Un algoritmo può identificare i primi segni dell’artrosi quando neppure l’occhio di un radiologo esperto è ancora in grado di intercettarli, analizzando una scansione ottenuta con la risonanza magnetica effettuata anni prima che compaiano i sintomi. A metterlo a punto sono stati i medici della School of Medicine della University of Pittsburgh e gli ingegneri del College of Engineering della Carnegie Mellon University (altro ateneo di Pittsburgh, in Pensylvania), mostrando ancora una volta i buoni frutti che si possono ottenere attraverso la collaborazione di medici e ingegneri.
Per questo studio, pubblicato da Pnas, i ricercatori hanno preso in esame 86 persone selezionate da un’indagine molto più grande, l’Osteoarthritis Initiative, tra quelli senza sintomi e segni di osteoartrosi riscontrabili con l’imaging a risonanza magnetica. Durante tre anni di follow-up, un sottogruppo di questi individui era progredito in osteoartrosi sintomatica. È stato così possibile insegnare all’algoritmo a rilevare, nelle immagini prese alla baseline, le piccole differenze tra coloro che poi hanno sviluppato i sintomi dell’artrosi e gli altri. Così addestrato, l’algoritmo è riuscito a predire in altri soggetti asintomatici se avrebbero o meno sofferto di artrosi nei tre anni successivi, raggiungendo un’accuratezza del 78%.
«Quando i medici guardano queste immagini della cartilagine, non notano uno schema visibile a occhio nudo, ma ciò non significa che non ci sia uno schema, solo che non si può individuare con strumenti convenzionali», ha commentato l’autore principale dello studio, Shinjini Kundu, che ha completato questo progetto nell’ambito della sua formazione post-laurea presso il dipartimento di Ingegneria biomeccanica alla Carnegie Mellon.
Attualmente non ci sono farmaci che impediscano all’osteoartrosi presintomatica di evolvere in un deterioramento articolare completo, sebbene ce ne siano alcuni altamente efficaci in grado di prevenire lo sviluppo di una grave condizione correlata, l’artrite reumatoide. L’obiettivo è sviluppare anche per l’osteoartrosi farmaci efficaci in via preventiva e diversi farmaci candidati sono allo studio. Riferendosi a questo scenario, Kenneth Urish, un altro degli autori, ha spiegato come i risultati ottenuti potranno aiutare la ricerca scientifica. «Per i prossimi studi, invece di reclutare 10.000 persone e seguirle per 10 anni, potremo arruolare poche decine di individui che sappiamo saranno colpite da osteoartrosi negli anni successivi. Potremmo provare solo su di loro i farmaci sperimentali e vedere se sono efficaci nel fermare lo sviluppo della malattia».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia