Di fronte a un anziano che ha subito una frattura d’anca, l’ortopedico si trova spesso a dover scegliere tra la sostituzione parziale o totale. Anche se la maggior parte delle fratture del collo femorale sono state storicamente trattate con riduzione e fissazione interna, le più recenti linee guida sostengono l’opportunità dell’artroplastica. Il tipo di protesi che dovrebbe essere utilizzata in questo contesto resta però da stabilire.
Diverse revisioni sistematiche avevano riferito che i risultati della sostituzione totale dell’anca sono superiori rispetto a quelli dell’emiartroplastica, ma sono state avanzate preoccupazioni per il maggior trauma chirurgico e per il potenziale maggior rischio di una successiva lussazione.
Ora un ampio studio clinico, condotto su quasi 1.500 pazienti in ottanta centri di dieci diversi Paesi, ha verificato che quelli che erano stati sottoposti a una sostituzione d’anca totale mostravano una funzionalità leggermente migliore due anni dopo l’intervento, ma erano più spesso andati incontro a complicanze gravi tanto che, sulla base dei risultati ottenuti, gli autori esprimono perplessità riguardo ai supposti vantaggi della sostituzione totale.
Lo studio randomizzato e controllato, coordinato da Mohit Bhandari, chirurgo indiano e professore alla McMaster’s University a Hamilton, in Canada, colma un vuoto ed era atteso da tempo, come commenta Jan-Erik Gjertsen, editorialista del New England Journal of Medicine che l’ha pubblicato.
Tutti i pazienti avevano un’età superiore ai cinquant’anni e, prima del trauma che aveva prodotto una frattura scomposta del collo femorale, erano in grado di camminare. I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a un intervento di artropastica totale dell’anca o di emiartroplastica e sono stati seguiti per due anni. L’endpoint principale era la necessità di doversi sottoporre a un secondo intervento non pianificato e questa occorrenza si è verificata nel 7,9% dei pazienti sottoposti a sostituzione totale d’anca e nell’8,3% di quelli assegnati all’altro gruppo: insomma, il tipo di intervento chirurgico non ha avuto un’influenza significativa e anche il tasso di mortalità è stato simile nei due gruppi. La differenza più rilevante si è avuta nelle complicazioni gravi, che si sono avute nel 42% dei casi di sostituzione totale d’anca e nel 37% di sostituzione parziale. I primi hanno sofferto meno dolore e rigidità ma la differenza non è stata considerata statisticamente significativa e non tale da compensare il rischio di complicazioni, che in questi pazienti fragili possono essere devastanti.
«I limitati vantaggi dell’artroplastica totale dell’anca – scrivono gli autori – controbilanciati dal maggior rischio di complicanze, possono far propendere la scelta verso la sostituzione parziale, specie in quelle regioni del mondo in cui la sostituzione totale dell’anca non è facilmente accessibile o è proibitiva in termini di costi».
Giampiero Pilat
Giornalista Tabloid di Ortopedia