Per i giovani adulti con displasia borderline dell’anca, l’artroscopia fornisce risultati positivi a lungo termine, migliorando i sintomi e la funzione ed evitando la necessità di sostituzione dell’anca nella maggior parte dei casi. Lo riporta uno studio su The Journal of Bone & Joint Surgery.
Definita secondo gli autori da un “lateral center edge angle” (Lcea) tra i 18 e i 25 gradi, la displasia borderline è una condizione congenita in cui l’incavo dell’anca non copre completamente la testa femorale e nella quale i sintomi, come dolore, zoppia e instabilità spesso non si sviluppano fino alla giovane età adulta. Col tempo, i pazienti sono a rischio di sviluppare artrosi, che in molti casi porta all’artroplastica totale dell’anca.
Esistono opinioni diverse riguardo al miglior trattamento di questa condizione; quello standard è un intervento di osteotomia periacetabolare, per ricostruire e riposizionare l’articolazione dell’anca. L’artroscopia è emersa come procedura alternativa meno invasiva, con studi che mostrano un miglioramento dei sintomi e della funzione a breve termine. Tuttavia, in mancanza di dati di follow-up a lungo termine, non è chiaro se l’artroscopia si possa considerare una «soluzione temporanea o definitiva», riportando le parole di Benjamin Domb che, con i colleghi dell’American Hip Institute Research Foundation di Chicago ha deciso di approfondire la questione.
I ricercatori hanno raccolto dati relativi a 45 pazienti sottoposti ad artroscopia d’anca primaria tra il 2008 e il 2011 e poi seguiti con un follow-up di dieci anni. Alla baseline, i pazienti avevano un’età media di 31 anni ed erano prevalentemente di sesso femminile. La chirurgia artroscopica includeva il rafforzamento (plicatura) della capsula articolare e la conservazione della cartilagine che riveste il labbro.
Secondo l’analisi di Kaplan-Meier, la sopravvivenza stimata è stata dell’82,8%; in altre parole, circa quattro pazienti su cinque hanno evitato per almeno dieci anni di sottoporsi ad artroplastica totale dell’anca. Il rischio maggiore si è registrato nei pazienti più anziani e più pesanti: la probabilità di doversi sottoporre a questo intervento (che si è reso necessario mediamente cinque anni dopo l’artroscopia) è stata 4,4 volte superiore per i pazienti con un indice di massa corporea di almeno 23 e di 7,1 volte superiore per chi aveva 42 anni o più.
L’artroscopia ha anche comportato un significativo miglioramento delle condizioni dei pazienti, in particolare riguardo al dolore e alla funzionalità dell’anca. Gli autori sottolineano però alcuni limiti della loro serie di casi: gli interventi in artroscopia sono stati tutti eseguiti in un centro altamente specializzato e su un numero relativamente ridotto di pazienti, senza effettuare confronti con la chirurgia standard.
«La displasia borderline dell’anca – concludono Domb e i colleghi – rimane una condizione difficile da trattare con successo in artroscopia, e un’adeguata plicatura capsulare rimane una procedura altamente dipendente dalla tecnica».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia