Tra i pazienti con infezioni periprotesiche articolari confermate microbiologicamente, che sono state gestite con procedure chirurgiche standard, la terapia antibiotica per sei settimane ha comportato una percentuale più alta di pazienti con esiti sfavorevoli rispetto a una terapia analoga protratta per dodici settimane. Sono le conclusioni di uno studio francese, pubblicato sul New England Journal of Medicine, che ha affrontato una tra le complicanze più devastanti dopo l’artroplastica articolare.
Le infezioni periprotesiche sono generalmente gestite con una combinazione di intervento chirurgico e terapia antimicrobica orale o endovenosa. Le procedure chirurgiche possono includere un ampio debridement, un’artroplastica di resezione (con o senza artrodesi) o un’artroplastica sostitutiva. La scelta della terapia antibiotica dipende spesso dai risultati ottenuti dalle colture e dalla suscettibilità dell’organismo causativo; tuttavia, sebbene gli antibiotici sistemici siano comunemente usati per il trattamento delle infezioni articolari protesiche, la durata ottimale della terapia non è ancora ben definita e si basa principalmente sulle raccomandazioni degli esperti piuttosto che sull’evidenza scientifica.
«I pazienti – riferiscono gli autori – ricevono di solito lunghi cicli di terapia antibiotica, che possono durare fino a sei mesi per le infezioni da stafilococco. Tuttavia, diversi studi suggeriscono che cicli più brevi possono essere appropriati per la maggior parte dei casi di infezione articolare protesica o osteomielite e possono essere associati a riduzioni della durata della degenza ospedaliera, dell’incidenza di eventi avversi e della comparsa di resistenza microbica. Abbiamo dunque deciso di condurre uno studio per confrontare l’efficacia e la sicurezza di un ciclo breve di trattamento antibiotico (sei settimane) con quelli di un ciclo più lungo (dodici settimane) in pazienti con infezioni articolari periprotesiche causate da vari patogeni e gestiti con adeguate procedure chirurgiche».
Un totale di circa 400 pazienti provenienti da 28 centri francesi è stato dunque suddiviso in modo randomizzato in due gruppi, per ricevere una terapia antibiotica per sei o per dodici settimane. L’infezione persistente si è verificata in 35 su 193 pazienti (18,1%) nel gruppo di sei settimane e in 18 su 191 pazienti (9,4%) nel gruppo di dodici settimane, con una differenza di rischio di 8,7 punti percentuali.
Quindi, la non inferiorità della terapia antibiotica breve non è stata dimostrata, anche se i ricercatori non hanno trovato prove di differenze tra i gruppi nella percentuale di eventi avversi gravi o di pazienti con fallimento del trattamento a causa di una nuova infezione.
Inoltre, in un’analisi esplorativa per sottogruppi, il rischio di infezione persistente tra i pazienti sottoposti a intervento di revisione, in uno o due tempi, è stato inferiore rispetto a quelli sottoposti soltanto al debridement, indicando la necessità di un’ulteriore esplorazione del tipo di trattamento ottimale.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia