Trauma con lesioni muscolo-scheletriche, ricovero in ospedale, dolore cronico, disabilità: oltre alle problematiche mediche, è evidente che ciascuna di queste occorrenze comporta difficoltà psicologiche. Quando si verificano tutte, una dopo l’altra, comportano un carico difficile da affrontare, eppure accade generalmente che la ricerca di un eventuale supporto psicologico specialistico sia lasciato al paziente o ai suoi caregiver: nonostante gli indubbi successi, insomma, accade raramente che la medicina si occupi del paziente nella sua totalità, fisica e psichica.
A riunire ortopedici e psicologi in uno stesso team per affrontare questo problema è stato Matthew Ciminero, chirurgo ortopedico presso il Maimonides Medical Center di Brooklyn e, forse non a caso, figlio di due psicologi. Come si legge sul Journal of the American Academy of Orthopaedic Surgeons, l’esame della letteratura scientifica ha permesso all’eterogeneo gruppo di esperti statunitensi di offrire una visione approfondita del problema.
Il loro studio ha rivelato che, tra i pazienti che avevano subito una grave lesione agli arti inferiori, dopo tre mesi quasi la metà soffriva di condizioni psicologiche; a due anni dall’infortunio la percentuale scendeva, ma non di molto: 42%.
Il team di ricerca ha anche attinto ai dati di uno studio condotto nel 2018, che aveva classificato i pazienti reduci da un trauma muscolo-scheletrico in base ai fattori di rischio, sia clinici che psicologici. Questi ultimi comprendevano la depressione, l’abuso di tabacco o di alcol e il disturbo da stress post-traumatico. Erano stati presi in considerazione anche fattori protettivi come il supporto familiare o sociale di cui disponevano i pazienti. A sei settimane dall’infortunio, la gran parte dei soggetti inseriti nel gruppo a maggior rischio presentava una disabilità muscolo-scheletrica, che in molti casi si manteneva al controllo dopo un anno. Ebbene, tre quarti di questi pazienti è risultato positivo ai test di valutazione della depressione o dello stress post-traumatico.
Alla luce di questi risultati, Ciminero e colleghi hanno sviluppato un diagramma di flusso che, in base a dati raccolti con strumenti di screening e sondaggi, può aiutare i chirurghi ortopedici a determinare se, e in quale fase, i loro pazienti necessitano di interventi psicologici.
«Il nostro articolo di revisione – ha affermato Ciminero – offre strumenti che potrebbero essere utilizzati sia in ambito ambulatoriale che ospedaliero; i pazienti che mostrano segni di ansia, depressione, disturbo da stress post-traumatico, difficoltà nella riabilitazione o nel controllo del dolore possono essere rapidamente ed efficacemente indirizzati a professionisti della salute mentale». Nella ricerca del miglior trattamento disponibile per i pazienti ortopedici traumatizzati, il team ha appurato la buona efficacia della terapia cognitivo-comportamentale. «Anche se nella nostra società persiste uno stigma riguardo ai trattamenti psicologici, i dati dimostrano che i pazienti a cui viene offerta questa possibilità aderiscono volentieri e partecipano con un alto tasso di compliance. Uno studio ha mostrato una riduzione dell’ansia e della depressione, rispettivamente del 16% e del 66%, tra i pazienti geriatrici con fratture dell’anca che hanno ricevuto una psicoterapia per 45 minuti due volte a settimana».
Giampiero Pilat
Giornalista Tabloid di Ortopedia