A dispetto del progressivo aumento di incidenza registrato negli ultimi decenni a livello mondiale, che oggi pone la sintomatologia di origine muscolo-scheletrica del rachide tra le principali cause di compromissione della salute misurata in Dalys (disability-adjusted life years) – con particolare riferimento alla lombalgia il cui valore in anni vissuti in malattia è più che raddoppiato dal 1990 – la gestione dei pazienti che ne soffrono è tuttora in generale caratterizzata da una notevole variabilità e spesso non aderente alle indicazioni standardizzate. Con il risultato di una scarsa efficacia dei trattamenti attuati e il frequente ricorso a indagini diagnostiche e a interventi terapeutici non raccomandati.
Nella fattispecie l’area in cui l’approccio alle rachialgie è visto come più aleatorio e meno conforme a criteri evidence-based è quella delle cure primarie, che data la diffusione di questi disturbi nella popolazione generale rappresenta quasi sempre il luogo della consultazione iniziale. «Il motivo principale – affermano gli autori del lavoro di revisione sistematica sul trattamento di lombalgie e cervicalgie pubblicato dall’European Journal of Pain – è la scarsa disponibilità di strumenti di supporto al processo decisionale che garantiscano un’omogeneità di metodo».
I ricercatori hanno passato in rassegna le linee guida cliniche europee, nazionali e internazionali, pubblicate dal 2013 al 2020 relative al trattamento di lombalgie e cervicalgie, con o senza radicolopatia, per la riduzione del dolore, il recupero funzionale, il ripristino delle occupazioni quotidiane e la ripresa delle attività lavorative. Solo il 41% delle linee guida è stato giudicato di buon livello metodologico e sulla base della qualità delle prove gli autori hanno individuato una serie di provvedimenti, farmacologici e non, rispetto ai quali le indicazioni delle diverse fonti concordano.
In sintesi gli interventi raccomandati per cervicalgie e lombalgie (in generale con evidenze di maggior forza per queste ultime) sono: la rassicurazione rispetto alla benignità della condizione; le istruzioni di comportamento, tra cui il mantenimento di un adeguato livello di attività fisica; la terapia manuale in associazione con altri trattamenti; la prescrizione di un piano fisioterapico; il supporto psicologico per pazienti selezionati.
A differenziare l’approccio delle linee guida alle due rachialgie sono la presenza dell’opzione farmacologica per il trattamento della cervicalgia (con paracetamolo o Fans e anche, per la fase acuta, con oppioidi o altri antidolorifici neuropatici), che invece non è più contemplata dalle recenti indicazioni per la lombalgia; il ricorso a programmi di riabilitazione specifici (per esempio back-school) e mirati al reinserimento lavorativo previsti per la sintomatologia lombare ma non per quella cervicale; la valutazione chirurgica per casi selezionati, prevista solo nell’ambito delle lombalgie.
Nelle linee guida per le lombalgie sono state inoltre rilevate alcune raccomandazioni a sfavore: rispetto all’allettamento prolungato (per più di un paio di giorni), all’approfondimento diagnostico con esami di imaging in assenza delle red flags note, alla somministrazione di paracetamolo, antidepressivi, anticonvulsivanti e miorilassanti, alle infiltrazioni peridurali nel dolore non specifico, alle sedute di trazione vertebrale, all’uso di ortesi e alle terapie fisiche strumentali.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia