Nel trattamento farmacologico delle infezioni di pertinenza osteoarticolare viene generalmente considerata di prima scelta la somministrazione di antibiotici per via intravenosa. «Tale pratica, benché supportata da un’ampia e solida letteratura scientifica, è gravata da tassi più alti di complicanze ed effetti avversi, oltre che da costi più elevati, rispetto alla terapia per via orale» sottolinea il nutrito team di ricercatori britannici che ha deciso di mettere a confronto le due modalità di assunzione in un trial randomizzato controllato a gruppi paralleli.
Lo studio, indicato per l’appunto con la sigla Oviva (oral versus intravenous antibiotics for bone and joint infections), è stato progettato per sondare la non inferiorità della somministrazione per via orale in termini di tasso di fallimento della terapia antibiotica a distanza di un anno dall’inizio del trattamento.
Oltre mille pazienti con diagnosi di infezione osteoarticolare acuta o cronica di varia natura (osteomielite extra-assiale, spondilite, spondilodiscite, artrite settica primitiva, infezione periprotesica, infezione da dispositivo di fissaggio) in trattamento presso 26 diverse strutture ospedaliere del Regno Unito sono stati assegnati alternativamente alla somministrazione infusionale o a quella orale entro una settimana dall’eventuale intervento chirurgico oppure, se trattati conservativamente, dall’inizio della terapia antibiotica e seguiti per un anno, con controlli clinici a distanza di 6, 17 e 52 settimane. La scelta delle molecole è stata di volta in volta quella ritenuta più appropriata nel singolo caso. La durata del trattamento, rispetto al periodo minimo predefinito di 6 settimane, ha raggiunto un valore mediano di 78 giorni nel gruppo di soggetti destinati alla somministrazione per via parenterale e di 71 giorni nel gruppo di soggetti destinati all’assunzione per via orale.
Ai vari livelli dell’analisi statistica condotta dagli autori – intention-to-treat (ITT) su 1.054 pazienti, ITT modificata su 1.015 pazienti e per-protocol su 909 pazienti – i dati hanno avvalorato la non inferiorità della terapia orale rispetto all’outcome primario scelto, cioè la mancata eradicazione dell’infezione valutata in base ai criteri clinici, microbiologici e/o istologici stilati dalla Musculoskeletal Infection Society. Nell’analisi ITT il rischio di fallimento del trattamento a un anno di distanza dal suo inizio per la via orale in confronto a quella intravenosa è risultato pari a –1,4 punti percentuali, in linea con il margine di non inferiorità di 7,5 punti percentuali prefissato. L’esito si è confermato nelle analisi per sottogruppi, mostrandosi indipendente, per esempio, da differenze relative alle eventuali procedure chirurgiche, alla presenza di componenti metalliche, al tipo di patogeni coinvolti.
Anche rispetto ad alcuni degli outcome secondari vagliati, la via orale si è rivelata più favorevole, con tassi di abbandono del trattamento più bassi, minori complicanze e degenze ospedaliere più brevi.
«Pur con qualche limite metodologico – lo studio non è stato effettuato in cieco, per ovvi motivi etici, e ha esplorato un intervallo di tempo non superiore a un anno – il nostro lavoro spinge a rivedere l’opinione consolidata che nelle infezioni osteoarticolari l’efficacia del trattamento antibiotico sia vincolata alla somministrazione infusionale e a prendere in considerazione alcuni vantaggi non trascurabili dell’assunzione per via orale» concludono i ricercatori.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia