I trenta giorni successivi alle dimissioni dall’ospedale dopo un intervento chirurgico sono un periodo critico e che richiederebbe una maggiore attenzione, specialmente in una situazione come quella attuale, in cui si tende a comprimere la durata dei ricoveri e, sempre più spesso, ci si affida alla chirurgia ambulatoriale, anche per ridurre le liste d’attesa.
A fornire uno spaccato di quello che succede oltroceano è uno studio presentato al congresso dell’American College of Surgeons che si è tenuto in ottobre, che evidenzia la necessità di un sistema ospedaliero coordinato, che permetta di identificare meglio e gestire le complicanze attraverso un’adeguata assistenza sanitaria, coinvolgendo attivamente i pazienti e i caregiver in questo processo.
Durante i cinque anni di osservazione dello studio, i ricercatori hanno scoperto che il tasso complessivo di complicanze post-operatorie è diminuito dell’1%, ma entrando nel dettaglio si vede che, in alcune delle specialità chirurgiche più comuni, le complicanze successive alle dimissioni hanno fatto registrare un aumento preoccupante, fino al 12%, che è avvenuto parallelamente alla riduzione di un terzo dei giorni di degenza. «Dal momento in cui il paziente viene dimesso dall’ospedale alla prima visita post-operatoria, c’è una sorta di buco nero che dovrebbe essere preso in carico in modo adeguato – ha detto Ruojia Debbie Li, ricercatrice presso la Northwestern University di Chicago e prima autrice dello studio –. Attualmente stiamo seguendo un modello attendista in cui, come operatori sanitari, stiamo aspettando che i pazienti ci contattino quando hanno sintomi che li preoccupano».
Ma pazienti e caregiver spesso non sono in grado di riconoscere i primi sintomi realmente significativi delle complicanze post-chirurgiche e i loro problemi potrebbero peggiorare. «Abbiamo scoperto che molti pazienti e le loro famiglie sono impreparati al passaggio dall’ospedale a casa e al compito di auto-cura – hanno spiegato gli autori –. L’équipe chirurgica potrebbe non scoprire una complicazione fino a quando il paziente si reca al pronto soccorso o viene da noi per una visita. Se si fossero effettuati dei controlli, se ne sarebbe potuta diminuire la gravità e forse addirittura prevenirla».
Tra le complicanze con tassi significativamente più alti nel tempo, la ricerca ha evidenziato le infezioni, del sito chirurgico ma anche del tratto urinario, del flusso sanguigno e polmoniti. Altri eventi che sono aumentati con la diminuzione della durata dei ricoveri sono stati l’infarto, l’arresto cardiaco, l’ictus e la tromboembolia venosa. Molte di queste complicazioni sono potenzialmente prevenibili, per esempio riconoscendo e gestendo tempestivamente le aperture della ferita chirurgica e le infezioni superficiali della ferita.
Oltre alla breve durata del ricovero, i ricercatori hanno individuato altri fattori di rischio associati a una maggiore probabilità di complicanze successive alle dimissioni, tra cui un indice di massa corporea più elevato, un peggiore stato di salute generale, la perdita di autonomia, ferite più estese e procedure chirurgiche più lunghe.
Come si diceva, per ridurre il tasso di complicanze, gli autori dello studio raccomandano la messa a punto di un nuovo sistema organizzativo; in particolare, suggeriscono: un intervento educativo dei pazienti e dei loro familiari prima della chirurgia e prima delle dimissioni, finalizzata a migliorare la capacità di riconoscere i segni e i sintomi più critici; una comunicazione facilitata tra il paziente e l’équipe chirurgica; un più stretto monitoraggio dei pazienti, specie di coloro che risultano più a rischio di complicazioni.
Giampiero Pilat
Giornalista Tabloid di Ortopedia
Li RD, et. al. Are We Chasing Shorter Length of Stay At the Expense of Post-Discharge Complications? Scientific Forum Presentation. American College of Surgeons Clinical Congress 2021.