
Maria Grano
Che fra il trofismo del muscolo scheletrico e quello del tessuto osseo vi sia una relazione è nozione accreditata da tempo, corroborata dalle ormai innumerevoli evidenze degli effetti dell’attività fisica, o viceversa della sua assenza, sul metabolismo osseo.
Che tale relazione sia presumibilmente di natura chimica, e che a mediarla sia una specifica miochina dotata di funzioni simil-endocrine è, invece, un’acquisizione recente, scaturita da una ricerca internazionale nella quale un ruolo sostanziale è stato rivestito da tre strutture accademiche italiane – il dipartimento di scienze mediche di base, neuroscienze e organi di senso dell’Università di Bari, il dipartimento di medicina sperimentale e clinica dell’Università Politecnica delle Marche e il dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell’Università di Foggia – con il supporto della Società italiana dell’osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro (Siommms).
I risultati del lavoro, resi noti dalle pagine dei Proceedings of the National Academy of Sciences, contribuiscono a precisare la variegata attività biologica di irisina, una proteina di membrana prodotta e secreta dai miociti in contrazione, la cui identificazione ad opera di un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School di Boston fu annunciata sulla rivista Nature nel 2012.
In aggiunta all’effetto cosiddetto “brucia-grasso” attribuitole all’epoca della sua scoperta – riconducibile alla capacità della proteina di indurre negli adipociti bianchi un processo di transdifferenziazione in adipociti bruni – la sperimentazione italiana ha evidenziato l’azione determinante che irisina svolgerebbe nel modulare il turnover osseo in senso osteogenetico.
In un modello murino, a seguito della somministrazione di irisina ricombinante a dosi molto inferiori a quelle efficaci sul tessuto adiposo sono state riscontrate modificazioni significative di alcuni parametri corticali di ossa lunghe: le misurazioni microtomografiche hanno mostrato un aumento della densità minerale, del perimetro e dell’area di sezione trasversale mentre l’istomorfometria dinamica ha rilevato un incremento dei tassi di neoformazione e di mineralizzazione ossea e del numero assoluto di osteoblasti a fronte di una contrazione della popolazione di osteoclasti. In assenza di un’analoga azione anabolica a livello del compartimento trabecolare, il potenziamento della massa ossea periferica è stato considerato dagli autori funzionale al miglioramento della resistenza dei segmenti ossei alla torsione, come attestato dai valori del momento di inerzia polare.
Parallelamente, in colture di cellule midollari stromali irisina ha prodotto una rapida attivazione dei fattori di trascrizione che ne inducono la differenziazione in osteoblasti.
«Nell’insieme tali risultati fanno intravedere non solo la progressiva chiarificazione dei meccanismi che sottendono gli effetti dell’esercizio muscolare sul tessuto osseo ma anche la possibilità di conferire in futuro a irisina una potenzialità terapeutica» afferma Maria Grano, coordinatrice della Commissione scientifica della Siommms nonché coautrice del lavoro per l’Università di Bari. «Va sottolineato tuttavia che al momento i promettenti effetti anabolici della proteina sono stati provati solo nel modello animale e che i relativi pattern di azione nell’uomo sono ancora poco conosciuti».
Di un certo interesse tra le poche evidenze disponibili in campo umano sono alcune recenti osservazioni sulle concentrazioni plasmatiche di irisina: la correlazione positiva con gli indici di densità minerale ossea in un campione di giovani atlete, la correlazione inversa con il rischio di fratture osteoporotiche in donne postmenopausali e la correlazione inversa con i livelli sierici di sclerostina in adulti prediabetici di entrambi i sessi.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia