Negli ultimi 10 anni la sepsi è cresciuta nel mondo a un tasso annuo dell’8-13% e anche nei paesi sviluppati resta la prima causa di morte da infezione: nonostante vaccini e antibiotici, il tasso di mortalità resta tra il 30 e il 60%
400 casi in Europa ogni 100.000 abitanti e 60.000 morti all’anno solo in Italia: sono questi i numeri della sepsi, sindrome che ad oggi uccide più dei tumori al seno e all’intestino messi insieme, e di cui il 13 settembre di ogni anno viene celebrata la Giornata Mondiale. Negli ultimi 10 anni la sepsi è cresciuta drasticamente nel mondo a un tasso annuo dell’8-13% e anche nei paesi sviluppati la sepsi resta la prima causa di morte da infezione: nonostante vaccini, antibiotici e terapie di emergenza, il tasso di mortalità resta tra il 30 e il 60%. Oltre 100.000 casi nel mondo di sepsi materna: la mortalità materna per sepsi è la seconda causa di decesso dopo l’emorragia.
Proprio in occasione dell’ultima Giornata Mondiale, Siaarti (Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva) e Biotest (azienda farmaceutica attiva nella ricerca contro la sepsi), insieme a un gruppo di medici italiani operanti in diversi ospedali nel campo della ricerca contro la sepsi, hanno lanciato l’allarme su questa condizione con una campagna di informazione diretta ai media e al grande pubblico, presentando anche un progetto di medicina narrativa (vedi box in questa pagina) a cui hanno partecipato alcuni specialisti dell’Ospedale San Paolo di Milano, dell’azienda ospedaliera universitaria di Pisa, del Policlinico di Modena, dell’Ospedale Monaldi di Napoli, dell’Ospedale Vittorio Emanuele di Catania, dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino e dell’Istituto Clinico Sant’Ambrogio di Milano.
Strategie: dall’igiene ai nuovi farmaci
Coordinatore di tutto il progetto è il professor Massimo Girardis, dell’Università di Modena e Reggio Emilia, medico presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Modena e coordinatore del GdS Infezioni e Sepsi della Siaarti, partner del progetto. «Vogliamo soprattutto mettere in luce l’importanza della prevenzione nei confronti della sepsi che fa registrare una mortalità ospedaliera, nelle forme più gravi, del 40-60% – ha spiegato il professor Girardis –. In questo frangente sono determinanti ai fini di una minore incidenza della patologia pratiche semplici di igiene generale apparentemente scontate ma in realtà fondamentali, come il lavaggio delle mani e i miglioramenti dei servizi igienico-sanitari».
Queste precauzioni, insieme ai progressi della ricerca medica e scientifica, sono in grado di ridurre in modo significativo i tassi di mortalità e di incidenza: lo testimonia in particolare una ricerca pubblicata dal consorzio delle terapie intensive australiane e neozelandesi, che dimostra quanto le strategie terapeutiche proposte in questi anni abbiano favorito una drastica diminuzione dei decessi per sepsi severa dal 35% del 2000 al 18% del 2012. Tuttavia c’è ancora moltissimo da fare, soprattutto con un’informazione mirata al pubblico: «si parla tanto di altre patologie maggiormente “impattanti” e quasi nessuno sa che negli stessi ospedali si rischia di morire per questa patologia. La comunità scientifica e i mezzi di informazione devono alzare la guardia su questa sindrome apparentemente meno “notiziabile” ma in grado di fare più vittime del tumore al seno e all’intestino messi insieme» hanno spiegato i responsabili del progetto.
La ricerca farmacologica
Per quanto riguarda la ricerca farmacologica lo stato dell’arte è stato presentato da Laura Lampugnani, Infection Desease Brand Manager di Biotest Italia: «Lo sviluppo delle popolazioni batteriche resistenti agli antibiotici pregiudica sempre più la riuscita delle cure impiegate per combattere le infezioni. In più la possibilità di poter disporre di nuovi farmaci adeguati ha tempi di attesa molto lunghi, si parla di 3-4 anni: attualmente una possibile strategia attuabile per arginare tale gap sembra risiedere nell’integrazione degli antibiotici con farmaci capaci di potenziarne l’efficacia. Ad oggi, sul fronte del trattamento delle infezioni, ci si basa sulla somministrazione combinata di antibiotici e sul rinforzo della loro azione tramite terapie immunologiche. In particolare l’utilizzo di soluzioni IgM (immunoglobuline M) potrebbe favorire un potenziamento dell’efficacia degli antibiotici e un rafforzamento delle difese immunitarie. A questo proposito sono in corso alcuni studi per approfondire il meccanismo d’azione di tali preparati ed è in programma la stesura di un dossier di valutazioni circa la possibilità di adottare questi preparati biologici come strategie complementari per il contrasto delle immunoresistenze batteriche: in concreto gli studi in corso sono orientati non solo a valutare il meccanismo di azione delle soluzioni IgM, ma anche a individuare i campi di applicazione clinica con maggiore chiarezza, e stimarne le performance all’impiego combinato con gli antibiotici».
Andrea Peren
Giornalista Tabloid di Ortopedia
MEDICINA NARRATIVA: IL VISSUTO DEI PAZIENTI
IN UN LIBRO SULLA SEPSI
La medicina narrativa (o Narrative Based Medicine) si sviluppa negli Stati Uniti a partire dagli anni ’80 alla Harvard Medical School a opera di due psichiatri e antropologi, Arthur Kleinman e Byron Good. A fine degli anni ’90 fa la sua comparsa con questa denominazione in una raccolta di articoli pubblicati sul British Medical Journal.
La medicina narrativa si basa sulla condivisione dell’esperienza della malattia da parte del paziente: raccontare in modo strutturato la propria malattia gli permette di elaborare la propria condizione e intravederne un senso che gli permetta di viverla in una prospettiva meno negativa. La narrazione inoltre aiuta a migliorare il rapporto medico-paziente ed è importante per restituire al malato la sua dignità di persona, che va ascoltata e rispettata in quanto tale e non soltanto esaminata dal punto di vista clinico.
Da qui l’idea del libro «Quei giorni senza tempo. Storie di sepsi dalla terapia intensiva», di Isabella Bossi Fedrigotti e Maurizio Cucchi, la cui pubblicazione sarà sostenuta dalla società scientifica Siaaarti e dalla farmaceutica Biotest.