Via via che aumentano le procedure di artroplastica di ginocchio cresce anche il numero degli interventi di revisione resi necessari da infezioni periprotesiche. Questo il dato epidemiologico dal quale sono partiti i ricercatori dell’università inglese di Bristol per indagare, con un ampio studio di coorte su un campione attinto dal National Joint Registry britannico, i fattori relativi al paziente, al decorso chirurgico e al contesto sanitario in grado di determinare il rischio di reintervento.
Dei 679.010 casi di artroplastica primaria di ginocchio registrati presso diverse strutture ospedaliere (in totale 449) di Inghilterra, Galles, Irlanda del Nord e Isola di Man tra il 2003 e il 2014 e seguiti in follow-up di almeno 12 mesi, una quota pari allo 0,53% è stata sottoposta a revisione protesica settica, a periodi di distanza dal primo impianto variabili ma nella maggior parte dei casi (quasi il 70%) superiori a un anno.
«Nonostante i considerevoli progressi della tecnica chirurgica, l’infezione periprotesica resta una complicanza temibile, per quanto fortunatamente rara, degli interventi di artroplastica, sia per gli esiti diretti sia per gli effetti avversi associati a tutte le opzioni di trattamento» commentano Ashley Blom e collaboratori. «È quindi prioritaria l’opportunità di identificare tra le condizioni predisponenti quelle modificabili, per le quali sono facilmente pianificabili interventi preoperatori volti alla riduzione del rischio, e quelle non modificabili, per le quali possono essere necessari adattamenti personalizzati dei protocolli in uso in rapporto alle specifiche esigenze del singolo soggetto».
Dall’analisi dei 3.659 casi di revisione gli autori hanno rilevato elementi prognostici sfavorevoli in due delle tre categorie considerate.
Relativamente alle caratteristiche dei pazienti, il sesso maschile, l’età più giovane (<60 anni vs ≥80 anni), un indice di massa corporea alto (>30 kg/m2 vs <25 kg/m2), un rischio anestesiologico elevato (punteggio ASA 3-5 vs 1) e la presenza di comorbilità (in particolare patologie polmonari croniche, diabete, insufficienza epatica, malattie reumatiche, vasculopatie periferiche) sono risultati associati con una maggiore frequenza di reintervento.
Tra le variabili chirurgiche, un’analoga correlazione è stata riscontrata per alcune indicazioni all’artroplastica primaria, nella fattispecie l’origine traumatica, infettiva o infiammatoria del danno articolare, per l’utilizzo dell’anestesia generale, per il ricorso a innesto osseo tibiale e per le procedure protesiche più complesse, vale a dire la sostituzione totale con impianto cementato, a stabilizzazione posteriore oppure condylar constrained rispetto alla sostituzione totale con impianto non cementato e alla sostituzione monocompartimentale (patello-femorale o monocondilare).
Irrilevante rispetto al rischio di revisione settica si è rivelata l’influenza delle altre tecniche anestesiologiche, della concomitanza di profilassi antitrombotica, dell’impiego di innesto osseo femorale, dell’occorrenza di complicanze intraoperatorie e del tipo di approccio chirurgico.
Di scarsa importanza le variabili della terza categoria, connesse ai contesti sanitari delle diverse aree geografiche, al livello professionale e al volume di interventi sul ginocchio effettuati dal chirurgo operante, alla presenza durante l’intervento di più di un chirurgo.
Significativo, invece, è il fatto, emerso dall’analisi dei dati per intervalli temporali, che i fattori che hanno mostrato cumulativamente un determinato effetto sulla probabilità di revisione agiscono in realtà in maniera complessa: per alcuni di essi l’associazione con l’aumento o la diminuzione del rischio è strettamente legata al periodo di tempo intercorso dalla chirurgia primaria.
«Trattandosi di una casistica di interventi motivati da infezione periprotesica, è in effetti verosimile che alcuni fattori, prevalentemente quelli connessi con gli aspetti procedurali, incidano maggiormente sulle revisioni precoci e altri, prevalentemente quelli connessi alle caratteristiche demografiche e cliniche dei pazienti, si ripercuotano piuttosto sulle revisioni tardive – concludono i ricercatori di Bristol –. Ma questo è comunque un dato di grande utilità per la pianificazione della chirurgia primaria, sia in fase pre, intra e post-operatoria, sia nel follow-up di lungo periodo».
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia