Professor Paolo Palombi, Ospedale Cto di Roma
Dottor Andrea Palombi, Università Tor Vergata di Roma
Dalla letteratura internazionale pervengono dati allarmanti circa la mortalità dei pazienti anziani affetti da una frattura di collo femore: dal 35 al 50% entro un anno.
Dovendo dare una risposta interpretativa a tale gravoso dato, si può ipotizzare che molti siano i fattori che possono essere incriminati per questa pesante morbilità. Primo fra tutti la “sindrome da allettamento”, che per quanto minimizzata può comunque arrivare a condizionare l’attività fisica di un paziente che già si trova in una condizione di ipocinesi consueta alla sua età. Poi il trauma anestesiologico, il non trascurabile trauma psicologico che va ad assommarsi al già precario e delicato equilibrio determinato da uno stato di fisiologico atteggiamento depressivo. Ma soprattutto il danno ematologico che, se in un giovane paziente potrebbe essere considerato trascurabile, in un paziente con una ridotta capacità emopoietica può determinare notevoli difficoltà a contrastare la perdita ematica che inizia insieme alla frattura, aumenta con l’intervento operatorio e prosegue nel periodo postchirurgico come non trascurabile gemizio nella sede dell’osteosintesi endomidollare. Tale squilibrio anemico determina l’inizio di un decadimento generale con stato ipossico cerebrale e miocardico, squilibrio elettrolitico e sofferenza multiorgano, i quali in un organismo anziano possono non essere compensati e piuttosto virare verso una condizione di irreversibilità.
Il goal imperativo del chirurgo ortopedico è dunque minimizzare la perdita ematica durante e dopo l’intervento mediante un gesto chirurgico poco invasivo; la mininvasività però mal si raccorda con l’affidabilità e la robustezza della sintesi. Questo è l’obiettivo della sintesi a viti divergenti: coniugare l’affidabilità assoluta di un sistema robusto ed elastico che consenta il carico immediato con una invasività minima, soprattutto nei confronti dell’endostio metafisario, fonte di facile e prolungata emorragia.
Il razionale del nuovo sistema
La stabilità viene ricercata mediante la riduzione del momento di coppia che esiste fra il carico gravitario sulla testa femorale e la trasmissione della resistenza sulla diafisi femorale.
È noto che fra il carico gravante sulla testa femorale di un femore sano e quello trasmesso alla diafisi esiste un braccio di leva proporzionato all’offset femorale che produce un momento di coppia (fig. 1).
Il momento di coppia viene trasmesso nel femore integro dal fascio di Adams sollecitato in pressione e dal fascio arciforme che è sollecitato in trazione, sotto il controllo coordinato della muscolatura glutea.
Nel femore fratturato al livello trocanterico la sintesi sarà tanto più biomeccanicamente valida quanto più breve sarà il momento di coppia intercorrente fra la spinta del carico gravitario sulla testa (asse meccanico) e la trasmissione sulla resistenza alla diafisi (asse anatomico).
Nelle sintesi endomidollari, la trasmissione della resistenza sulla diafisi avviene nel canale midollare, in zona quindi favorevolmente prossima (fig. 2) all’asse gravitario e con grande superficie di appoggio (pressorio ed endomidollare) sull’endostio laterale della dialisi.
Nella sintesi con la classica vite-placca la distanza fra asse di carico gravitario e scarico sulla diafisi avviene con maggiore distanza (fig. 3) perché il carico viene distribuito dalle forze di coppia sulla corticale laterale, peraltro non in appoggio come nell’endomidollare, ma in trazione mediante le viti che tengono la placca aderente alla corticale laterale; la proiezione sull’osso delle forze in trazione delle viti è limitata al diametro delle viti. Questo costringe il chirurgo a usare placche lunghe e invasive con molte viti nello scopo di opporsi alle forze in trazione che tenderebbero a sfilare le viti dalla diafisi (fig. 4).
Il mezzo ideale dovrebbe trasferire le forze di carico pressorie dalla testa al punto della diafisi più prossimo alla linea di carico gravitario, restituendole come forze non estrusive sulle viti distali, ma compressive; questo punto corrisponde alla robusta corticale diafisaria mediale e la sintesi ideale potrebbe configurarsi pertanto in un arco congiungente il calcar cervicale con la spessa corticale sottotrocanterica mediale, riproducendo così la funzione meccanica dell’arco di Adams.
Nella vite-placca tradizionale questo arco ideale si ferma a metà della sua estensione, in corrispondenza della corticale diafisiaria laterale dove va a resistere al carico gravitario con una resistenza in trazione sulle viti, che non comprimono (perché non bloccate) e per di più giacciono sullo stesso vettore delle linee di forza estrusive. Nella sintesi endomidollare l’arco ideale si ferma invece più medialmente nel canale diafisiario, facendo presa sull’endostio laterale con resistenza in pressione.
Nel sistema Dilops la funzione di questo arco viene mimata medialmente fino alla corticale mediante il bloccaggio a stabilità angolare (fig. 5) delle viti prossimali e di quelle distali che trasformano il sistema in un monoblocco arcuato a doppia curvatura. Tale configurazione conferisce al sistema la funzione di semplice trasmettitore di carico dal calcar alla corticale mediale.
In questo arco a doppia angolatura le viti distali, grazie alla angolazione bloccata che le rende solidali alla placca, vengono sollecitate non più in trazione, ma in appoggio pressorio sulla corticale mediale con una proiezione pressoria ampia quanto tutta la lunghezza della vite.
La divergenza delle viti conferisce oltretutto caratteristiche autostabilizzanti al sistema in quanto le viti, sollecitate dal carico, tendono a compenetrarsi nell’osso e non a mobilizzarsi, al punto che si può considerare che il sistema sarebbe efficace anche senza viti filettate ma con semplici fittoni lisci.
La resistenza al carico esaminata con l’analisi agli elementi finiti ha mostrato la totale sicurezza dell’impianto. In particolare si è simulato un carico assiale di 300 kg (4 volte b.w.) ed è risultato un’accumulo della sollecitazione, in corrispondenza delle più prossimali tra le viti distali, di circa 250 MP, quando viene considerata critica la soglia di 435 MPa, comunque distante dal “carico di snervamento” della lega di titanio, che è di 800 MPa.
La tecnica operatoria
L’accesso chirurgico, grazie alla notevole angolatura delle viti cefaliche, è molto distale e limitato, venendo a cadere distalmente alla regione trocanteri.
Dopo l’incisione della fascia lata e il ribaltamento anteriore di una piccola area d’inserzione del vasto laterale, si appoggia la placca alla corticale laterale, tenendola dalla guida cannulata e facendola aderire, prossimalmente, sotto la salienza del gran trocantere e distalmente in zona limitrofa al tubercolo del terzo trocantere curando la centralità della placca sulla faccia laterale della diafisi femorale.
Si introduce un filo guida cervicale nel foro centrale prossimale della placca tramite la cannula-guida inserita nel foro centrale (fig. 7). Se il controllo radiografico mostrerà un buon posizionamento nel calcar, si procederà al fissaggio provvisorio della placca sull’osso mediante due fili K inseriti nei fori minori laterali che fisseranno la placca nella posizione voluta. Si potrà quindi estrarre la cannula-guida e, lasciando il filo repere, si procederà al fresaggio con fresa cannulata corta.
Seguirà la rimozione del filo guida e la introduzione della vite centrale cervicale primaria (con eventuale trazione) che verrà guidata dal foro ottenuto precedentemente con la fresa; quindi seguiranno le due viti cervicali laterali sempre sotto guida cannulata, rimuovendo prima un filo K, poi l’altro. Successivamente si procederà alla inserzione delle viti distali con la relativa fresa guidata dalle specifiche cannule (fig. 8). Si procede con la copertura della placca con il lembo di vasto laterale distaccato e viene eseguita una sutura per piani.
Dati di follow up
Dal luglio 2009 ad oggi sono stati effettuati oltre 200 interventi su fratture pertrocanteriche stabili e instabili (età media: 75 anni).
I risultati controllati (circa 150) hanno mostrato un un impegno nettamente inferiore delle condizioni generali dei pazienti e un recupero clinico-funzionale marcatamente più rapido rispetto a tutti i sistemi di sintesi precedentemente adottati.
I VANTAGGI NELLA TECNICA CHIRURGICA Nei confronti dei sistemi a vite placca tradizionali le viti divergenti offrono alcuni importanti vantaggi. – Accesso mininvasivo con riduzione dei tempi di intervento e minimizzazione del sanguinamento – Incremento della stabilità grazie alla trasmissione dei carichi pressori sulla corticale mediale
Anche nei confronti dei sistemi di sintesi endomidollare, il sistema a viti divergenti offre una serie di vantaggi. – Mancato impegno del canale midollare: drastica riduzione dell’emorragia – Rispetto della muscolatura glutea – Microelasticità del sistema: l’unico elemento rigido è il piccolo connettore di 5 cm interposto fra lunghe viti elastiche di titanio – La sintesi non atteraversa i frammenti trocanterici, cosa che in particolari tipi di fratture può comportarne la scomposizione – Maggior rispetto del muro laterale, grazie ai tre fori piccoli anziché uno grande da 12 mm – Effettuazione di una sola piccola incisione cutanea, lontana dal focolaio di frattura, invece delle quattro necessarie per la introduzione degli endomidollari – Riduzione drastica del ricorso alle radiazioni ionizzanti durante l’introduzione delle viti distali, in quanto queste saranno facilmente percepibili manualmente dall’operatore che verificherà semplicemente con il dito il punto di fuoriuscita delle viti sulla corticale mediale. – Minimalizzazione dello strumentario chirurgico necessario in sala (misura unica della placca; varia solo la lunghezza delle viti). |
INDICAZIONI: FRATTURE TRANSCERVICALI PERTROCANTERICHE L’obiettivo delle viti divergenti del sistema Dilops è quello di riprodurre il più fedelmente possibile la funzione dell’arco di Adams trasferendo il carico della testa femorale alla regione mediale della diafisi femorale. Perché tre viti cefaliche e non una singola? 1. Per poter aderire più strettamente alla corticale inferiore del collo utilizzando appieno la robustezza del calcar (fig. 6). 2. Per incrementare la resistenza antitorsionale. 3. Per conferire microelasticità al sistema. 4. Per ridurre l’aggressività sul muro laterale. Sul sito web www.paolopalombi.com, alla sezione video, è disponibile un filmato che illustra i dettagli della tecnica chirurgica. |