
Vittore Costa, specialista di chirurgia protesica di anca e di ginocchio, si è formato in Italia ma da qualche anno opera prevalentemente a Parigi, alla Clinique du Sport CMC Paris V, dove effettua interventi di chirurgia protesica in regime ambulatoriale. In Italia opera presso il Centro di chirurgia protesica dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano diretto da Sergio Romagnoli
Protesi in un giorno? Con la Francia apripista, l’ortopedia europea guarda alla chirurgia protesica in regime ambulatoriale. Intanto i riscontri in letteratura sono sempre più consistenti: uguali complicanze, recupero più veloce e costi decisamente inferiori
Le procedure di artroplastica possono essere eseguite in sicurezza, su pazienti adeguatamente selezionati, in un centro di chirurgia ambulatoriale senza un aumentato rischio di complicanze.
Se, per molti ortopedici, italiani e non solo, queste sono solo le interessanti conclusioni di un recente studio condotto alla Rush University di Chicago (4), in alcune realtà la chirurgia protesica ambulatoriale si sta affermando come alternativa percorribile.
In Francia, per esempio, gli interventi di sostituzioni protesiche di ginocchio eseguite in regime ambulatoriale si sono moltiplicati per sette in appena due anni, tra il 2014 e il 2016, nonostante restino tuttora percentualmente marginali.
Tutto in 12 ore
Uno dei primi interventi di sostituzione totale d’anca eseguito in Francia si è svolto invece nel luglio 2015 presso l’hôpital Cochin di Parigi. Il paziente, di 52 anni, soffriva di osteonecrosi d’anca; entrato in ospedale alle sette di mattina, è stato portato in sala operatoria alle otto e mezza, dove l’intervento è durato fino alle dieci. Dopo un’ora di sorveglianza in sala di risveglio, il paziente è stato ricondotto in camera; nel primo pomeriggio ha fatto i suoi primi passi ed è tornato al proprio domicilio alle 18. È stato chiamato al telefono il giorno successivo per verificare l’assenza di problemi e un buon controllo del dolore; due settimane dopo l’intervento ha ripreso la sua attività professionale e si è dichiarato “molto soddisfatto” di come è stato preso in carico e del percorso terapeutico.
Per chirurgia protesica in regime ambulatoriale si intende quindi quel percorso clinico-organizzativo in cui il paziente arriva al mattino, viene operato e infine dimesso entro sera. Il tempo di permanenza, quindi, è inferiore alle 12 ore.
Paesi del Nord Europa e Francia fanno da apripista
Nel Vecchio Continente le prime esperienze strutturate di una chirurgia di questo tipo arrivano dai paesi del Nord Europa, come la Danimarca, e dalla Francia.
Al congresso annuale della Société Française de Chirurgie Orthopédique et Traumatologique (Sofcot) lo specialista di protesica di ginocchio Jérôme Villeminot, sulla base della propria esperienza, ha esortato i colleghi ad abbandonare gli indugi e passare alla chirurgia ambulatoriale.
In un’intervista all’edizione francese di Medscape, il chirurgo spiega che «nonostante gli interventi di protesi eseguite in regime ambulatoriale siano appena lo 0,4% del totale per il ginocchio e lo 0,6% per l’anca, assistiamo a una tendenza generale di riduzione della durata del ricovero ospedaliero. Oggi, in Francia, quasi il 10% dei pazienti operati di artroplastica di ginocchio resta in ospedale meno di tre giorni, mentre la durata media di ospedalizzazione è di sei giorni, rispetto ai nove di pochi anni fa. Ma si può andare oltre – dice Villeminot –: nel nostro ospedale (la clinica Sainte Odile d’Haguenau, in Alsazia), a partire dal 2012 abbiamo impiantato 387 protesi di ginocchio in regime ambulatoriale. In effetti, molte cose sembrano impossibili fino a che non le si fanno… in passato chi avrebbe ritenuto opportuno fare in ambulatorio gli interventi alle carotidi? Eppure oggi è del tutto normale. Il freno maggiore, a mio avviso, è la paura di cambiare abitudini e modo di pensare».
Il principale argomento addotto da chi è contrario alla chirurgia protesica eseguita in regime ambulatoriale è la sicurezza del paziente e certamente molti si chiedono cosa può succedere se intervengono delle complicanze quando il paziente si trova al proprio domicilio. A questa preoccupazione, il chirurgo francese replica con tre risposte. «Prima di tutto, si tratta di un’evenienza che accade molto di rado; in secondo luogo, non ci sono prove che il paziente sia sorvegliato meglio in una struttura ospedaliera che a casa propria; infine, se i pazienti vengono informati e preparati al fatto che possono sopravvenire alcuni effetti avversi ma che si possono gestire, non entrano nel panico e la gravità della situazione si riduce. Di fatto, il tasso di ritorno in ospedale dei pazienti operati in regime ambulatoriale per interventi importanti come le protesi è pressoché nullo».
Considerazioni del tutto simili sono state recentemente espresse, nel corso dell’Ortho Center Meeting Humanitas che si è tenuto lo scorso febbraio a Rozzano, in provincia di Milano, da Vittore Costa. Specialista di chirurgia protesica di anca e di ginocchio, Costa si è formato in Italia ma da qualche anno svolge gran parte della propria attività a Parigi, alla Clinique du Sport CMC Paris V, presso l’unità diretta dal Frédéric Laude, al fine di sviluppare e promuovere la chirurgia protesica mininvasiva in day surgery. Anche la sua esperienza conferma la sensazione che la Francia stia facendo da apripista a una tendenza che comunque, come conferma la letteratura internazionale, sta riscuotendo un interesse generale. Anche Costa sottolinea quanto siano infondati i timori legati alla sicurezza: «è un mito che deve essere sfatato, i pazienti operati in regime ambulatoriale hanno tassi di infezione quattro volte inferiori e anche il rischio di flebite è decisamente ridotto».
Preparazione del paziente è un fattore decisivo
Ma quali sono le chiavi del successo di una presa in carico ambulatoriale degli impianti di protesi? L’obiettivo è quello di ridurre l’impatto psicologico e fisico dell’intervento e per raggiungerlo ci sono alcuni fattori molto importanti. «È necessario informare il paziente e accompagnarlo in tutto il suo percorso – sostiene Vittore Costa –. Occorre mettere il paziente al centro, in un senso multidisciplinare; dobbiamo capire che abitudini ha, a che piano abita, se ha l’ascensore o le scale, se vive da solo o in famiglia, insomma entrare nella vita del paziente. La chirurgia costa cara e questo è un modo per evitare i problemi».
L’ortopedico italiano riferisce di aver creato un protocollo di preparazione del paziente, in cui l’accento maggiore è posto al periodo precedente l’intervento, durante il quale intervengono diverse figure professionali, non solo mediche. «Con una psicologa e una filosofa abbiamo elaborato un questionario che serve a integrare la valutazione clinica e a tracciare un profilo del paziente, le cause che lo hanno portato alla visita, i suoi obiettivi, i suoi timori e le risorse che ha per curarsi. La raccolta dei dati anamnestici e la formulazione della diagnosi sono ovviamente a carico del medico, ma una valutazione più completa serve a decidere la strategia migliore, se è il caso di affrontare la chirurgia e se può essere indicato l’approccio ambulatoriale».
Dal punto di vista più strettamente clinico, sia Costa che Villeminot evidenziano la necessità di prendere in carico in maniera aggressiva il dolore post-operatorio; in Francia è opinione diffusa che le tecniche di infiltrazione locale utilizzate nel periodo peri-operatorio e il giorno successivo all’intervento presentino un grande vantaggio rispetto alle tecniche antalgiche che prevedono il blocco della conduzione nervosa perché, non comportando blocchi motori, permettono al paziente di avere una locomozione il più normale possibile. È infine importante “demedicalizzare”, per quanto possibile, le procedure: riduzione allo stretto necessario di flebo, sonde, cateteri; prima alzata dal letto senza chinesiterapista, alimentazione precoce in poltrona, abbigliamento normale.
Stesso lavoro per il chirurgo ma con più organizzazione
«Complessivamente – afferma Villeminot – la tecnica chirurgica resta inalterata e non rappresenta il fattore principale nel determinare un rapido recupero dopo l’intervento. Bisogna tuttavia ricordare che dovrebbe essere eseguita senza laccio emostatico, senza drenaggio, con acido tranexamico somministrato localmente e non per via sistemica e possibilmente con tecniche poco invasive. Ma io direi, in maniera più generale, che bisogna mettere in atto in via prioritaria una équipe intorno al paziente per una presa in carico efficace – sostiene l’esperto –. Occorre passare da un modello in cui il chirurgo è messo su un piedistallo e il paziente è un soggetto passivo a un altro in cui l’elemento centrale è proprio il paziente e, accanto al chirurgo, c’è una squadra multidisciplinare». In ogni caso l’atto chirurgico non viene mai banalizzato e allo stesso tempo non si può dire che sia una chirurgia più semplice o meno impegnativa per il chirurgo, anzi. «Non è meno lavoro, è più organizzazione» ci ha detto Vittore Costa.
Se l’opinione pubblica può sembrare ancora impreparata e quindi diffidente verso gli interventi di chirurgia protesica ambulatoriale, i due chirurghi attestano che, nell’esperienza pratica, la forte attenzione al paziente produce in realtà dei tassi di soddisfazione estremamente elevati.
PROTESICA AMBULATORIALE: IN LETTERATURA LA PROVA DI UN INTERESSE CRESCENTE_Negli ultimi anni sono comparsi in letteratura scientifica diversi studi che hanno approfondito la possibilità di eseguire interventi di sostituzione protesica dell’anca e del ginocchio con brevi ricoveri in ospedale e, ultimamente, persino in day hospital.
Prima di tutto, la durata del ricovero in ospedale si è affermata come metrica di qualità nella chirurgia protesica e si sono messi a punto dei protocolli atti a ridurla. Spesso la necessità di contenere i costi ha costituito la motivazione prevalente, ma si è ben presto documentato che l’aumento della durata del ricovero si associa a una maggiore frequenza di complicazioni e di riammissioni in ospedale.
Un paio di anni fa, The Journal of Arthroplasty ha pubblicato uno studio statunitense (1) che ha preso in esame i pazienti sottoposti ad artroplastica tra il 2011 e il 2013 e ha registrato le comorbilità, le complicanze e i nuovi ricoveri in ospedale che si sono verificati entro i trenta giorni successivi alle dimissioni. I risultati hanno confermato un maggior tasso di complicanze nei pazienti con degenza ospedaliera di tre o più giorni. Tuttavia, il confronto tra i pazienti dimessi lo stesso giorno dell’intervento e quelli che hanno lasciato l’ospedale il giorno successivo ha mostrato meno complicanze in questi ultimi. Gli autori ritengono che questo non costituisca una bocciatura dell’artroplastica ambulatoriale, ma evidenzi la necessità di una attenta selezione dei pazienti.
Indicazioni analoghe sono giunte da uno studio canadese (2) uscito sulle pagine del Journal of Bone and Joint Surgery, condotto su 31.044 pazienti sottoposti a sostituzione totale di ginocchio e 19.909 a sostituzione d’anca. Si è visto che i pazienti dimessi precocemente dopo l’intervento erano più giovani, avevano minori comorbilità e un indice più basso di rischio anestesiologico, il che evidenzia che prima dell’intervento è stata fatta un’attenta stratificazione dei pazienti; questo ha prodotto dei risultati positivi, portando i ricercatori a concludere che «una preventiva attività di analisi del rischio rende fattibile la dimissione precoce dei pazienti dall’ospedale (entro due giorni dall’intervento di sostituzione protesica), senza che questo ne metta a rischio la salute».
Uno studio danese (3) ha addirittura riscontrato una riduzione degli episodi di infarto miocardico nei pazienti operati con il protocollo Fast Track, il sistema, nato negli Stati Uniti e sviluppatosi nel nord Europa, che si propone di ridurre la durata del periodo di non autosufficienza dei pazienti operati di artroplastica d’anca e di ginocchio, grazie a una gestione multidisciplinare dei pazienti.
Infine, recentissimo e ancora una volta pubblicato su The Journal of Arthroplasty, è uno studio (4) condotto preso il centro medico della Rush University di Chicago, che si è occupato in modo specifico di interventi effettuati in regime ambulatoriale, confrontando l’andamento post-operatorio per 90 giorni e confrontandolo con quello osservato nei soggetti operati in regime ospedaliero.
Quattro diversi tipi di interventi primari (protesi di ginocchio, monocompartimentale o totale, e di anca, totale o di rivestimento) sono stati eseguiti su 486 pazienti. I ricercatori li hanno suddivisi in due gruppi composti di un identico numero di soggetti, con analoga composizione in termini di età, sesso, indice di massa muscolare. L’analisi a tre mesi non ha evidenziato differenze significative riguardo ai parametri considerati: complicazioni lievi e gravi, reinterventi, visite mediche non previste e visite nei reparti di emergenza. Anche gli ortopedici di Chicago hanno dunque concluso che «le procedure di artroplastica possono essere eseguite in sicurezza e senza un maggior rischio di complicanze in centri ambulatoriali su pazienti selezionati in modo appropriato».
1. Otero JE, Gholson JJ, Pugely AJ, Gao Y, Bedard NA, Callaghan JJ. Length of hospitalization after joint arthroplasty: does early discharge affect complications and readmission rates? J Arthroplasty. 2016 Dec;31(12):2714-2725.
2. Sutton JC 3rd, Antoniou J, Epure LM, Huk OL, Zukor DJ, Bergeron SG. Hospital discharge within 2 days following total hip or knee arthroplasty does not increase major-complication and readmission rates. J Bone Joint Surg Am. 2016 Sep 7;98(17):1419-28.
3. Petersen PB, Kehlet H, Jørgensen CC; Lundbeck Foundation Center for Fast-track Hip and Knee Replacement Collaborative Group. Myocardial infarction following fast-track total hip and knee arthroplasty-incidence, time course, and risk factors: a prospective cohort study of 24,862 procedures. Acta Orthop. 2018 Dec;89(6):603-609.
4. Darrith B, Frisch NB, Tetreault MW, Fice MP, Culvern CN, Della Valle CJ. Inpatient versus outpatient arthroplasty: a single-surgeon, matched cohort analysis of 90-day complications. J Arthroplasty. 2019 Feb;34(2):221-227.
PROTESICA AMBULATORIALE VS TRADIZIONALE: UGUALI COMPLICANZE E COSTI TAGLIATI DEL 40%_Nessun aumento del rischio di complicanze per la chirurgia ambulatoriale di sostituzione protesica: l’ultima evidenza scientifica a favore di questo approccio innovativo giunge da Las Vegas, dove si è svolto l’incontro annuale della American Academy of Orthopaedic Surgeons. Si tratta di uno studio presentato da Michael Ast, un ortopedico dell’Hospital for Special Surgery di New York, che ha messo a confronto i risultati clinici e i costi degli interventi di sostituzione protesica d’anca e di ginocchio effettuati con ricovero ospedaliero con quelli eseguiti in regime ambulatoriale.
La durata media della degenza per queste procedure chirurgiche è diminuita dovunque nell’ultimo decennio: negli Stati Uniti è passata da quattro giorni a meno di due, fino ad arrivare alle ultime esperienze, ancora minoritarie ma significative di chirurgia ambulatoriale. «Attualmente sono circa il 5% gli interventi chirurgici di sostituzione d’anca e di ginocchio in cui i pazienti tornano a casa lo stesso giorno; tuttavia – sostiene Ast – ci si aspetta che la percentuale aumenti fino al 50% nei prossimi cinque anni».
I fattori che determinano questa tendenza sono i miglioramenti nelle tecniche chirurgiche, negli impianti e nel controllo del dolore oltre, ovviamente, all’opportunità di ridurre notevolmente i costi.
Dal 2014, Michael Ast ha confrontato due gruppi di pazienti, composti ciascuno di 126 pazienti, omogenei per età, sesso, indice di massa corporea e condizioni di salute generale, sottoposti a interventi di sostituzione protesica totale d’anca (77 in ciascun gruppo) o di ginocchio (49) in regime ospedaliero oppure ambulatoriale. Nel primo gruppo la durata di ricovero è stata mediamente di 23 ore e mezza contro le circa otto ore del secondo; il tasso di complicanze rispettivamente del 3,9% e del 2,4%: basso in entrambi i casi, ma comunque inferiore per i pazienti operati ambulatorialmente. Le percentuali di riammissione non hanno presentato differenze significative tra i due gruppi.
«Mi ha fatto molto piacere constatare che con la chirurgia ambulatoriale non ci sono stati maggiori rischi di complicazioni o riammissioni in ambulatorio – ha commentato Ast –, ma non mi aspettavo che la differenza di costo dei due approcci risultasse così elevata». I costi medi per paziente (comprendenti l’impianto, il personale, i farmaci e l’assistenza) sono stati infatti di 11.677 dollari per gli interventi ambulatoriali, il 40% in meno rispetto ai 19.361 per quelli eseguiti in regime ospedaliero.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia