A dispetto della relativa rarità – rappresenta lo 0,2% di tutte le neoplasie maligne e ha un’incidenza annua stimata di 1-5 casi per milione di persone – l’osteosarcoma è una neoplasia di grande rilevanza clinica non solo perché è il tumore maligno primitivo dell’apparato scheletrico più frequente in età pediatrica e giovanile adulta, ma anche in ragione dei tassi di letalità tuttora alti.
Le più recenti tecniche di chirurgia conservativa e le varie chemioterapie adiuvanti e neoadiuvanti hanno consentito di portare complessivamente la sopravvivenza a cinque anni al 60-70%, ma per una parte dei pazienti l’evoluzione rimane sfavorevole. L’identificazione dei fattori clinici che possono avere un valore predittivo dal punto di vista prognostico e pertanto dei soggetti più a rischio di esito infausto è quindi oggi uno degli obiettivi cruciali nella gestione della malattia.
Poiché i dati provenienti dai singoli studi pubblicati in merito hanno condotto a conclusioni discordanti, Sun Xin e Guo Wei, ricercatori presso l’Ospedale popolare dell’Università di Pechino, hanno provato ad accertare il peso dei fattori prognostici esaminati finora attraverso un lavoro di revisione sistematica. I risultati riportati nei 40 articoli reperiti in letteratura tra l’inizio del 2009 e la fine del 2019 per un totale di oltre 18.000 individui con diagnosi di osteosarcoma, nella maggior parte dei casi primario e ad alto grado di malignità, sono stati sottoposti a metanalisi rispetto al rapporto tra i tassi di sopravvivenza e una serie di variabili, relative al paziente, alle caratteristiche del tumore e al tipo di trattamento chirurgico, e cioè rispettivamente: sesso, età alla diagnosi e risposta del soggetto alla chemioterapia; sede, dimensioni e tipo istologico della neoformazione; asportazione conservativa o con amputazione nelle forme localizzate agli arti.
Una correlazione significativa con la sopravvivenza è stata riscontrata per tutti i fattori considerati con l’eccezione del sottotipo istologico, sebbene dal primo livello di analisi sia emersa l’indicazione di una prognosi migliore per i tumori di derivazione condroblastica rispetto a quelli osteoblastici, che però non è stata confermata dall’analisi di sensitività.
Per quanto riguarda le variabili relative al paziente, l’età più avanzata e il sesso maschile sono risultati connessi con un’evoluzione peggiore della malattia, spiegabile, secondo gli autori, nel primo caso con un ritardo nella diagnosi, una minore tolleranza alle chemioterapie più aggressive e una maggiore frequenza di osteosarcomi a sede assiale, di complicanze chirurgiche e di comorbidità e nel secondo caso con l’esordio solitamente più tardivo che nel sesso femminile. Altrettanto sfavorevole è la limitata risposta alla chemioterapia, con percentuali di necrosi inferiori al 90%.
Tra le caratteristiche del tumore incidono con la valenza di fattori prognostici negativi le maggiori dimensioni e la localizzazione a livello di colonna vertebrale, pelvi, gabbia toracica, cranio e collo rispetto a quella appendicolare e negli osteosarcomi degli arti la localizzazione prossimale rispetto a quella distale.
Dal punto di vista chirurgico, infine, nei pazienti con tumori appendicolari sono stati registrati tassi di sopravvivenza più alti in seguito a trattamento conservativo, da interpretare tuttavia con cautela, sempre a detta degli autori, per il fatto che normalmente l’indicazione all’amputazione è posta in casi che già in partenza hanno una prognosi meno favorevole per la presenza di metastasi o il coinvolgimento locale di tessuti extrascheletrici o per una risposta insoddisfacente alla chemioterapia.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia