Il taping sta entrando rapidamente in ambito clinico-riabilitativo soprattutto nel post-traumatico e nel post-chirurgico. La terapia è di tipo biomeccanico, a efficacia immediata, non è invasiva ed è priva di effetti collaterali, ma è estremamente operatore-dipendente
Taping elastico, taping anelastico, kinesiotaping, taping funzionale, taping neuromuscolare. Negli ultimi vent’anni il trattamento dei più comuni disturbi muscoloscheletrici con gli ormai popolari nastri adesivi dai colori sgargianti ha preso piede e conquistato visibilità soprattutto nell’ambito sportivo professionale, con le conseguenti mistificazioni e mitizzazioni e soprattutto con i prevedibili errori di interpretazione riguardo a fondamenti teorici, indicazioni e aspetti tecnici di questi strumenti fisioterapici.
Anche semplicemente dal punto di vista descrittivo l’argomento è penalizzato da un’ambiguità sostanziale: i termini citati, spesso usati come sinonimi, fanno in realtà riferimento a utilizzi del taping che sono del tutto differenti sia concettualmente che sul piano pratico e applicativo. Nella fattispecie, le denominazioni registrate Kinesiotaping e NeuroMuscular Taping corrispondono a due metodologie che non soltanto hanno origini molto distanti tra loro nello spazio e nel tempo – la prima in Asia all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso ad opera del giapponese Kenzo Kase e la seconda in Europa all’inizio del 2000 ad opera dell’australiano David Leonard Blow – ma inoltre si fondano su argomentazioni fisiologiche diametralmente opposte.
Un tentativo di fare chiarezza è doveroso, soprattutto in considerazione del fatto che da qualche anno l’impiego del taping si sta spostando dal territorio delle prestazioni atletiche a quello delle attività cliniche riabilitative. Ne parliamo proprio con David Leonard Blow, ideatore del NeuroMuscular Taping (NMT) concept e fondatore nel 2003 a Roma, dove attualmente risiede, del NeuroMuscular Taping Institute (www.tapingneuromuscolare.eu), un centro interamente dedicato alla formazione e alla ricerca clinica sulle varie applicazioni del taping neuromuscolare, fatta in collaborazione con ospedali, aziende sanitarie locali, università ed enti privati, in Italia e in diversi altri paesi del mondo.
Dottor Blow, in che cosa differiscono concettualmente e tecnicamente kinesiotaping e taping neuromuscolare?
Il kinesiotaping, talvolta indicato con i termini di taping funzionale o di bendaggio neuromuscolare, è basato su un meccanismo di compressione che si ottiene applicando i tape con gradi di tensione variabili, dal 10 fino al 100% della lunghezza, allo scopo di far svolgere al materiale elastico una stimolazione concentrica sui tessuti sottostanti. Ha fondamentalmente una funzione di contenimento e quindi si presta a svolgere un’azione di immobilizzazione e stabilizzazione, utile in particolare nel contesto sportivo oppure in generale in alcune condizioni post-traumatiche.
Il taping neuromuscolare propriamente detto, di mia creazione, origina da un ragionamento clinico di più ampia portata in quanto si basa, al contrario, su un meccanismo di decompressione, che si produce facendo aderire i tape in allungamento, con l’obiettivo di produrre nel distretto trattato una stimolazione eccentrica. L’azione decompressiva determina una dilatazione degli spazi interstiziali nei tessuti sottostanti, a diverse profondità a seconda della larghezza dei tape, con conseguente potenziamento del microcircolo e del drenaggio linfatico. Ha dunque un effetto principalmente decongestionante e, per così dire, pro-metabolico, favorevole in tutte le situazioni caratterizzate da un processo infiammatorio e/o degenerativo, che sia di origine traumatica o chirurgica oppure legato agli eventi fisiopatologici di una condizione morbosa.
Data la differenza nei presupposti teorici delle due metodologie, si può dire che assume un’importanza fondamentale la tecnica di applicazione dei tape?
Assolutamente sì. Anzi, nel determinare l’efficacia del taping la parola chiave è senz’altro “human skill”.
Rispetto allo strumento l’unico aspetto importante è che il tape sia di buona qualità – a tale proposito io raccomando di utilizzare sempre un prodotto registrato al ministero della Salute come dispositivo medico non farmacologico – ma il risultato che si ottiene dipende esclusivamente dalla competenza specifica dell’operatore, vale a dire dalla sua capacità di scegliere la modalità di applicazione adatta al singolo caso, la sede da trattare, le dimensioni (lunghezza e larghezza) appropriate del tape, la durata del trattamento necessaria per ottenere e/o mantenere nel tempo l’azione terapeutica.
Tengo a sottolineare che proprio perché i presupposti teorici sono opposti, un taping scorretto può sortire un effetto che è esattamente il contrario di quello desiderato. Parlando di NMT, un elemento prioritario, evidente anche a prima vista, è l’assenza di tensione a livello del tape, il quale, se applicato correttamente in allungamento, deve, una volta riportato il distretto trattato in posizione normale, sollevare la cute in pliche, per poter generare decompressione e non, viceversa, compressione. Ne consegue che un taping teso laddove serve drenaggio e ossigenazione provocherà invece nei tessuti sottostanti maggiore congestione e ipossia.
È per questo motivo che la formazione, attraverso corsi accreditati di vario livello, e auspicabilmente soprattutto presso le strutture pubbliche, ospedali e cliniche, è una delle mission principali del NMT Institute, che ad oggi solo in Italia ha certificato con i propri attestati 14.000 tra fisioterapisti, fisiatri e logopedisti.
Quali sono attualmente le principali indicazioni del taping neuromuscolare?
In virtù del suo meccanismo di azione si può dire che il NMT ha indicazione ogniqualvolta la rimozione di liquidi in eccesso, sostanze proinfiammatorie e scarti metabolici e l’aumento dell’apporto di ossigeno e nutrienti possono favorire i processi di normalizzazione e riparazione dei tessuti.
Le applicazioni neuromuscoloscheletriche spaziano dalla traumatologia alla chirurgia protesica in ortopedia, dalla riabilitazione neuromotoria negli esiti di vasculopatia cerebrale alla terapia sintomatica o di mantenimento nelle forme croniche come la paralisi cerebrale infantile e nelle patologie neurodegenerative progressive come il Parkinson, la sclerosi multipla, la Sla o la Sma, oppure nelle condizioni malformative come il piede torto congenito, l’artrogriposi o la clinodattilia, dal trattamento antinfiammatorio e antidolorifico nelle patologie di pertinenza reumatologica come l’artrite reumatoide o la sclerosi sistemica a quello decontratturante nella lombalgia o nella distonia cervicale.
Inoltre la capacità propria del taping decompressivo di esercitare anche una stimolazione sensoriale, a livello dei recettori esterocettivi e propriocettivi, ne amplifica le potenzialità terapeutiche, rendendolo adatto in tutte le situazioni con deficit sensitivi di qualsiasi origine (vascolare, chirurgica, traumatica, ecc.) piuttosto che nei disordini posturali. Recentemente si sta verificando la validità del NMT anche nel miglioramento delle condizioni dei tessuti cutaneo e sottocutaneo, per esempio nella chirurgia ricostruttiva e nel trattamento delle cicatrici, delle ulcere diabetiche e delle ustioni.
Praticamente non ci sono limitazioni all’impiego del NMT, anche in combinazione con altri trattamenti fisioterapici, purché sia prescritto e realizzato in modo appropriato.
Quali sono i criteri prescrittivi in traumatologia e in chirurgia protesica?
La prima fondamentale regola nel programmare il NMT è operare una distinzione tra fase acuta, fase post-acuta e fase funzionale, fissando obiettivi terapeutici diversi.
È ovvio che nel periodo immediatamente successivo a una lesione traumatica o a una procedura chirurgica il trattamento decompressivo-dilatatorio locale è controindicato, sia per la presenza di una soluzione di continuità della cute, in caso di trauma aperto o di intervento chirurgico, sia per il rischio emorragico. Ma possiamo in ogni caso attivare un protocollo fast track allo scopo di accelerare il ripristino delle condizioni più idonee al progetto riabilitativo: nella fase acuta è dunque opportuno applicare i tape prossimalmente rispetto alla sede del trauma o del sito chirurgico seguendo l’anatomia del sistema linfatico, in modo da favorirne la decongestione indirettamente. Ciò significa, per esempio, nel caso del ginocchio, applicare i tape a livello inguinale o nel caso della caviglia a livello del cavo popliteo, stendendoli fino a 5-10 cm dal sito chirurgico o traumatico.
Nella fase post-acuta, quando i processi riparativi interni ed esterni sono ormai avviati, si può procedere all’applicazione anche in corrispondenza dell’area chirurgica o della lesione traumatica con tape sottili, fino a 1 cm, che lavorano in superficie riducendo l’infiammazione e favorendo gli eventi rigenerativi, da sostituire poi nella fase funzionale, caratterizzata da minore dolorabilità e da un grado già avanzato di mobilizzazione, con tape più larghi, fino a 5 cm, che lavorano più in profondità.
Sono previste controindicazioni specifiche al taping decompressivo?
Il NMT è una terapia biomeccanica, non invasiva e priva di effetti collaterali, fatta eccezione per eventuali reazioni allergiche alla sostanza adesiva dei nastri o idiosincrasiche, ma va utilizzato in un’ottica di responsabilità medico-sanitaria.
Quindi l’applicazione deve essere evitata in alcune circostanze: in sedi con accertati o sospetti fenomeni emorragici o trombotici; a livello di un sito chirurgico o di una lesione traumatica in fase acuta; sull’addome in caso di sanguinamento gastrico o intestinale, in presenza di fibromi uterini e nell’immediato post partum; in stretta prossimità con localizzazioni neoplastiche cutanee o profonde e in generale, in via precauzionale, in pazienti con malattia tumorale non ben controllata; in soggetti con infezioni batteriche o virali in atto.
Eventuali effetti avversi o insuccessi terapeutici del NMT sono pressoché sempre da imputare a errori nella prescrizione del trattamento o nell’applicazione dei tape.
I nastri colorati sono diventati piuttosto popolari in ambito sportivo. Qual è invece la percezione in ambito clinico?
Da parte degli operatori c’è un crescente interesse verso le potenzialità del NMT via via che se ne studiano in modo sistematico le possibili applicazioni. La domanda di formazione è alta, compatibilmente con le risorse economiche delle strutture, e l’offerta è variegata, anche se non sempre di livello qualitativo idoneo: per acquisire conoscenza teorica, capacità prescrittiva e abilità tecnica nel NMT non basta un corso di poche ore.
Da parte dei pazienti c’è talora una reazione di scetticismo, che tuttavia viene facilmente superata quando il taping, proposto e attuato da un operatore esperto, incomincia a produrre rapidamente i primi benefici. L’efficacia immediata, infatti, è una caratteristica di questo trattamento.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia

NMT: LE PROVE DI EFFICACIA_Nel tempo si sono accumulati molti studi soprattutto sul taping compressivo, che ha una tradizione d’uso più lunga. Al NMT Institute abbiamo condotto diversi studi sulle varie applicazioni del taping decompressivo e pubblicato i risultati su riviste internazionali.
In uno studio condotto presso l’Aou di Torino l’applicazione di tape in corrispondenza di flessori ed estensori della mano ha mostrato in 53 donne con sclerosi sistemica un miglioramento degli indici funzionali e una riduzione del dolore e degli episodi di Reynaud; in un caso di sindrome di Ehlers-Danlos all’Ospedale Umberto I di Roma si è osservato con NMT a livello lombare e del ginocchio un miglioramento della coordinazione motoria; lo stesso in un caso di sclerosi multipla al San Camillo di Venezia, dove sono stati applicati tape a livello dell’ileocostale lombare, del trapezio, del deltoide e del gastrocnemio e nel quale si è riscontrato anche un effetto di modulazione dei livelli ematici di alcuni microRna specifici. In un trial multicentrico su 32 pazienti con spalla emiplegica dolorosa post-ictus il NMT applicato in corrispondenza dei muscoli pettorale maggiore, deltoide e sovraspinato ha ottenuto un miglioramento in termini di dolore, spasticità e mobilità significativamente superiore rispetto al solo trattamento fisioterapico standard. Altri lavori hanno riguardato bambini anche molto piccoli con paralisi cerebrale infantile, soggetti con sindrome di Down e adulti con lombalgia.
David Blow