Secondo i dati di un sondaggio Aisot-Federspecializzandi i giovani, soprattutto nei primi anni, effettuano poca pratica chirurgica. È accaduto anche in piena emergenza pandemia, con pochi contratti nonostante il decreto Calabria
A un anno dallo scoppio della pandemia, Federspecializzandi ha lanciato una survey per conoscerne l’impatto sui medici in formazione specialistica. Come ha spiegato Andrea Fidanza, esponente di Aisot, Federspecializzandi e membro dell’Osservatorio nazionale della formazione medica specialistica presso il Miur, «l’Associazione italiana specializzandi in ortopedia e traumatologia ha raccolto in modo più specifico i dati relativi alla nostra specialità e li ha integrati con quello nazionale di FederSpecializzandi. In tre mesi abbiamo raccolto più di 750 risposte da specializzandi di tutti gli anni di formazione». I dati sono stati presentati da Fidanza nel corso del congresso nazionale Siot (Roma, 4-7 novembre).
Come ha dunque influito la pandemia sulla formazione? La prima domanda è molto generale e le risposte, “negativamente” o “molto negativamente” nell’80% dei casi, danno la prima fotografia riassuntiva della situazione: c’è stata una riduzione generale di tutte le attività, cliniche e chirurgiche, e anche della varietà della casistica operatoria.
È stato chiesto ai medici specializzandi il tipo di attività svolta. Oltre il 50% ha partecipato ad attività ambulatoriali di ortopedia, di traumatologia e ha eseguito turni specialistici in pronto soccorso con la presenza di un tutor, altri senza tutor e solo una piccola minoranza non ha avuto questa possibilità.
Eppure, entrando nel dettaglio, emergono alcune criticità: quanti apparecchi gessati hanno confezionato gli specializzandi nell’ultimo anno e quanti interventi da primo operatore hanno effettuato? C’è quasi una sovrapposizione tra chi ha risposto zero: rispettivamente il 12% e il 19%. È chiaro che questo è un problema, ma nell’ultimo biennio di formazione la situazione migliora nettamente rispetto ai primi tre anni.
Per quanto riguarda in particolare gli interventi chirurgici, «prima di tutto abbiamo chiesto quanto spesso gli specializzandi abbiano operato fratture prossimali di femore, applicando chiodi o placche Dhs che – ricorda Fidanza – sono quelle tipologie di fratture che invadono e soffocano ogni ospedale pubblico in italia. Il 50% ne ha eseguite più di dieci, il 12% tra sei e nove, il 29% tra uno e cinque e solo il 10% nessuna». Se nove su dieci hanno effettuato almeno uno di questi interventi di osteosintesi, la situazione si ribalta se parliamo di fratture intracapsulari dell’epifisi prossimale del femore, quindi di un’endoprotesi o di un’artoprotesi: il 50% non ne ha mai fatte e il 13% soltanto una.
Anche le esperienze sulle fratture di rotula, di polso e sugli interventi di vertebroplastica sono state poche: coloro che non ne hanno mai fatte, aggiunti a chi ha effettuato al massimo cinque interventi, sono la maggioranza assoluta. Anche la pratica sulle artroscopie, come primo operatore, risulta carente: quattro su cinque ne hanno eseguite una o nessuna. E le cifre tendono a peggiorare ulteriormente riguardo a interventi un po’ più invasivi come l’applicazione di un chiodo di omero o di tibia, oppure le stabilizzazioni vertebrali. Nello specifico dell’ortopedia e traumatologia pediatrica, infine, solo il 4% ha fatto da sei a dieci interventi, e oltre il 70% nemmeno uno.
È dunque coerente con queste percentuali la dichiarazione di oltre metà degli specializzandi, che non si sentirebbe pronta ad assumere responsabilità di dirigente medico anche prima di acquisire il titolo di specialista. Forse si tratta di un dato fisiologico, che in effetti si riduce negli ultimi anni di formazione, ma non tende a zero neppure al quinto anno.
Specializzandi in pandemia
Tornando alla pandemia: è stato chiesto se in questo periodo gli specializzandi abbiano sottoscritto un contratto (escludendo contratti fuori dall’orario formativo, come la partecipazione alla somministrazione di vaccini). La netta maggioranza (580) ha risposto di no e solo 33 hanno dichiarato di aver stipulato un contratto grazie al decreto Calabria, secondo il quale le aziende ospedaliere del sistema sanitario nazionale possono assumere medici specializzandi durante gli anni di formazione specialistica, con contratto subordinato a tempo determinato e orario a tempo parziale. Altri 53 hanno firmato contratti come collaboratori coordinati e continuativi (co-co-co), 13 di tipo subordinato a tempo determinato e 76 hanno avviato una libera professione, con apertura di una partita Iva.
Fidanza stigmatizza il fatto che, di coloro che hanno sottoscritto un contratto, il 25% non ha stipulato un’altra polizza assicurativa, indice di temerarietà o di ignoranza dei rischi.
Più chirurgia per crescere
In questo scenario, quali aspetti della propria scuola migliorerebbero i medici specializzandi in ortopedia? Come prevedibile, chiedono di aumentare la formazione pratica chirurgica, la partecipazione a cadaver lab e di assistere a più lezioni frontali interattive, in presenza o a distanza.
«Abbiamo visto – dice Fidanza – che l’aumento della casistica operatoria, così come la partecipazione a congressi o le fellowship, avviene specialmente negli ultimi anni di specializzazione. Allora il processo di formazione va ripensato e aggiornato, visto che già dal terzo anno i colleghi hanno la possibilità di sottoscrivere un contratto secondo decreto Calabria praticamente perdendo l’importante opportunità formativa e di portfolio curriculare che gli ultimi due anni di specializzazione avrebbero proposto e orientativamente garantito».
Anche l’Efort, nel suo curriculum europeo in ortopedia e traumatologia, dice che i livelli di competenza vanno acquisiti studiando, guardando e praticando attivamente sotto la supervisione di un tutor e finalmente facendolo in autonomia. «Dobbiamo allora immaginare che anche la valutazione delle competenze per il medico specializzando debba cambiare – riflette Fidanza –: dovrebbe essere costante, frequente ed effettuata da più prospettive, in modo che la certificazione sia l’insieme delle valutazioni e dei feedback ricevuti dai tutor, non una firma messa alla fine dell’anno sul libretto. Solo in questo modo si potrà mettere a fuoco con la giusta risoluzione il grado di autonomia dello specializzando e definirne i crescenti livelli di responsabilità».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia