Il signor M, di 32 anni e di professione impiegato, single che vive con i genitori, ospite presso un albergo si recava nella piscina dello stesso per un bagno. Dopo aver fatto un primo bagno, effettuava un tuffo dal bordo della vasca in seguito al quale urtava con il capo il fondo della piscina, riportando un trauma spinale con immediato deficit motorio agli arti superiori e inferiori.
Il paziente veniva soccorso da un’ambulanza del 118, posto supino sulla salita della piscina, in shock spinale (deficit motorio totale agli arti inferiori, mobilità delle dita delle mani abolita, conservata la flessione-estensione del braccio, sensibilità a macchia di leopardo da T4).
Trasportato al pronto soccorso di una vicina struttura ospedaliera, gli era diagnosticata una lesione mielica da frattura della V vertebra cervicale. L’esame radiografico della colonna cervicale evidenziava una frattura pluriframmentaria e scomposta del corpo di C5, l’esame Tac confermava la frattura da scoppio del corpo di C5 (quadro morboso iniziale) e rilevava una compressione midollare per protrusione del muro posteriore della vertebra stessa nello speco vertebrale e la frattura delle lamine di C5. All’esame neurologico si rilevava plegia degli arti inferiori bilateralmente e motilità conservata fino a C6 agli arti superiori, ipoestesia e ipoalgesia da C7 bilateralmente. Non erano riscontrate altre lesioni traumatiche, con particolare riferimento al capo e allo scalpo.
Il signor M. era subito portato in sala operatoria per essere sottoposto a intervento di fissazione vertebrale con placca di Caspar. Nel corso dell’intervento si riscontrava lacerazione dei legamenti intervertebrali in corrispondenza della V vertebra cervicale.
Dopo due giorni era eseguita Rmn cervicale, che riscontrava una contusione centromidollare a livello di C5. Durante il ricovero l’obiettività neurologica, caratterizzata da plegia e assenza dei riflessi osteotendinei agli arti inferiori, movimento spontaneo unicamente in flessione degli arti superiori e livello di sensibilità localizzabile a 3-4 cm sopra la mamillare trasversa, rimaneva invariata. Seguiva una lunga riabilitazione dove si assisteva a un parziale recupero dell’uso degli arti superiori.
All’atto dell’accertamento medico-legale, dopo diversi anni dagli eventi, il signor M. presenta un quadro clinico menomativo ormai stabilizzato, non suscettibile di evoluzioni migliorative, caratterizzato da tetraparesi spastica (quadro morboso finale) con parziale utilizzo funzionale degli arti superiori, grave limitazione dei movimenti fini delle dita della mano, parziale controllo del busto, deficit motorio totale degli arti inferiori, vescica e alvo neurogeni. Presenta impossibilità alla deambulazione autonoma, necessità di carrozzina per gli spostamenti e di ausilio di terzi nello svolgimento di tutte le attività essenziali della vita quotidiana, con un considerevole impatto negativo nelle possibilità di svago e nella vita di relazione.
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RICOSTRUZIONE BIOMECCANICA DEL TRAUMA
Causata dall’urto con il fondo della vasca, la lesione è compatibile con più dinamiche di tuffo

Trauma cervicale, radiografia e risonanza magnetica evidenziano
una frattura comminuta (da scoppio) della vertebra (cerchio rosso)
L’interesse in ambito traumatologico forense di questo caso clinico attiene la ricostruzione della dinamica e fisiopatologica dell’evento, necessitante di competenze tecniche ortopediche e medico-legali, sia nel contesto della ricostruzione causale che della successiva e correlata valutazione delle conseguenze di danno.
Dal verbale di sopralluogo redatto dai Carabinieri si evince che la piscina dell’albergo aveva un’iniziale profondità di 1,15 m, che andava aumentando verso il centro della vasca. Al di sopra della piscina era presente un ballatoio in muratura provvisto di parapetto alto 90 cm circa, ove erano collocati attrezzi ginnici. Tale struttura era collocata a 4,45 m dalla superficie dell’acqua della piscina sottostante, in un punto in cui la profondità della vasca era di 1,40 m. Sulla facciata esterna del parapetto, nel corso del sopralluogo, erano state rilevate delle striature della tinteggiatura e un pelo impigliato nell’intonaco, prospettando l’ipotesi che il sig. M avesse effettuato il tuffo in piscina dal ballatoio e non dal bordo della piscina, come sostenuto dalla parte attrice (lesa).
Le caratteristiche della lesione riportata dal periziando sono indicative di una frattura a scoppio di C5 con compressione midollare. Questa tipologia di frattura e la sua localizzazione cervicale è tipica di traumi da compressione assiale della colonna vertebrale in flessione, quali si realizzano nel tuffatore. In questi casi, infatti, nel momento in cui il capo si arresta bruscamente per impatto contro la superficie del fondo della vasca, la forza di accelerazione che agisce sulla massa corporea si scarica tutta sulla colonna cervicale, particolarmente vulnerabile quando, in ragione dell’atteggiamento in flessione del collo dovuta alla posizione che assume il tuffatore, è rettificata e ha minore capacità di carico, soprattutto in corrispondenza delle vertebre cervicali più mobili (C5 e C6). Il trauma cervicale comporta, come nel caso in esame, una frattura comminuta (da scoppio) della vertebra, con allargamento dei diametri trasversali, cedimento della parte somatica posteriore, penetrazione di una parte del disco nell’interno della vertebra fratturata e, frequentemente, dislocazione nel canale spinale di frammenti ossei, che creano una condizione di compressione midollare, rendendo inoltre la frattura instabile per l’associazione con la rottura dei ligamenti intervertebrali.
Per quanto concerne l’impatto del capo contro il fondo della vasca, va preliminarmente osservato che nella documentazione sanitaria esaminata non vi sono dati che indichino la presenza di segni di trauma cranico con lesioni accessorie allo scalpo, tipo ferite lacero-contuse, ematomi o altro. Il signor M, nel corso della visita dell’accertamento medico-legale, ha invece affermato di aver transitoriamente perso conoscenza e di aver notato un “rivolo di sangue” che scendeva dal capo dopo il tuffo. Anche nel verbale di sommarie informazioni rese dal bagnino dell’albergo ai Carabinieri era fatto riferimento a una modesta perdita ematica al capo, rilevata al momento dei primi soccorsi prestati all’infortunato dagli astanti, ma non descritta all’atto del ricovero ospedaliero.
Nelle casistiche presenti in letteratura, relative alle lesioni traumatiche riportate dai tuffatori, è indicato che solo in pochi casi è possibile riscontrare segni diretti di impatto quali, ad esempio, lacerazioni dello scalpo. Nel caso in esame, pertanto, è la tipologia di lesione verificatasi e il suo meccanismo di produzione (compressione assiale con flessione anteriore da decelerazione improvvisa per urto del capo) che indicano l’avvenuto contatto fra il capo e il fondo della vasca al termine del tuffo, piuttosto che la presenza di segni diretti non desumibili con certezza dai dati documentali. Il solo contatto del capo con la superficie dell’acqua, anche se il tuffo è eseguito da altezza elevata, non è in grado di produrre una frattura vertebrale da scoppio, quale quella verificatasi nel caso in esame.
Nel tuffo di testa a braccia protese in avanti, il capo è comunque vulnerabile al trauma perché gli arti superiori possono retrarsi dopo il contatto con la superficie dell’acqua o possono essere in una posizione non sufficientemente anteriorizzata per interporsi fra la testa e il fondo della vasca.
Per quanto riguarda la profondità dell’acqua, essa è di fondamentale importanza perché arresta la discesa del corpo in movimento e permette al tuffatore un tempo di reazione sufficiente a modificare la propria posizione, arcuando il dorso ed evitando così di toccare il fondo. La maggior parte delle lesioni spinali dovute a tuffi si verificano in acque con profondità inferiore a 1,80 m.
Alla luce di quanto finora esposto è quindi possibile affermare che la lesione vertebro-midollare riportata dal signor M. si è certamente prodotta per l’urto con il fondo della vasca e non già con il mero impatto sulla superficie dell’acqua. La lesione è teoricamente compatibile sia con un tuffo di testa effettuato dal bordo della piscina, sia con un tuffo di testa da 4-4,5 metri di altezza, tenuto conto che il punto di impatto con il fondo della piscina presenta una profondità dell’acqua pari a 1,40 m.
Bibliografia essenziale
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CONSIDERAZIONI MEDICO-LEGALI
La valutazione multidimensionale del danno
Danno biologico
Con riferimento agli aspetti valutativi, l’esame comparato dei dati documentali e clinici medico-legali, coniugato ai valori orientativi di danno biologico espressi dalla dottrina medico-legale e dalla Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni (Simla), consentono di rilevare che per la tetraplegia e per la tetraparesi vengono indicati valori percentuali di danno biologico permanente, ovvero di lesione permanente dell’integrità psico-fisica, rispettivamente tra 90% e 80%. Si ritiene pertanto che la quantificazione del danno biologico permanente non crei particolari problematiche e intrinseche difficoltà, potendo essere in questo caso congruamente collocata intorno al 90%.
Danno morale
In merito alla sofferenza morale, va precisato che il Codice Civile italiano prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. nei soli ed esclusivi casi di danno derivante da reato. Progressivamente si è giunti a interpretare tale norma quale strumento di tutela dal pregiudizio arrecato a interessi non economici aventi rilevanza sociale, tra i quali, principalmente, i diritti fondamentali dell’individuo costituzionalmente tutelati (art. 32 Costituzione).
L’autonomia ontologica della sofferenza morale rispetto al danno alla salute e la correlata distinzione in termini di risarcimento confermano che non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi attinenti alla sfera morale, componenti entrambe suscettibili di accertamento e valutazione medico legali.
La sofferenza morale dovrà essere definita in funzione di tutte le componenti percettive del disagio/degrado/dolore. Tali componenti dovranno essere descritti sia in riferimento alla temporaneità che alla permanenza della menomazione, secondo la metodologia accertativa e la criteriologia valutativa proprie della medicina legale, con epicrisi complessiva espressa qualitativamente mediante aggettivazione e/o quantitativamente per mezzo di gradazione numerica, tenuto conto dell’iter clinico, della terapia medica prescritta e delle rinunce quali-quantitative degli atti di vita quotidiana.
Danno alla capacità lavorativa
Per quanto attiene il danno conseguenza, ovvero il danno alla capacità lavorativa specifica (in questo caso di tipo impiegatizio ante sinistro), il punto di riferimento dottrinario è rappresentato dal documento di consenso della Federazione delle associazioni medico legali italiane (Famli) che precisa come danno biologico e riduzione delle attitudini professionali e della capacità lavorativa sono categorie giuridiche e medico-legali caratterizzate da presupposti concettuali molto diversi e da altrettanto diverse implicazioni economiche sul piano risarcitorio. Esse implicano pertanto l’adozione di metodologie valutative adeguatamente differenziate.
Il danno alla capacità lavorativa, non potendo essere commisurata sulla base di standard tabellabili, deve essere formulata tenendo conto di tutte le determinanti somato-psichiche che trovano espressione nel contesto lavorativo di quel singolo individuo e che sono alla base della sua redditualità. L’entità del decremento economico è elemento che deve essere messo a conoscenza del medico legale valutatore.
Alla luce di tali premesse metodologiche, va rilevato che la tetraparesi spastica comporta de facto una perdita totale della capacità lavorativa specifica, in ragione dell’impossibilità al mantenimento della stazione eretta e della deambulazione e della grave disabilità agli arti superiori. Un’ultima considerazione va espressa sulla capacità attitudinale che, tenuto conto dell’età (giovane adulto), della buona costituzione corporea e della scolarità del soggetto (diploma di scuola media inferiore), può consentire un parziale re-impiego in attività non manuali senza utilizzo degli arti superiori e inferiori, non implicanti il mantenimento per lungo tempo in stazione eretta o spostamenti.
Danno riflesso (sui familiari)
È necessario infine quantificare il danno riflesso. I genitori del periziando, e in particolar modo la madre, dichiarano di aver assistito il figlio durante tutto il lungo decorso clinico, terapeutico e riabilitativo, trascorrendo lunghi periodi di presenza continua in ospedale e accompagnandolo alle numerose visite di controllo e sedute riabilitative. A tutt’oggi il figlio necessita di assistenza continua negli atti della vita quotidiana.
La vicenda clinica e umana ha avuto gravi ripercussioni sulle condizioni fisiche e psichiche della madre, con l’insorgere di uno stato d’ansia generalizzato e di una sindrome depressiva.
Nel merito, si parlerà dunque di riflesso in relazione a quel danno a carattere non patrimoniale (biologico e non) conseguenza dell’evento dannoso e prodottosi nella sfera non della vittima diretta del fatto ma dei prossimi congiunti. A tal riguardo è opportuno precisare come la corte di leggittimità e le corti di merito siano giunte alla conclusione che il fatto illecito abbia natura plurioffensiva.
Autori
Fabio Maria Donelli
Ortopedico e medico legale, Prof. a.c. presso la scuola di specializzazione in Ortopedia e Traumatologia dell’Università di Pisa
Massimo Montisci
Professore ordinario di Medicina legale
all’Università di Padova