Il paziente viene invitato ad accovacciarsi senza staccare il tallone dal suolo (“squat test”): il paziente ci riuscirà completamente in assenza di brevità tendinea, mentre solleverà il tallone in caso di brevità. Se invece consideriamo l’analisi in clinostatismo, alcune manovre per verificare la brevità o meno del sistema achilleo plantare possono essere, ad esempio, quelle di dorsiflettere passivamente la caviglia, sul lettino da visita, mentre il retropiede viene mantenuto normo-assiato: un tendine di Achille “limite” consentirà una difficoltosa dorsiflessione della tibio-tarsica, che non raggiungerà i 90°; un Achille “breve” ne impedirà il movimento oltre i 70°-80°. Ancora, un altro test semiologico per la ricerca della brevità dell’Achille effettuato in clinostatismo è il test di Silfverskiöld: dorsiflettendo passivamente la caviglia sia a ginocchio esteso che a ginocchio flesso, è possibile valutare eventuali retrazioni di tutto il complesso miotendineo tricipitale (gastrocnemio e soleo), oppure dei soli muscoli gemelli per la loro inserzione bi-articolare.
L’importanza della palpazione
Completando la semeiologia clinica su questo distretto tendineo, è necessario specificare come sia di rilievo, in clinostatismo, l’accurata palpazione del corpo e del tratto inserzionale del tendine di Achille, nella ricerca di specifiche zone di dolore e quindi di tenopatie corrispettive. Va infatti ricercata una eventuale dolorabilità a livello del triangolo di Kagher (sede di frequenti borsiti pre-tendinee) o della tuberosità calcaneale posteriore (sede di borsiti retro tendinee, calcificazioni, deformità in calcagno alto di Haglund).
Anche la presso-palpazione a livello della giunzione miotendinea va effettuata con attenta selettività (fig. 1), per ricercare la presenza di eventuali lesioni a tale livello quale la disinserzione distale del muscolo gemello mediale, patologia piuttosto rara e poco nota che consiste nell’interruzione traumatica, più o meno grave, del gemello mediale dalla sua aponeurosi terminale, poco prima dell’unione di questa con quella del soleo, così da formare l’origine del tendine di Achille. Essa si verifica in occasione di uno scatto con rapida estensione del ginocchio a piede dorsiflesso: l’atleta accusa un vivissimo dolore con l’impressione di essere stato colpito da una pietra (come accade nelle rotture sottocutanee del tendine di Achille); in questo caso l’impotenza funzionale è assoluta e immediata e clinicamente si apprezza palpatoriamente lo hiatus corrispondente alla disinserzione e la retrazione “en boule” (a sfera, a globo) del ventre muscolare. Il polpaccio, in caso di lesione del gemello mediale, è dolente, gonfio e teso per l’esteso ematoma, il piede è invece atteggiato in equinismo antalgico e si sviluppa una progressiva ecchimosi che si espande fino alla regione retro-malleolare. La pato-biomeccanica di questa lesione, da differenziarsi quindi dalle rotture tendinee propriamente dette, si basa sulla posizione anatomica più distale del gemello mediale rispetto al laterale e dalla disposizione istologica penniforme delle fibre muscolari.
In ambito di achillodinie e in particolare per patologie degenerative e non traumatiche, è descritto in letteratura il cosiddetto “segno dell’arco doloroso” che consiste nella presso-palpazione mirata a livello del tendine di Achille mentre il paziente flette-estende ripetutamente la caviglia. La manovra risveglia dolore in una zona fissa se la patologia riguarda il paratenonio (paratenonite), per sofferenza del “contenente”; la zona dolorosa si sposta prossimalmente-distalmente se la patologia è a carico del corpo tendineo (tendinosi), per sofferenza a carico del “contenuto”.

Foto intraoperatoria in un caso di rottura del tendine di Achille. Oltre la lesione complessa del tendine, è posto in evidenza il peduncolo vascolare, che proviene dal versante più anteriore e profondo della loggia tendinea; esso è assolutamente da rispettare nelle manovre di ricostruzione chirurgica
Fonte: Errichiello C, Cerlon R, Morino L, Deledda D. Semeiotica clinica del piede. Griffin-Timeo, 2022.
Test per sospetto di rottura
Nel caso invece di una sospetta rottura sottocutanea del tendine di Achille l’anamnesi approfondita, l’impotenza funzionale assoluta alla digitigrada e il successivo esame obiettivo a livello della sede interessata consentiranno una diagnosi certa di rottura tendinea, che verrà in seguito confermata tramite imaging. Per ricercare una lesione di questo tipo possiamo ricorrere al test di Thompson e Doherty, detto “squeeze test” o “calf test”, che si effettua spremendo manualmente il polpaccio e valutando la plantar-flessione del piede (tendine integro) o la sua immobilità (rottura tendinea). In letteratura è inoltre descritto, seppure non di pratica comune, il test di O’Brian, certamente fastidioso per il paziente, che consiste nell’inserire per via trans-cutanea un ago nel corpo tendineo a monte della zona di sospetta lesione e nel plantar/dorsiflettere passivamente il piede: l’ago si muove in caso di continuità tendinea, rimane fisso in caso di rottura.
A paziente prono si può valutare inoltre la continuità tendinea dell’Achille, dorsi-flettendo passivamente il piede e paragonandolo al contro-laterale: l’eccesso di movimento in dorsiflessione è spia di interruzione completa del corpo tendineo.
Il gap palpabile sotto pelle (“segno del solco”), infine, è un dato assolutamente patognomonico di discontinuità del corpo tendineo, con sua rottura che in genere si verifica a livello della “zona critica” di vascolarizzazione.
Carmelo Errichiello
Raul Cerlon
Lorenzo Morino
Davide Deledda
NO AL «DOPING STRUMENTALE»: VALUTAZIONE CLINICA VIENE PRIMA DEGLI ESAMI_La valutazione anamnestico-clinica deve precedere la consultazione degli esami strumentali, i quali potrebbero erroneamente condizionare la corretta interpretazione delle problematiche cliniche riferite dal paziente. La semeiotica clinica rappresenta “in primis” uno strumento essenziale alla interpretazione statica e dinamica della patologia del piede. Ci preme riportare il pensiero di Giacomo Pisani espresso nel suo trattato di chirurgia del piede, a proposito della semeiotica clinica: «la richiesta di esami strumentali è inversamente proporzionale alla fiducia che si ha nel proprio esame anamnestico e clinico.
Il “doping” strumentale, supportato dall’accreditamento spesso eccessivo del mezzo tecnologico, è di frequente fuorviante se privilegiato come elemento diagnostico. Né alcun esame strumentale documenta il “soggettivo”, cui tutt’al più può essere correlabile quando, talora, non corrispettivo ai dati dell’esame stesso». Ciò naturalmente non toglie l’importanza che hanno avuto e stanno sempre più acquisendo le indagini strumentali, specie le più specifiche e sensibili, nel completamento di tutto un corollario diagnostico per una esatta indicazione terapeutica, sia essa conservativa o chirurgica.
Carmelo Errichiello, Raul Cerlon, Lorenzo Morino, Davide Deledda