Lo scorso novembre in occasione del suo centesimo congresso annuale, dedicato al tema della protesizzazione nel paziente a elevata richiesta funzionale, la Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot) rendeva noti i dati epidemiologici attinenti alla diffusione degli interventi di ricostruzione artroprotesica sul territorio nazionale. Cifre sensazionali, che raccontano di un aumento del 141% per le protesi d’anca e addirittura del 226% per quelle di ginocchio negli ultimi quindici anni. Nel panorama generale l’espansione degli impianti di ginocchio è il fenomeno più recente e decisamente più marcato. Già nel 2012 il Registro italiano artroprotesi (Riap) relativo al periodo 2001-2010 riportava per le protesi di ginocchio un incremento medio annuo del 9%, a fronte del 3% rilevato per le comunque più numerose protesi d’anca. Dall’inizio alla fine della finestra temporale coperta dal Registro il ginocchio era passato da 26.697 a 56.664 interventi di sostituzione totale. Oggi, a distanza di solo un quinquennio, ne totalizza oltre 85.000.
Sebbene il crescente successo di questo settore della chirurgia ortopedica sia andato di pari passo con l’avanzamento dei materiali protesici e lo sviluppo di tecniche implantologiche sempre meno invasive, per una quota ancora consistente di pazienti il decorso post-operatorio è penalizzato da una sintomatologia dolorosa che spesso rallenta in modo significativo il recupero funzionale.
Al momento, nella gestione del dolore post-chirurgico del paziente protesizzato la strategia più praticata resta quella farmacologica basata sui tradizionali analgesici, vale a dire antinfiammatori non steroidei e oppioidi deboli e forti.
Ancora poco esplorato in questo settore è invece l’impiego dei miorilassanti, una classe di farmaci il cui ruolo è, al contrario, ormai consolidato nel trattamento del dolore acuto o cronico associato a patologie muscoloscheletriche e condizioni neurologiche con una componente contratturale o spastica rilevante. Il razionale d’uso di un miorilassante in chirurgia protesica si baserebbe sull’ipotesi, del resto verosimile, che la contrattura muscolare che si verifica in risposta alla stimolazione dei nocicettori da parte dei mediatori dell’infiammazione a livello del sito chirurgico influenzi in modo tangibile il quadro post-operatorio.
Uno studio su eperisone
Di recente, questa opzione terapeutica è stata applicata in tale contesto – e proprio in pazienti sottoposti ad artroprotesi totale di ginocchio – in uno studio condotto presso il dipartimento di ortopedia del Chinese Pla General Hospital, policlinico universitario di Pechino. Dei numerosi miorilassanti disponibili, Long Gong e collaboratori hanno scelto di utilizzare eperisone, principio attivo in uso nei paesi asiatici fin dagli anni Ottanta del secolo scorso ma solo ultimamente commercializzato in alcuni paesi occidentali (tra cui l’Italia dove è stato registrato dall’Aifa con procedura nazionale nel 2009).
Eperisone, che appartiene alla categoria dei miorilassanti centrali, si differenzia da altre molecole del suo gruppo per il profilo farmacodinamico polivalente. Al meccanismo di azione primario, che si esplica essenzialmente attraverso una riduzione dell’eccitabilità dei motoneuroni gamma, mediata da un blocco presinaptico del rilascio di neurotrasmettitori, unisce infatti un blocco dei canali del calcio voltaggio-dipendenti e delle calmoduline a livello delle cellule muscolari lisce dei vasi sanguigni periferici e un’attività antagonista della sostanza P a livello spinale. Pertanto, al classico effetto decontratturante condiviso con gli altri miorilassanti, eperisone associa un incremento dell’afflusso di sangue nelle zone soggette a ipertono muscolare, contrastando così la condizione di ischemia che ne consegue, e un’azione analgesica diretta.
Contando su tale sinergia i ricercatori cinesi hanno testato l’efficacia dell’aggiunta di eperisone alla classica terapia con Fans e oppioidi sul controllo del dolore post-operatorio e sul recupero funzionale in pazienti sottoposti ad artroprotesi totale di ginocchio in uno studio prospettico randomizzato e controllato in doppio cieco.
In un campione di 150 soggetti di età compresa tra 50 e 75 anni suddivisi equamente in tre gruppi, di cui un gruppo di intervento trattato con celecoxib ed eperisone cloridrato e due gruppi di controllo trattati uno solo con celecoxib e l’altro con placebo, hanno valutato nelle prime due settimane di decorso post-operatorio tre outcome di efficacia, rispettivamente il punteggio su scala visuo-analogica (Vas) a riposo e in deambulazione e l’assunzione di morfina tramite dispositivo Pca (patient controlled analgesia) per la sintomatologia dolorosa e il punteggio Rom (range of motion) per la mobilità articolare, e due outcome di sicurezza, rispettivamente l’entità delle perdite ematiche e l’incidenza di complicanze (in particolare nausea/vomito, riduzione della forza muscolare, trombosi venosa profonda). A tutti i partecipanti, fino alla dimissione, era prevista anche la somministrazione di un oppioide debole (100mg di tramadolo tre volte al giorno), oltre alla morfina a richiesta.
Complessivamente i risultati dello studio depongono a favore dell’impiego di un miorilassante, e nella fattispecie di eperisone, come coadiuvante nel trattamento post-chirurgico del paziente protesizzato. Il gruppo di intervento ha infatti registrato un miglioramento significativo dei punteggi sulla scala Vas sia a riposo sia in deambulazione, distaccandosi in modo significativo dal gruppo con solo placebo per tutto il periodo di osservazione e dal gruppo con celecoxib a partire dal settimo giorno post-operatorio. Parallelamente i pazienti trattati con eperisone hanno ottenuto incrementi del punteggio Rom significativamente superiori e una riduzione di oltre il 20% del consumo di morfina. Viceversa, non si sono rilevate differenze tra i tre gruppi rispetto alle perdite ematiche e agli eventi avversi.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia