A dispetto dei dati epidemiologici, che le attribuiscono una prevalenza del 2-5% nella popolazione generale e alcuni fattori di rischio assodati anche per le forme idiopatiche (diabete, malattie cardiovascolari, disfunzioni tiroidee, disordini del sistema immunitario), la capsulite adesiva della spalla resta una patologia ancora parzialmente indefinita per quanto riguarda i meccanismi che ne sostengono la patogenesi e di conseguenza le modalità di trattamento ottimali.
Recenti studi di istopatologia e immunoistochimica hanno messo in evidenza una serie di alterazioni dei tessuti coinvolti, in particolare della porzione antero-superiore della capsula articolare, in senso flogistico e fibrotico, connesse con una cospicua presenza di citochine proinfiammatorie e un netto aumento di marcatori molecolari di attivazione dei fibroblasti e di proteine immunoreattive neuronali.
Insieme con i processi rigenerativi delle fibre nervose, la parallela neoformazione di vasi sanguigni, anch’essa ben evidente nei preparati istologici, è ritenuta essere un determinante fisiopatologico cruciale della sintomatologia dolorosa tipica delle prime fasi della malattia. Quest’ultima nozione è all’origine dell’approccio terapeutico alternativo che è stato presentato all’ultimo meeting annuale (quest’anno virtuale) della Sir, la principale società scientifica di radiologia interventistica del Nord America. «Un intervento mininvasivo consistente nell’embolizzazione di arterie target individuate tramite angiografia sembra essere un’opzione vantaggiosa e priva di effetti avversi per il controllo del dolore in questi pazienti, in attesa della risoluzione della sintomatologia» hanno annunciato gli autori dello studio pilota approvato dalla Fda con un protocollo Ide (Investigational Device Exemption).
Lo studio in questione è stato condotto su un campione di 16 soggetti con diagnosi di capsulite adesiva resistente a un trattamento conservativo praticato per almeno 30 giorni e punteggi sulla scala Vas per la valutazione del dolore superiori a 40 millimetri, che sono stati preventivamente sottoposti a un esame angiografico con accesso radiale. Evidenze di neovascolarizzazione si sono riscontrate in tutti i soggetti, con identificazione di sei vasi target, di pertinenza dell’arteria ascellare e delle arterie superiore e circonflessa della scapola.
L’intervento di embolizzazione, effettuato con l’introduzione di microsfere del diametro di 75 micron in un totale di 64 tratti arteriosi, è stato seguito da significativi miglioramenti nei punteggi delle scale di valutazione impiegate, registrati a un mese di distanza in 11 pazienti e da nessun effetto collaterale a eccezione di una transitoria discromia cutanea osservata in nove pazienti.
«Si tratta ovviamente di risultati provvisori data l’esiguità del nostro campione e la mancanza di un gruppo di controllo – concludono i ricercatori statunitensi –. Risultati tuttavia promettenti relativamente a efficacia e sicurezza del trattamento».
La capsulite adesiva è una condizione autolimitante, caratterizzata da tempi di evoluzione molto lunghi, che possono durare da uno a tre-quattro anni, durante i quali il dolore presente fin dall’inizio e la rigidità articolare che sopravviene in una seconda fase (fonte della denominazione “spalla congelata” con cui la patologia è nota) possono risultare realmente invalidanti. I trattamenti, conservativi e non, finora considerati sono analgesici o antinfiammatori per os, iniezione intra-articolare di corticosteroidi, fisioterapia, rimozione chirurgica di tessuto capsulare.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia
Bagla S, Piechowiak R, Nagda S, Orlando J, Xavier C, Sajan A, Isaacson A. Arterial embolization of the shoulder for pain secondary to adhesive capsulitis: Interim results from an Investigational Device Exemption U.S. trial. – Abstract No. 4. Journal of Vascular and Interventional Radiology 2020;31(3):S6-S7.