Un uomo di anni 28, consulente amministrativo in libera professione, il giorno 01/01/2014 fu coinvolto in un violento politraumatismo da collisione contro ostacolo fisso ad elevata velocità a causa della perdita del controllo dell’autoveicolo da parte del conducente. L’uomo veniva trasportato in condizioni critiche e in stato confusionale all’ospedale di zona e, dopo gli accertamenti clinico-strumentali per trauma maggiore, veniva ricoverato in regime di urgenza in terapia intensiva con la diagnosi di «rottura aorta toracica, dissecazione tripode celiaco, fratture composte di bacino (ala iliaca sinistra, ala sacrale, branca ileopubica sinistra con coinvolgimento della colonna anteriore dell’acetabolo) oltre a fratture scomposte delle ossa nasali, plurime ferite lacero contuse e da taglio al capo e al volto oltre a frattura alla teca cranica e maxillo-faciale (frattura bifocale lievemente infossata dell’osso frontale con emoseno), plurimi focolari lacero-contusivi polmonari con fratture costali multiple (arco anteriore I-II-III e IV costa a sinistra), infrazione del corpo sternale con versamento pleurico, pneumotorace e pneumomediastino».
Intubato, veniva sottoposto a intervento chirurgico di endoprotesi vascolare dell’aorta toracica per rottura dell’istmo aortico con pseudoaneurisma post-traumatico (fig. 1). La lesione al tripode celiaco, strumentalmente accertata e caratterizzata da dissezione intimale con apposizione trombotica, non veniva trattata vista la parziale ricanalizzazione da inversione del flusso dell’arteria gastroduodenale in sindrome del legamento arcuato. Veniva contestualmente condotto intervento chirurgico collaterale di ricostruzione dell’arteria femorale comune destra con riscontro di residua stenosi del 30-40% al declampaggio a livello della raffia. Veniva politrasfuso con emazie da banca. Al controllo TC si documentava rifornimento del noto pseudoaneurisma istmico per cui nello stesso giorno veniva condotto ulteriore intervento chirurgico di bypass carotido-succlavio sinistro oltre al posizionamento di estensione prossimale della componente endoprotesica vascolare posizionata in regime di urgenza (fig. 2).
In data 04/01/2014 l’infortunato veniva estubato con riscontro di corretti scambi respiratori in ossigenoterapia con Venturi 50% e progressiva riduzione del noto pneumotorace. Al successivo controllo TC del 06/01/2014 veniva riscontrato ulteriore rifornimento dall’arteria succlavia del noto aneurisma per cui il periziando veniva sottoposto a procedura di embolizzazione dell’arteria succlavia sinistra con spirali a rilascio controllato (fig. 3). La procedura era complicata dal dislocamento di una piccola porzione delle spirali che veniva interpretata come priva di vizi vascolari.
In data 09/01/2014 veniva eseguita procedura di riduzione cruenta ed osteosintesi con placche dedicate delle note fratture nasali. Veniva poi trasferito nell’unità operativa di Chirurgia Vascolare, ove si evidenziava progressiva iponatriemia da Siadh (di natura post traumatica per cui veniva impostata terapia medica).
A poco meno di un mese dal trauma il paziente, stante la stabilità del quadro clinico, veniva trasferito nell’unità operativa di Medicina Fisica e Riabilitazione dove veniva impostato il progetto riabilitativo individuale finalizzato al recupero stenico globale e di reintroduzione alle attività proprie e lievi della vita quotidiana. Alla dimissione (07/02/2014) veniva segnalata buona autonomia per i passaggi posturali e trasferimenti, parziale recupero della mobilità rachidea cervicale e parziale recupero stenico globale con deambulazione autonoma per brevissimi tragitti con ausilio di bastoni ad appoggio antibrachiale.
In data 18/04/2014 alla valutazione specialistica ortopedica si certificava la guarigione radiografica e clinica delle note lesioni fratturative per cui veniva prescritta fisiokinesiterapia costante per il mantenimento del tono-trofismo muscolare. Proseguiva pertanto nel suo iter terapeutico-riabilitativo sino al giorno 18/09/2015, data in cui lo specialista ortopedico curante dichiarava la guarigione clinica con postumi permanenti invalidanti condizionanti pregiudizio biologico e suscettibili di valutazione medico-legale.
In data 27/11/2014 il paziente era stato giudicato invalido civile con riduzione permanente della capacità lavorativa pari al 70%.
Decorso psichiatrico
In data 16/04/2014 il paziente si sottoponeva a visita psichiatrica che rilevava «sindrome da disadattamento con sintomatologia ansioso-depressiva […] stato di sofferenza psichica conseguente alla modificazione dello stile di vita in seguito all’incidente. Si rileva perdita di fiducia nelle proprie capacità, insicurezza, disagio nelle relazioni sociali, insofferenza, ansia somatizzata e abulia. A tutto ciò si aggiunge un funzionamento psichico caratterizzato da tendenze ossessive» per cui veniva suggerito supporto psicologico finalizzato alla rielaborazione degli eventi.
In data 15/05/2014 lo specialista psichiatra rilevava che «rispetto al colloquio precedente si evidenza una maggiore incidenza della sintomatologia ansioso-depressiva, in particolar modo della irritabilità e abulia» per cui veniva impostata terapia neurolettica.
ESAME MEDICO-LEGALE PSICHIATRICO
Paziente affetto da disturbo dell’adattamento si riscontra un danno psichico residuo
Dal punto di vista psicopatologico il soggetto ha manifestato per un lungo periodo uno stato di grave sofferenza psicofisica reattiva al drammatico sinistro stradale. Il quadro psichico riscontrato durante il periodo riabilitativo era caratterizzato da una sintomatologia mista, prevalentemente a carattere ansioso-depressivo, con sensibile compromissione dell’autostima, pensieri fobici, perdita di fiducia nelle proprie capacità, generale senso di smarrimento e insicurezza. Verbalizzava l’incredulità per quanto successo, con la chiara percezione che nulla tornerà più come prima. Manifestava anche comparsa di disagio nelle relazioni sociali, fenomeni di insofferenza, ansia e tendenze ossessive non presenti prima del sinistro.
Tale costellazione sintomatologica, ben inquadrabile dal punto di vista psicopatologico in un disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso, si manifesta frequentemente anche in conseguenza di minori o lievi modificazioni dell’abituale assetto della psiche e del soma.
Il soggetto, in seguito all’incidente, ha subito modificazioni drammatiche e parzialmente irreversibili dell’aspetto fisico, della qualità e dello stile di vita.
Dopo un percorso psicologico prescritto per aiutarlo nell’adattarsi al cambiamento ed elaborare l’accaduto, si è ottenuto un accettabile miglioramento soprattutto nel controllo nella sintomatologia ansiosa e di evitamento delle relazioni. Il percorso riabilitativo psichico ha consentito al paziente di poter assumere una nuova prospettiva, cercando di volgere lo sguardo oltre il trauma e di riattivare le capacità psichiche.
Si rileva comunque un danno psichico residuo caratterizzato da perdita di fiducia nelle proprie capacità, fenomeni di somatizzazione e abulia.
Fabio Fontana
Psichiatra
ESAME MEDICO-LEGALE
A guarigione completata permane un quadro di disabilità
All’esame medico-legale, ancora oggi l’infortunato presenta una serie di disturbi.
1. Cefalea cronico-ricorrente e turbe del sonno. Riferisce deflessione del tono dell’umore per soggettiva disabilità, difficoltà all’adempimento delle ordinarie attività quotidiane e professionali, facile affaticabilità, impossibilità alla pratica di attività ginnico-sportive, stanchezza cronica e parziale ritiro sociale; ipostenia spiccata dell’emisoma sinistro (non dominante) oltre a soggettivo pregiudizio estetico per evidenti esiti cicatriziali specie in aree fotoesposte, visibili ictu oculi.
2. Cervicalgia cronica postero-laterale destra e sinistra con rigidità, limitazione articolare e difficoltà antalgiche al mantenimento delle posizioni statiche.
3. Toracalgia cronica di lieve entità che si magnifica ai movimenti di flessione e rotazione del busto con soggettiva dispnea in/espiratoria anche per sforzi modesti, già di per sè mal tollerati per manifesta stanchezza cronica e facile affaticabilità.
4. Algia cronica all’anello pelvico e all’anca sinistra con difficoltà deambulatorie, zoppia, cedimenti articolari recidivanti nonchè difficoltà all’esecuzione delle normali attività come il salire e scendere dalle scale per facile affaticabilità ed esacerbazione del quadro algico lamentato.
5. Spiccata meteoropatia.
Focus ortopedico
Dal punto di vista ortopedico all’esame obiettivo si nota bacino e arto inferiore sinistro normoconformato, stabile. Si apprezzano due esiti cicatriziali rubri, discromici e dismorfici, ipertrofici di cm 5 e 5,8 da accesso iatrogeno all’asse ileo-femorale, disestesiche al tatto; minus circonferenziale di coscia di cm 2; diffusa dolorabilità della sinfisi pubica e al decorso dei legamenti inguinali. Ipomobilità delle anche ai massimi gradi, in appoggio monopodalico, tendelemburg accennato a sinistra.
Il paziente affetto da trauma del bacino è frequentemente coinvolto in traumi ad alta energia che portano a lesioni multiple che individuano spesso il quadro di politrauma. Tali pazienti devono essere quindi stabilizzati da un punto di vista clinico e sono ad elevato rischio di morte. In tal senso, alcune manovre o trattamenti ortopedici partecipano alla stabilizzazione emodinamica e clinica del paziente in una logica di Damage Control. Il chirurgo ortopedico, come spesso avviene, rimane a margine di questo trattamento e in tal senso si inseriscono problematiche sia chirurgiche che medico-legali.
Per quanto riguarda l’interessamento del cingolo pelvico nel complesso, il miglioramento degli standard rianimatori e chirurgici di urgenza permettono oggi di affrontare in sicurezza svariati quadri in passato trattati solo con la fissazione esterna anche con riduzione aperta e sintesi interna. Questo garantirebbe una migliore qualità di vita e un più rapido recupero funzionale e in qualche modo relegando la fissazione esterna al trattamento in urgenza.
Nel caso clinico descritto in queste pagine non si ritiene che fosse necessario alcun trattamento anche di sola fissazione esterna in urgenza, in quanto le lesioni risultano stabili.
Per quanto riguarda l’interessamento cotiloideo appare marginale e quindi non di interesse chirurgico, benché questo preveda una precisa valutazione di tipo medico-legale negli esiti.
Nel complesso il paziente che risultava ad elevato rischio di morte è stato trattato e il tempo necessario a tale stabilizzazione risulta comunque superiore alle tre settimane, che è il tempo normalmente ritenuto come spartiacque tra un trattamento in urgenza o un intervento degli esiti delle lesioni cotiloidee.
Da un punto di vista traumatologico ortopedico non si ravvisano quindi profili di responsabilità o di censura.
VALUTAZIONE MEDICO-LEGALE
La valutazione del danno biologico temporaneo e permanente
Gli interventi chirurgici eseguiti in urgenza, le cure intensive e la lunga ospedalizzazione hanno consentito il salvataggio della vita del periziando e un rientro alla vita quotidiana. Purtroppo la capacità ad adempiere alle ordinarie mansioni appare notevolmente compromessa. Il complesso menomativo ha cagionato inoltre l’instaurarsi di un disturbo distimico e di ridotta interazione sociale.
Quindi il corretto trattamento chirurgico, medico-rianimatorio e fisiatrico ha impedito sicuramente complicanze ancor più gravi con possibile morte, ha consentito all’infortunato di non rimanere allettato e una discreta ripresa funzionale motoria. Il quadro clinico e le alterazioni anatomo-funzionali viscerali e gli esiti fratturativi sono da considerare ormai stabilizzati nella loro evoluzione per il tempo trascorso dal momento delle lesioni traumatiche (sono trascorsi oltre 24 mesi), che rende imprevedibile un’ulteriore ripresa migliorativa. Non sono proponibili ad oggi ulteriori trattamenti medico-chirurgici che possano migliorare le condizioni cliniche ed anatomo-funzionali dell’infortunato, anzi non si possono escludere complicanze future quali migrazione/mobilizzazione dell’impianto protesico endovascolare, apposizioni trombotiche o colonizzazioni settiche.
La documentazione medica, i dati storico-clinici, i rilievi semeiologici fatti nel corso dell’attuale visita medico-legale e le considerazioni epicritiche di cui sopra comprovano che le gravi lesioni iniziali sono evolute con un danno biologico temporaneo e permanente in ambito di RC.
Danno biologico temporaneo
Per la valutazione del danno biologico temporaneo che, ricordiamolo, non coincide con la semplice inabilità lavorativa, deve tenersi conto anzitutto che l’evento si realizzò il 1 gennaio 2014, che il 18 aprile 2014 fu attestata la stabilizzazione delle lesioni fratturative con prescrizione di fisioterapia e che il 27 novembre 2014 fu effettuata la valutazione in sede di invalidità civile. Alla luce di questi punti fermi temporali, si può ritenere che il danno biologico temporaneo conseguente all’incidente si sia risolto in 11 mesi; deve essere fatta una graduazione partendo da una incontestabile situazione del 100% (compromissione totale) per almeno 4 mesi, e cioè fino a quando non fu attestata la stabilizzazione del quadro fratturativo, e riconoscendo almeno altri 7 mesi (fino cioè alla valutazione in invalidità civile) al 75%. Tenuto conto della valutazione del grado della invalidità permanente non dobbiamo fare l’errore concettuale di riconoscere un periodo al 50%, in misura cioè inferiore al danno stabilizzato, errore che spesso ricorre nella pratica corrente.
Danno biologico permanente
Per la valutazione del danno permanente si deve tener conto che si trattò di un politraumatismo che interessò più apparati (osteoarticolare, vascolare, cute e psiche) e anche le menomazioni conseguenti determinano ripercussioni plurime. Trattandosi di ambito RCA ed essendo ben oltre la soglia del 10% entro la quale vale la tabella di legge, si deve procedere a una valutazione complessiva che non può certo essere la sommatoria (come invece è nelle assicurazioni private).
La valutazione del danno biologico permanente subito dal soggetto in esame è francamente ardua, data la pluralità e la complessità delle menomazioni residuate, e la necessità di effettuare una valutazione complessiva porta ad una sostanziale sottostima della percentuale finale, come costantemente avviene nei macrodanni.
Prendendo come riferimento le tabelle della Linee guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico (2016) e dovendo operare, specie per il danno vascolare, con valutazioni per analogia si arriva a una valutazione complessiva del 65% partendo dalle valutazioni, anch’esse complessive, del danno estetico (20% per le cicatrici, in particolare quelle al volto), del danno osteoarticolare (25%, esiti anatomici di fratture e ripercussioni funzionali), del danno vascolare (20%) e tenendo conto del danno psichico (15%). Si tratta di una valutazione sostanzialmente per difetto, e forse sarebbe più corretto indicare una forbice tra il 60 e il 70% ma, come è noto, nell’ambito del risarcimento occorre fornire un numero bruto.
Dovranno essere poi riconosciute le spese sostenute, in particolare per i trattamenti riabilitativi, e dovranno essere previste spese per cure fisioterapiche future.
Da valutare in via equitativa un considerevole danno morale e da prendere in considerazione un danno riflesso per i familiari più stretti.
Sul versante del danno patrimoniale la capacità lavorativa specifica quale libero professionista consulente amministrativo appare notevolmente ridotta e comunque la riduzione del reddito, al pari del mancato guadagno, deve essere documentata dal soggetto.
Autori
Fabio Maria Donelli Ortopedico e medico legale, Prof. a.c. presso la scuola di specializzazione in Ortopedia e Traumatologia dell’Università di Pisa
Tiziano Villa Direttore dell’unità operativa di ortopedia e Traumatologia del GB Mangioni Hospital di Lecco
Fabio Massimo Fontana Psichiatra forense a Bergamo
Mario Gabbrielli Professore ordinario di medicina legale all’Università di Siena

Adolfo Costantini
Adolfo Costantini Chirurgo vascolare, Casa di Cura Ambrosiana, Cesano Boscone (Milano)
APPROFONDIMENTO: LA ROTTURA DELL’ISTMO AORTICO IN POLITRAUMA_I traumi chiusi dell’aorta toracica costituiscono, dopo l’emorragia cerebrale, la più comune causa di mortalità tra tutti i traumi chiusi.
Questa lesione si sviluppa solitamente a livello dell’istmo aortico. Il sangue, dopo aver invaso nel piano di dissezione, può penetrare nell’avventizia, provocando uno pseudoaneurisma e/o la rottura dell’aorta. Inoltre, un trauma chiuso dell’aorta toracica è spesso associato a un esteso trauma toracico, con associati pneumotorace, emotorace, contusioni polmonari, insufficienza respiratoria e a lesioni diaframmatiche, rottura tracheobronchiale e rottura esofagea.
La diagnosi precoce è mandatoria, in quanto molti pazienti con trauma chiuso dell’aorta muoiono entro le 24 ore se non vi è stato alcun trattamento. L’angioTC è di gran lunga la modalità diagnostica di prima scelta, risultando fondamentale per la valutazione dell’impiego e delle dimensioni di un’endoprotesi.
La chirurgia endovascolare mediante posizionamento di endoprotesi, come eseguito anche nel caso riportato, rappresenta oramai la tecnica di prima scelta nel trattamento della rottura traumatica dell’aorta toracica discendente, costituendo una valida alternativa alla chirurgia aperta per i numerosi vantaggi che comporta: ridotta invasività e più ridotti tempi operatori e di decorso post-operatorio. Infatti, l’utilizzo dell’endoprotesi consente di evitare l’accesso toracotomico, la ventilazione polmonare, le importanti alterazioni emodinamiche dovute al clampaggio aortico e a un possibile bypass cardiopolmonare. Inoltre, ovviando alla necessità della toracotomia e di un’ampia eparinizzazione, l’endoprotesi può essere utilizzata nel paziente acuto con politrauma senza rischio di destabilizzare le lesioni traumatiche del torace, della testa o dell’addome.
Infine, la procedura endovascolare presenta una mortalità significativamente inferiore e una minor incidenza di complicazioni ischemiche midollari rispetto al trattamento chirurgico (9% vs 16%; 0,8% vs 2,9%, rispettivamente).
Nel caso illustrato (rottura dell’istmo aortico con pseudoaneurisma post-traumatico e con dissecazione del tripode celiaco, in politrauma) è stata utilizzata una endoprotesi del diametro di 24 mm e lunghezza di 100 cm. Tale intervento può richiedere, specie se eseguito in urgenza, alcune procedure “ancillari” che non ne modificano l’aspetto di minore invasività rispetto alla chirurgia tradizionale. Infatti, nell’immediato post-operatorio, veniva evidenziato alla TC di controllo la persistenza di flusso ematico nello pseudoaneurisma da parte dell’arteria succlavia sinistra. Si rendeva pertanto necessario il posizionamento di un ulteriore segmento endoprotesico come estensione prossimale dell’endoprotesi a copertura dell’origine della arteria succlavia, e il confezionamento extra-anatomico di un bypass carotido-succlavio per mantenere il flusso nell’arto superiore sinistro (oltre alla successiva embolizzazione mediante spirali della succlavia prossimale).
Infatti, dato che l’endoprotesi deve essere posizionata alcuni centimetri prossimalmente e distalmente (cosiddetta “landing zone”) alla lesione da coprire, può essere che nell’aorta toracica discendente l’estremo prossimale debba coprire l’origine dell’arteria succlavia sinistra per escludere un persistente rifornimento ematico refluo nell’aneurisma, oltre che per dare maggiore stabilità alla endoprotesi. Nell’intervento in elezione questa possibilità viene evidenziata pre-operatoriamente e preventivamente trattata con il bypass carotido-succlavio.
Infine, complicanze quali infezioni, complicazioni in sede di accesso, endoleak, migrazione dell’endoprotesi, stroke, paraplegia e paraperesi sono tutte note, ma decisamente rare nella chirurgia endoprotesica del trauma chiuso dell’aorta toracica, laddove l’ischemia midollare è sempre la più temuta.
Le suddette possibili modificazioni dell’endoprotesi rendono pertanto necessario un programma di follow-up a distanza.
Adolfo Costantini
Chirurgo vascolare