La ormai consolidata esperienza e gli incoraggianti risultati ottenuti nella ricostruzione del legamento crociato anteriore con la tecnica a singolo fascio hanno costituito negli ultimi anni l’incentivo a raffinare ulteriormente la procedura con lo scopo di riprodurre la conformazione anatomica e il funzionamento del legamento in modo più corrispondente alla condizione fisiologica. A questo obiettivo punta la ricostruzione separata di entrambi i fasci del legamento, con un teorico vantaggio sulla tecnica a singolo fascio in termini di ripristino della stabilità articolare. Al soddisfacente controllo dell’instabilità antero-posteriore ottenuto con la ricostruzione del fascio antero-mediale attuata finora si aggiungerebbe infatti la correzione della residua instabilità rotatoria grazie al riposizionamento anche di quello postero-laterale. La ricostruzione anatomica a doppio fascio potrebbe dunque ottimizzare l’appropriatezza del trattamento chirurgico delle lesioni del legamento crociato anteriore, non solo sul piano tecnico ma anche e soprattutto relativamente agli outcome clinici. Tuttavia, in considerazione della difficoltà procedurale decisamente superiore, dell’invasività potenzialmente maggiore sia della chirurgia primaria sia della eventuale chirurgia di revisione e dei costi economici più alti, la determinazione della sua reale efficacia rispetto alla più semplice ricostruzione a singolo fascio assume un peso sostanziale e da una decina di anni a questa parte è oggetto di studi clinici comparativi.
In linea con tale obiettivo e a seguito dei risultati non sempre convergenti riportati in letteratura, un contributo significativo arriva dallo studio svedese di recente pubblicato dall’American Journal of Sports Medicine: un trial randomizzato controllato che ha messo a confronto le due tecniche in un campione di 105 pazienti con lesione monolaterale del crociato anteriore – in assenza di lesioni del crociato posteriore, lassità dei legamenti collaterali (mediale o laterale) superiore a +1 e pregressa chirurgia maggiore del ginocchio – indirizzati all’intervento ricostruttivo dopo fallimento dei trattamenti non chirurgici oppure per esigenze legate ad attività sportive.
I soggetti sono stati equamente ripartiti in due gruppi, operati tra marzo 2008 e settembre 2009 e avviati a un follow-up della durata di 5 anni, che è stato completato per 87 di essi (l’83% del campione) di cui 41 assegnati a ricostruzione a singolo fascio e 46 a ricostruzione a doppio fascio.
A garanzia dell’omogeneità di trattamento tutte le ricostruzioni sono state eseguite da quattro chirurghi esperti precedentemente addestratisi a eseguire entrambe le tecniche esattamente con le stesse modalità (portali di ingresso, preparazione dei tunnel femorale e tibiale, ancoraggio degli innesti ai footprint anatomici ecc.).
Conformemente, la gestione dell’immediato post-operatorio è stata equivalente per i pazienti di entrambi i gruppi. Tutti hanno: seguito un protocollo di riabilitazione secondo le medesime linee guida e sotto supervisione di un fisioterapista; attuato da subito deambulazione in carico totale, Rom completo (inclusa iperestensione e senza uso di tutore) ed esercizi a catena cinetica chiusa; potuto praticare corsa e sport di contatto rispettivamente a 3 e a 6 mesi di distanza dall’intervento (ovviamente previo recupero funzionale, in termini di forza, coordinazione ed equilibrio, comparabile alle condizioni dell’arto controlaterale); ricevuto visite di controllo da parte del chirurgo di riferimento per 6 mesi.
Per quanto riguarda la valutazione degli outcome clinici, tutti i pazienti sono stati esaminati in fase pre-operatoria e nel corso del follow-up da un unico fisioterapista, indipendente e in cieco rispetto alla tecnica chirurgica applicata, attraverso una serie di misurazioni, test e scale di valutazione funzionale oggettivi e soggettivi: Rom, Hop tests, Pivot-Shift test, artrometro KT-1000, Knee injury and Osteoarthritis Outcome Score (Koos), Lachman test, Lysholm Knee Score, Tegner Activity Scale.
Inoltre, in considerazione del comprovato aumento del rischio di osteoartrosi del ginocchio in seguito a lesione del crociato anteriore e nell’ipotesi che tale predisposizione possa essere entro certi limiti subordinata al ripristino della corretta cinematica articolare con la ricostruzione del legamento, tutti i pazienti sono stati sottoposti a valutazione radiologica, con Rx standard in carico nelle proiezioni antero-posteriore e laterale, a circa 6 settimane dall’intervento e poi al termine dei 5 anni di follow-up.
Alla conclusione dello studio i riscontri clinici non avvalorano l’ipotesi che la ricostruzione a doppio fascio comporti qualche vantaggio su quella a singolo fascio, né in termini di recupero funzionale né relativamente al rischio di osteoartrosi o di complicanze: tutti i pazienti hanno mostrato miglioramenti funzionali consistenti rispetto alla condizione pre-operatoria, ma non si sono rilevate differenze significative tra i due gruppi; analogamente, alla fine del periodo di follow-up sono state evidenziate alterazioni artrosiche a localizzazione femoro-rotulea con entrambi i tipi di ricostruzione; nessun paziente ha avuto complicanze infettive o ha dovuto subire un intervento di revisione.
Riguardo alla supposta superiorità della ricostruzione anatomica a doppio fascio del legamento crociato anteriore i risultati svedesi sono in contrasto con quelli di alcuni trial precedenti. «Come sempre, quando si cerca di trarre conclusioni risolutive e di ampio respiro da questo tipo di studi ci si scontra con alcune criticità metodologiche – argomentano gli autori –. Per esempio la variabilità nell’esecuzione della procedura in base all’esperienza e alle scelte chirurgiche del singolo operatore, l’appropriatezza della soglia diagnostica che definisce per ogni parametro di valutazione la presenza o l’assenza di un miglioramento significativo dal punto di vista clinico, la relativa soggettività di alcune misurazioni, l’eventuale influenza di fattori concomitanti alla lesione del legamento, come possono essere in questi casi i danni cartilaginei e meniscali, e infine la durata del periodo di osservazione. Tuttavia – concludono – riteniamo che, data la sua maggiore complessità, la ricostruzione a doppio fascio non possa per ora essere privilegiata tout court e propendiamo piuttosto per un’individualizzazione del trattamento chirurgico, basata di volta in volta sulle condizioni cliniche, le aspettative e le esigenze di attività dei singoli pazienti, nonché sulle caratteristiche del contesto sanitario particolare».
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia