In uno studio in vitro pubblicato sul Journal of Orthopaedic Research da autori italiani afferenti all’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, l’uso di un bisturi piezoelettrico a ultrasuoni è risultato molto più efficace del debridement con lavaggio a impulsi nella rimozione del biofilm batterico dagli impianti ortopedici. La maggiore validità, pertanto, ne promuove l’uso per migliorare il tasso di successo del debridement con ritenzione dell’impianto (Dair). Questa procedura, sempre più utilizzata in sala operatoria perché meno invasiva per il paziente e meno costosa rispetto alla chirurgia di revisione, è associata tuttavia a un elevato tasso di fallimento per la bassa efficacia del tipo di lavaggio/debridement nella rimozione del biofilm, se eseguito con una pistola per lavaggio a impulsi. Diversi studi in vitro hanno dimostrato che, per ottenere risultati migliori, lo sbrigliamento deve essere associato ad altre tecnologie.
In questo studio è stata testata l’efficacia di un bisturi piezoelettrico a ultrasuoni con una punta in polietere etere chetone (Peek) per la rimozione dei biofilm dalla superficie di tre materiali implantari prototipici, contaminate da stafilococco aureus meticillino-resistente (Mrsa).
Per i test sono stati utilizzati dischi in titanio, acciaio inossidabile e polietilene ad altissimo peso molecolare sui quali sono stati coltivati biofilm di ceppi di stafilococco aureus meticillino-resistenti per 24 ore. Un gruppo di dischi (controllo) non è stato sottoposto ad alcun tipo di lavaggio o debridement, un secondo gruppo è stato trattato con debridement con lavaggio a impulsi (Pulsavac Plus, Zimmer Biomet) e infine un terzo gruppo di dischi è stato trattato con un bisturi piezoelettrico a ultrasuoni (Piezosurgery, Mectron). Questo bisturi piezoelettrico a ultrasuoni ha una punta in Peek lunga 12 mm, diametro 4 mm e larghezza 0,8 mm. Il chirurgo muove la punta tangenzialmente rispetto alla superficie del disco, con movimenti circolari, e a contatto con esso, senza applicare una pressione importante perché, diversamente, la punta smetterebbe di vibrare (vedi immagine).
Il confronto tra le due procedure ha mostrato per ogni materiale una riduzione di biofilm batterico pari a 2 logs CFU/mL nel gruppo sottoposto a debridement ultrasonico piezoelettrico rispetto al gruppo trattato con debridement/lavaggio a impulsi.
La maggior efficacia dell’uso di un bisturi piezoelettrico a ultrasuoni nella rimozione della carica batterica dai dischi è determinata dagli effetti degli ultrasuoni, dalla vibrazione della punta a frequenze ultrasoniche e dall’azione meccanica dell’operatore che sposta la punta sulla superficie del disco. Questa procedura, pertanto, può aumentare la possibilità di successo nella ritenzione dell’impianto protesico nei casi di infezione periprotesica acuta e postoperatoria.
Lo studio, tuttavia, ha alcune limitazioni: non sono state analizzate le modifiche della superficie dei dischi dopo i trattamenti, ad esempio la rugosità, che potrebbero incidere sulla stabilità dell’impianto protesico ed è stato impiegato un solo un tipo di batterio, lo stafilococco aureus meticillino-resistente, uno dei microrganismi più difficili da debellare nei casi di infezione articolare periprotesica. Per verificare l’efficacia del debridement ultrasonico piezoelettrico, questo modello sperimentale in vitro potrebbe essere utilizzato, in futuro, per ossa e tessuti molli e con altri ceppi batterici.
Fiorella Gandini
Giornalista Tabloid di Ortopedia