L’acido tranexamico, presente nella lista dei farmaci essenziali dell’Organizzazione mondiale della sanità, è utilizzato da tempo nella chirurgia protesica di anca e ginocchio per ridurre le perdite di sangue e la necessità di trasfusioni.
Si tratta di un inibitore competitivo reversibile sintetico del recettore della lisina presente sul plasminogeno. Il legame di questo recettore impedisce alla plasmina di legarsi alla matrice di fibrina, prevenendo in tal modo la degradazione di quest’ultima. Quando si verifica un sanguinamento, il corpo produce coaguli per fermarlo, ma in alcune persone questi coaguli si rompono e l’emorragia continua. L’acido tranexamico agisce bloccando la rottura dei coaguli, riducendo così il sanguinamento indesiderato.
Molti esperti avevano però avanzato dubbi e preoccupazioni per la possibilità di complicanze tromboemboliche venose, soprattutto quando il farmaco per la coagulazione viene utilizzato in pazienti ad alto rischio. Tuttavia, un lavoro recente comparso sul British Medical Journal non ha mostrato un aumento di complicanze e, confermando i risultati di precedenti studi più piccoli, ribadisce la sicurezza del farmaco per i pazienti sottoposti a chirurgia ortopedica. Ne sono autori Jashvant Poeran, professore presso la Scuola di medicina Icahn del Mount Sinai Hospital di New York, e un gruppo di colleghi che hanno esaminato i dati di oltre 40mila pazienti operati in 500 ospedali statunitensi.
L’analisi ha permesso di scoprire che circa la metà dei pazienti ad alto rischio riceve acido tranexamico, percentuale simile a coloro che non sono particolarmente esposti agli effetti avversi del farmaco. Eppure, il suo utilizzo non si è associato a una maggior percentuale di complicazioni come coaguli di sangue nelle vene profonde, infarti, convulsioni, ictus, attacchi ischemici transitori, neppure nei pazienti ad alto rischio; ha invece comportato una minore necessità di trasfusioni di sangue.
I ricercatori consigliano comunque di non accontentarsi di questi risultati positivi e di progettare nuovi studi che si focalizzino su parametri più specifici, allo scopo di ridurre ulteriormente le complicanze nei pazienti ad alto rischio, mettendo per esempio a confronto differenti dosaggi e le diverse modalità di somministrazione del farmaco, orale, endovenosa o topica. Poeran non ritiene infatti che il suo studio possa ancora permettere di pronunciare il verdetto finale sulla sicurezza del farmaco, ma sia solo l’ennesimo segnale incoraggiante: «con una popolazione sempre più anziana, la richiesta di interventi di chirurgia protesica è destinata ad aumentare ancora ed è dunque necessario continuare a studiare modi per migliorare i risultati clinici».
Giampiero Pilat
Giornalista Tabloid di Ortopedia