«Un programma di esercizi effettuati sotto la supervisione di personale specialistico unito a una serie di consigli comportamentali in pazienti operati e immobilizzati dopo una frattura semplice di caviglia non produce alcun vantaggio aggiuntivo rispetto ai soli consigli». Lo sostiene Anne Moseley dell’Università di Sydney sulla scorta di uno studio condotto con altri ricercatori australiani e pubblicato su Jama.
Si stima che l’incidenza annuale delle fratture di caviglia sia di almeno cinque ogni 10mila persone, ma è superiore tra le donne anziane e tra i giovani uomini. Il trattamento prevede un intervento chirurgico di riposizionamento dell’osso fratturato, così da ridurre i rischi di artrosi e di instabilità cronica. Il paziente deve poi affrontare un periodo di recupero piuttosto lungo che, dopo la prima fase di immobilizzazione, prevede generalmente esercizi propiocettivi, di mobilizzazione e di rinforzo muscolare.
Il trial australiano, denominato Exact (da Exercise or Advice After Ankle Fracture), randomizzato e multicentrico, è stato condotto in sette ospedali australiani su 214 pazienti operati per frattura isolata della caviglia, 108 dei quali, dopo la rimozione del tutore, sono stati istruiti sui comportamenti migliori da adottare per favorire la guarigione mentre gli altri 106 hanno, in aggiunta, effettuato esercizi di riabilitazione supervisionati da un fisioterapista. Ma questi ultimi, come si diceva, non hanno ottenuto alcun beneficio supplementare riguardo alla funzionalità e alla generale qualità della vita, nei controlli effettuati dopo uno, tre e sei mesi. «Inoltre – affermano gli autori – lo studio indica che gli effetti del trattamento non cambiano in base alla gravità della frattura né all’età o al sesso dei pazienti»: quindi non si sono individuate categorie particolari per le quali la riabilitazione assistita possa essere raccomandata. Insomma, il trattamento riabilitativo supervisionato costa di più al sistema sanitario, ma non ha prodotto risultati significativi in nessuno dei 17 indicatori presi in esame, tra cui il numero di giorni trascorsi prima del ritorno all’attività precedente la frattura, il dolore sotto carico o nel fare le scale, la velocità di locomozione o il grado di autosufficienza.
Giampiero Pilat
Giornalista Tabloid di Ortopedia