Negli ultimi anni, con il progressivo aumento delle procedure, sta diventando prioritaria la gestione di una delle complicanze più comuni della chirurgia vertebrale, cioè il dolore post-operatorio. Nonostante l’implementazione di linee guida dedicate, l’adozione dell’analgesia preventiva e la sempre più diffusa presenza nei centri ospedalieri dei servizi di terapia antalgica, in una percentuale considerevole – che va dal 30 al 64% a seconda delle casistiche – dei pazienti sottoposti a interventi sulla colonna vertebrale si riscontra nei giorni successivi un insoddisfacente controllo del dolore, con conseguenti rinvii delle dimissioni, prolungamento dei trattamenti analgesici, cronicizzazione della sintomatologia, rallentamento del recupero funzionale.
La carenza di conoscenze concernenti le variabili, relative al paziente o alla procedura, potenzialmente associate alla persistenza del dolore post-operatorio ha motivato il lavoro che è stato condotto presso l’Università di Calgary con l’obiettivo di sviluppare una scala di valutazione del paziente candidato a chirurgia spinale elettiva con funzione predittiva rispetto alla probabilità di insuccesso dei comuni protocolli antalgici.
Lo studio ha coinvolto 1.300 soggetti, reclutati dal registro del Canadian Spine Outcomes and Research Network, che sono stati trattati presso il Foothills Medical Centre della città canadese tra il 2014 e il 2017 principalmente per stenosi spinale (39,2% dei casi) e radicolopatia (42,2%) e prevalentemente (61% dei casi) con artrodesi di elementi adiacenti (1,9 in media). Diffusa tra i pazienti l’assunzione quotidiana di antidolorifici nel periodo precedente l’intervento, Fans o paracetamolo per il 48,5% e oppioidi per il 32,4%, nella maggior parte dei casi da più di tre mesi.
Una condizione di scarso controllo del dolore a riposo, quantificato su una scala numerica, è stata rilevata nella prima giornata post-operatoria nel 56,7% dei soggetti indipendentemente del segmento di colonna interessato.
Dal campione i ricercatori hanno quindi selezionato con criterio causale un gruppo di 910 pazienti nel quale verificare con analisi multivariata l’associazione tra la persistenza della sintomatologia e una serie di 25 variabili preventivamente individuate. Sette quelle riconosciute come predittive: l’età più giovane, il sesso femminile, l’assunzione abituale e prolungata di farmaci oppioidi prima dell’intervento, un punteggio alto sulla scala del dolore alla baseline e l’esistenza di sintomi depressivi per quanto riguarda il paziente; il coinvolgimento di tre o più unità funzionali e la chirurgia di fusione per quanto riguarda la procedura.
Dopo avere assegnato a ogni paziente un punteggio per ciascuna di queste variabili hanno sottoposto la scala di valutazione così formulata – chiamata Calgary Postoperative Pain After Spine Surgery – a validazione in un gruppo di 390 soggetti, confrontando le percentuali di pazienti a basso, alto e altissimo rischio di insufficiente controllo del dolore attese sulla base dei sette fattori predittivi con quelle realmente osservate.
«La corrispondenza tra le due serie di valori trovata nel nostro studio ci fa ritenere che la scala da noi testata possa essere uno strumento utile per identificare in fase preoperatoria i pazienti predisposti a sperimentare dopo l’intervento una sintomatologia dolorosa di maggiore entità e più difficilmente controllabile – concludono gli autori canadesi –. E pertanto per approntare in anticipo interventi personalizzati volti a prevenire una complicanza della chirurgia vertebrale che notoriamente ha ripercussioni molto rilevanti sia per gli aspetti clinici che per l’impatto sanitario».
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia