Nell’artroprotesi totale d’anca in pazienti con osteoartrosi, l’approccio anteriore diretto minimamente invasivo ha causato dolori meno intensi ma livelli postoperatori di creatina chinasi più elevati rispetto all’approccio laterale diretto. Lo scrive sul Journal of Orthopaedic Research Knut Erik Mjaaland che, con altri ortopedici norvegesi, ha appunto analizzato i livelli di creatina chinasi (Ck), oltre che di proteina C reattiva (Pcr), dopo l’intervento di artroprotesi totale d’anca in due gruppi di pazienti ottenuti tramite randomizzazione; in uno di questi i chirurghi hanno utilizzato l’approccio anteriore diretto minimamente invasivo (83 pazienti), nell’altro (80 pazienti) l’approccio laterale diretto. Gli autori hanno anche registrato i livelli di dolore riferiti dai pazienti stessi dopo l’intervento e il consumo di farmaci antidolorifici.
L’artroprotesi totale d’anca è un trattamento ormai consolidato e di successo per il trattamento dell’osteoartrosi in stadio avanzato. Come è noto, esistono diversi tipi di approccio chirurgico, oltre a una serie di modifiche minori proposte e sostenute da differenti chirurghi, e già in passato era stato suggerito l’utilizzo di marker biochimici per rilevare il danno muscolare e l’infiammazione e disporre di una misura di invasività dei di diversi approcci. «In Norvegia – scrive Mjaaland – l’approccio laterale diretto è quello maggiormente utilizzato, ma c’è un interesse crescente verso gli approcci minimamente invasivi, sia anteriore diretto che anterolaterale».
L’approccio anteriore diretto mininvasivo sfrutta il piano internervoso e intermuscolare e permette di accedere all’articolazione per l’impianto della protesi senza distaccare alcun muscolo dal bacino o dal femore, comportando così un minore trauma chirurgico: questo a livello teorico, perché perdura il dibattito sul fatto che si abbia un reale vantaggio clinico. Sono pochi gli studi che hanno mostrato risultati funzionali migliori e duraturi dell’approccio mininvasivo rispetto a quelli tradizionali; in compenso sono state riportate più complicanze e una lunga curva di apprendimento della tecnica corretta.
Lo studio norvegese nasce proprio dal tentativo di disporre di dati oggettivi, partendo dall’ipotesi che l’utilizzo di un approccio meno invasivo causi un minore innalzamento dei marcatori Ck e Prc, meno dolore e di conseguenza un minore utilizzo di oppioidi. I risultati hanno confermato le aspettative solo in parte: l’accesso anteriore diretto minimamente invasivo si è associato sorprendentemente a livelli superiori di creatina chinasi (mentre la Pcr è stata simile nei due gruppi); d’altra parte si sono avuti risultati positivi sul dolore riferito dai pazienti, confermato da un minore ricorso ai farmaci analgesici. Per questa ragione, Mjaaland e i suoi colleghi, nella loro pratica clinica, hanno deciso di mantenere l’accesso diretto anteriore mininvasivo come approccio privilegiato nelle artroprotesi totali d’anca, «ritenendo che sia più importante arrecare meno dolore ai pazienti piuttosto che mantenere bassi i valori postoperatori di creatina chinasi».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia